REGGIO CALABRIA L’operazione “Scilla e Cariddi”, come spiegato dai magistrati della procura distrettuale di Reggio, pone le sue basi sulla ricostruzione della «galassia imprenditoriale che gravita intorno alla Caronte&Tourist Spa». Gli investigatori sono così giunti alla conclusione che diverse delle imprese ricomprese in questo organigramma altro non erano che un veicolo per agevolare gli interessi mafiosi all’interno della società.
L’amministrazione giudiziaria per i beni del colosso dello Stretto è la misura che si è resa necessaria per scardinare questo sistema. L’attenzione si è riversata su alcune figure chiave facenti capo alla cosca “Buda-Imerti”, egemone sul territorio di Villa San Giovanni, quindi alle attività imprenditoriali a queste direttamente o indirettamente riconducibili. Oltre ai Buda, viene evidenziata la figura di Domenico Passalacqua, già condannato nel processo “Meta” dacché considerato «imprenditore al servizio della cosca, operante non secondo logiche di libero mercato, ma nel rispetto delle dinamiche oligopolistiche di tipo mafioso proprie degli imprenditori intranei al circuito criminale».
L’imprenditore al servizio della cosca
Nel 1990 Domenico Passalacqua viene assunto dalla “Tourist Ferry Boat Spa” con mansioni di bigliettaio. Il rapporto di lavoro continuerà anche dopo la fusione, nella “Caronte&Tourist Spa” fino alla pensione ottenuta nel maggio 2018.
Secondo quanto riferito dai collaboratori di giustizia Liuzzo e Cristiano, la biglietteria «non era un posto così», ma rappresentava una sorta di “front-office” per i membri delle cosche. Un avamposto di privilegi che per Passalacqua erano continuati anche dopo la scarcerazione nel processo “Meta”, dove riceverà una condanna definitiva per 416-bis.
«Doveva andare in sentenza definitiva – racconta Cristiano – e si abbracciava col dottore Repaci di Caronte, si abbracciavano nel piazzale e gli ha fatto un turno ‘ad hoc’ a metterlo alla biglietteria delle navi». E anche dopo l’arresto, Repaci «l’ha rimesso nuovamente là». Passalacqua sconta un periodo di detenzione dal giugno del 2010 all’ottobre del 2015. Prossimo alla scarcerazione avrebbe contattato Antonino Repaci per riavere il posto di lavoro. Il 21 gennaio 2016, Repaci si rivolge all’amministratore delegato, Calogero Famiani, comunicandogli che il dipendente, appena scarcerato, avrebbe voluto riprendere servizio. Scrive l’organo proponente: «Risulta evidente che la società, in conseguenza delle pesanti accuse mosse al Passalacqua nel processo “Meta” (che avevano portato in primo grado alla condanna del predetto alla pena di 16 anni in quanto ritenuto esponente della cosca “Buda-Imerti”) avrebbe certamente potuto invocare la giusta causa per l’immediato licenziamento. Viceversa la società decideva di non interrompere il rapporto di lavoro e anzi gli assicurava un trattamento di favore, venendo incontro a tutte le esigenze da lui prospettate con la creazione di un apposito turno di lavoro». Il 14 marzo 2016 viene così formalizzata la riassunzione di Domenico Passalacqua nelle fila della “Caronte”.
Il 13 settembre 2017 Passalacqua è soggetto alla misura di prevenzione personale della “sorveglianza speciale”, ma anche questa evenienza non scalfisce il restaurato rapporto lavorativo ed anzi, i dirigenti della società, «per risolvere la questione senza troppi problemi decidevano di proporre al predetto di corrispondergli la retribuzione anche in assenza di prestazioni lavorative, sino all’ormai prossimo pensionamento». Circostanze che smentirebbero – secondo gli inquirenti – le dichiarazioni rese il 21 maggio 2019 da Vincenzo Franza che sottolineava come la società «avesse tentato invano di licenziare Domenico Passalacqua durante la latitanza».
Servizi di ristorazione e pulizie
Nel tempo, le mire della ‘ndrangheta sono evolute in veri e propri interessi imprenditoriali. La Dia di Reggio Calabria ha accertato in tal senso come proprio Massimo Buda e Domenico Passalacqua avessero «coltivato lucrosi interessi attraverso servizi loro affidati da “Caronte&Tourist”, costituendo a tal fine delle società, gestite in alcuni casi attraverso soggetti terzi». Diverse le realtà imprenditoriali monitorate dalla polizia giudiziaria.
Anzitutto la “Caap Service Srl” che gestisce il servizio bar-ristorazione a bordo delle unità navali. La compagine societaria è composta, oltre che da Domenico Passalacqua, anche dai fratelli Filippo e Antonio Aquila, fratelli di Giuseppe, condannato per associazione mafiosa e nipoti del boss Demetrio Rosmini, ai vertici dell’omonima cosca. Completa l’organigramma Giuseppe Campolo, figlio del defunto boss Bruno Campolo, esponente della ‘ndrangheta reggina e, secondo i “pentiti”, «divenuto un importante collaboratore del cavaliere Amedeo Matacena».
Proprio in seguito alle citate inchieste, la società era passata in confisca di secondo grado nel 2019, quando la Corte d’Appello evidenziava come l’attività d’impresa fosse «contaminata da proventi illeciti». Nonostante ciò, il rapporto con la “Caronte” non era mai stato interrotto, ed anzi «l’esternalizzazione in favore della “Caap” – scrive l’organo proponente – è stata altresì mantenuta nonostante la “holding” fosse da tempo direttamente impegnata in analoga attività di ristorazione, tramite la società “L’Ancora Srl”» riconducibile al gruppo Franza. Delle 5 navi su cui è garantito il servizio di ristorazione, tre spettano alla “Caap” e due alla società del gruppo Franza. Secondo la Dia, tale condotta «è difficilmente spiegabile in ottica squisitamente imprenditoriale e giudicata “antieconomica” dallo stesso amministratore Antonino Repaci nel corso di una conversazione intercettata».
L’altro amministratore, Vincenzo Franza, si è limitato a dire di aver recepito quanto ereditato dalla gestione Matacena come emerge anche da una conversazione dove spiega al figlio: «Quando l’abbiamo fusa si sono portati dentro questo che è 40 anni che lavora là con loro» parendo quasi rassegnato all’esternalizzazione in perpetuo del servizio alla ditta in questione.
Dopo l’ingresso in società del fondo inglese “Basalt Infrastructure Partners”, Vincenzo Franza e il dirigente Rino Famiani discutono della possibilità di internalizzare il servizio svolto dalla “Caap” «avendo cura di non modificare gli equilibri preeistenti». In altri termini: «”Caronte&Tourist” avrebbe voluto acquisire i ramo d’azienda della predetta e assorbire tutte le maestranze» di modo da far diventare tutti i collaboratori dipendenti effettivi della società di navigazione. Proprio in quel frangente, le quote possedute nella “Caap” da Domenico Passalacqua erano state sottoposte a confisca, ma la decisione di rescindere il rapporto contrattuale maturerà solo dopo aver appreso delle indagini in corso da parte della procura, a far data dal 31 marzo 2020.
Altra è la società cooperativa “Vep Services” che svolge il servizio di pulizia a bordo delle navi. In questo caso Domenico Passalacqua, classe 88 (nipote del predetto) risulta amministratore unico. La proprietà della cooperativa, secondo la Dia, era però chiaramente riferibile a Domenico Passalacqua mentre i parenti fungevano da prestanome «secondo quel sistema di passaggi interni alle famiglie che avevano garantito la prosecuzione dei sistemi di infiltrazione mafiosa di “Caronte&Tourist” e delle imprese del suo indotto».
La “Vep” inizia la sua attività nel marzo 2012, subentrando alla liquidata “Griverpass” in tutti i rapporti contrattuali con la “Caronte”.
Servizi di prenotazione biglietti e disinfestazione
Altri servizi che gli inquirenti hanno accertato in mano alla cosca sono quelli della disinfestazione e della prenotazione dei biglietti gestiti attraverso alcune società in questo caso riferibili a Massimo Buda attraverso la formale schermatura dei prossimi congiunti.
In tal senso si fa riferimento alla “Carist” di Teodoro Cristiano, cognato di Massimo Buda dedita alla disinfestazione e derattizzazione delle navi e alla “Cam Service Srl”, sempre riconducibile alla famiglia Buda, per il servizio di prenotazione per l’imbarco degli autotrasportatori.
La Dia descrive questa soprattutto questa società come «in continua espansione, che opera in partnership con la “Caronte” nel settore armatoriale e che nel 2014 aveva dichiarato un fatturato di 2.809.904,00 euro fino a superare i 4 milioni nel 2016». Lo “schermo” in questo caso è Alberto Carlo, anch’egli cognato di Buda.
Vero “dominus”, come accertato dagli inquirenti, era però Massimo Buda che si premurava di far assegnare alle ditte di riferimento i lavori all’interno delle navi.
Conclude quindi la Dia che «la vicenda accertata costituisce un paradigmatico esempio di come la tolleranza indifferenziata, palesata dall’alta dirigenza e dalla proprietà della Spa, in ordine alle dinamiche di infiltrazione della ‘ndrangheta nei suoi sistemi interni e a quelle predatorie nei settori esternalizzati, li avesse ridotti a campi di battaglia tra gli esponenti della ‘ndrangheta, che se li contendevano in base alle rispettive capacità di intimidazione ed assoggettamento, ovvero con il tipico metodo mafioso». (redazione@corrierecal.it)
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