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«Pronti a firmare di tutto». Per i manager dell’Asp le norme non contano

Per il gip gestione Mauro segnata da due anni di illegittimità. Diventano un caso i compensi che l’ex dg riceve da un privato. Nel 2019 la denuncia del revisore: «La politica conosce la situazione»

Pubblicato il: 07/02/2021 – 14:41
di Pablo Petrasso
«Pronti a firmare di tutto». Per i manager dell’Asp le norme non contano

COSENZA Non c’è stata settimana in cui la nomina e l’operato di Raffaele Mauro, ex direttore generale dell’Asp di Cosenza, non siano stati criticati. E non c’è stata volta in cui la parte politica che lo ha nominato non lo abbia difeso. Non è una novità, alle nostre latitudini politiche: a prescindere dal merito, dai numeri, dalla qualità delle prestazioni sanitarie. Il quadro che dell’Azienda sanitaria provinciale offre l’indagine “Sistema Cosenza” è drammatico. Quello di un ente ingovernabile, nel quale resta in sella chi è disposto ad assecondare le volontà della politica, anche in questo caso a prescindere dal colore. «Qui comanda chi è disposto a turarsi il naso e firmare di tutto», ci spiega un funzionario di lungo corso che chiede l’anonimato. 

«La politica sa tutto»

Chi denuncia, invece, perde il posto. È il caso di Sergio Tempo, commercialista e membro del collegio sindacale che ha messo in evidenza per primo i “buchi” nel bilancio e l’insostenibilità della situazione finanziaria dell’Azienda, specie riguardo a un contenzioso di entità monstre. Tempo ha lasciato tracce scritte della propria attività, ha indicato problemi grossi come macigni, evidenziato che il bilancio 2018 era un racconto di fantasia, così come concepito (e infatti non è ancora stato approvato). La risposta della politica? Lo ha mandato via. Il professionista ha riassunto, nel gennaio 2019, parte delle anomalie riscontrate in un intervento pubblicato dal Corriere della Calabria. E proprio nel gennaio 2019, l’agitazione dei vertici dell’Asp ha toccato – in seguito alla pubblicazione di quelle riflessioni – il proprio acme. Tempo parla di «abnorme ammontare del contenzioso», che il Collegio sindacale aveva stimato in oltre un miliardo di euro. E spiega che l’Asp aveva «omesso di comunicare» quell’importo «sottraendosi quindi ad un suo preciso obbligo di legge». Poi evidenzia che la situazione era stata illustrata «anche» alla «politica ai massimi livelli regionali». Una delle sue riflessioni è una sentenza: «Tutti erano perfettamente consapevoli della drammatica situazione in cui versa l’Asp di Cosenza». Eppure il “sistema” è andato avanti con i soliti metodi che, oggi, permettono al gip di Cosenza Manuela Gallo di descrivere un quadro tremendo. Specie se le parole durissime impresse nell’ordinanza sono riferite a manager che di solito si auto-investono di una lotta a lobby e malaffare diventata una formula retorica.   

«Due anni di violazioni di legge»

Per il giudice delle indagini preliminari, Raffaele Mauro avrebbe «reiteratamente adottato condotte lesive delle fede pubblica, dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione nell’intero periodo della sua gestione dell’Azienda sanitaria protrattosi per più di due anni». Due anni in cui «l’agire» del direttore generale sarebbe stato «improntato a macroscopiche violazioni di legge e alla sistematica pretermissione (omissione, ndr) dell’interesse pubblico in favore di interessi privati». Il manager, nelle conversazioni intercettate, «difende strenuamente la sua condotta nella piena consapevolezza dei profili di illegalità della stessa e anzi manifesta insofferenza nei confronti di chi gli muove delle critiche e noncuranza rispetto alle possibili conseguenze, anche di natura penale». Mauro non è più il dg dell’Asp ma, ricorda il gip, «risulta iscritto quale libero professionista all’Albo dei consulenti del Tribunale di Cosenza e aver ricevuto numerosi incarichi di consulenza tecnica quale medico-legale». Una veste nella quale «può senz’altro reiterare condotte lesive del pubblico interesse ed in particolare dei beni giuridici che vengono in rilievo nella presente trattazione». 

Compensi privati per l’ex direttore generale

C’è dell’altro nelle valutazioni del magistrato. L’ex direttore generale, infatti, «risulta, inoltre, percepire compensi dalla società Medical Service A. S. con sede in Roma, il cui oggetto sociale è la vendita di apparecchiature elettromedicali». Un fatto che potrebbe aumentare «l’attuale pericolosità di Mauro che, attraverso la suddetta società, potrebbe venire in contatto con enti pubblici». I «solidi» legami «con esponenti di rilievo delle istituzioni e della politica locale e nazionale» consigliano di applicare al medico la misura del divieto di dimora in Calabria. 

«Bruno agisce ancora da manager»

Luigi Bruno, ex dirigente amministrativo dell’Asp, «anche a seguito della cessazione dell’incarico, ha commesso reiteratamente plurimi delitti della stessa indole con modalità che rivelano spregiudicatezza e disinvoltura allarmanti». La sua «pericolosità si coglie anche nei ripetuti riferimenti ai solidi legami che lo stesso avrebbe con esponenti di rilievo della “costa jonica” ed alle promesse che avrebbe fatto agli stessi in ordine alla gestione di interessi rilevanti nell’ambito dell’Azienda». Anche dopo la cessazione dell’incarico, questo per chiarire il livello di “caos organizzato” nell’Azienda, Bruno avrebbe «continuato ad agire, di fatto, quale direttore amministrativo e ad esercitare le sue influenze anche dopo la formale cessazione dell’incarico, addirittura partecipando a un incontro in Regione per discutere del bilancio e alle sedute della commissione disciplinare».

Chi comanda all’Asp

C’è, poi, la figura di Giovanni Lauricella, attualmente a capo della Uoc Affari Legali e Contenzioso dell’Asp. Lauricella è un dirigente di lungo corso, una persona «che evidentemente (e non a caso) è riuscita a mantenere la propria posizione di potere nonostante gli avvicendamenti al vertice e i cambiamenti degli equilibri politici». Il manager, «per quanto emerso dall’indagine, è soggetto di spiccata pericolosità posto che risulta essere stato chiamato in causa quando c’era da assumere decisioni scomode che pochi altri avrebbero avallato». È sempre pronto a intervenire ed «è l’uomo chiamato ad avallare le decisioni dei vertici dell’Azienda, da chiunque essi siano rappresentati e costi quel che costi». Firmare di tutto per restare aggrappati ai posti di comando. È il mantra di un pezzo dell’Azienda di cui fa parte, secondo la magistratura cosentina, anche Remigio Magnelli, direttore della Uoc Risorse Umane. Come Lauricella, Magnelli «fa parte dello “zoccolo duro” dell’Azienda e si è mostrato costantemente disponibile ad assecondare la volontà dei vertici anche in spregio della legge e dell’interesse pubblico, esercitando la propria indebita influenza su collaboratori e sottoposti». La catena di comando è chiara. E va dalla politica ai manager. Chi firma fa carriera, chi segnala sparisce. (p.petrasso@corrierecal.it)

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