LAMEZIA TERME Attualmente sospeso dopo la sentenza del Tar che ha imposto la ripetizione delle operazioni di voto in quattro sezioni, Paolo Mascaro ha comunque chiuso il capitolo relativo alla sua “incandidabilità”. Nelle scorse settimane, e dopo la riunione del 30 novembre scorso, sono stati i giudici della Corte di Cassazione (prima sezione civile) presieduta dal giudice Francesco Tirelli, a dichiarare “inammissibile” il ricorso avanzato dalla Procura Generale della Repubblica e dal ministero dell’Interno, avverso alla sentenza di secondo grado già pronunciata dalla Corte d’Appello e che di fatto aveva già respinto la richiesta di incandidabilità del sindaco lametino. Contestualmente sono stati respinti, invece, i ricorsi presentati dai due consiglieri comunali, Giuseppe Paladino e Pasqualino Ruberto.
Sono le motivazioni a fornire però tutti i dettagli che consentono di ricostruire il quadro e a spiegare, di fatto, la decisione assunta dalla Corte di Cassazione. Per i giudici la dichiarazione di incandidabilità «degli amministratori le cui condotte hanno dato causa allo scioglimento dell’organo deliberativo dell’ente pubblico locale è demandata al solo ministro dell’Interno» e «deve escludersi la legittimazione attiva al ricorso per Cassazione, avverso alla decisione impugnata, della Procura della Repubblica presso la Corte di Appello di Catanzaro».
Per quanto riguarda la posizione del sindaco di Lamezia, in particolare secondo i giudici, sarebbe stata decisiva «la carenza di legittimazione della stessa (la Procura Generale ndr) al ricorso per Cassazione», atteso che il potere di proporre impugnazione spetta, in genere, solo a colui «che abbia formalmente assunto la qualità di parte del precedente giudizio» e non ha alcun seguito neanche l’affermazione della Procura che ha «proposto il ricorso nell’interesse della legge» perché «compete esclusivamente al Pg presso la Cassazione quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato».
La decisione dei giudici della Corte di Cassazione si rifà peraltro ad un’altra sentenza, emessa nel 2016, che ha evidenziato come «l’unico soggetto legittimato a proporre, in primo grado, l’istanza in parola è il ministero dell’Interno» potendo l’eventuale iniziativa in tal senso della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello valere, al più, «come sollecitazione all’esercizio dei poteri ufficiosi da parte dell’organo legittimato, o alla trattazione con il rito camerale del procedimento avviato da quest’ultimo».
La vicenda per i lametini, e non solo, è ben nota e risale al 24 novembre del 2017 quando è stato disposto lo scioglimento (il terzo) per infiltrazioni mafiose del Consiglio comunale di Lamezia Terme. Gli accertamenti della commissione d’accesso al Comune, infatti, ad ottobre del 2017 avevano accertato il «condizionamento dell’azione dell’amministrazione comunale di Lamezia Terme e la responsabilità dei signori Paladino Giuseppe e Ruberto Pasqualino». Dall’operazione “Crisalide”, infatti, emergeva «l’appoggio elettorale – è scritto nella relazione – offerto dalla cosca Cerra-Torcasio-Gualtieri ai due candidati». Pasqualino Ruberto è stato poi assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa mentre Giuseppe Paladino è stato condannato in primo grado a sei anni. Tra le cause dello scioglimento del Consiglio comunale c’era anche la gestione «operata da diversi responsabili di settore del Comune, caratterizzata da un generale disordine amministrativo, con affidamenti diretti e proroghe a favore delle medesime imprese». Il 4 gennaio del 2018, il ministero dell’Interno ha poi trasmesso al presidente del Tribunale di Lamezia gli atti, chiedendo anche l’incandidabilità del sindaco, Mascaro, e degli amministratori Paladino e Ruberto. È il 7 agosto 2018 quando lo stesso Tribunale pronuncia l’incandidabilità dei due consiglieri ma non quella di Mascaro. Contro questa decisione ricorrono in Appello Giuseppe Paladino, il ministero dell’Interno, il Procuratore generale della Corte d’Appello di Catanzaro, ma senza successo con la sentenza del 6 novembre 2019 e che, di fatto, ha aperto la strada alle elezioni e alla vittoria dello stesso Mascaro nell’ultima tornata elettorale lametina.
Altro punto importante era, invece, la difesa legale di Gianpaolo Bevilacqua «assunta da Paolo Mascaro fino almeno al 15 febbraio 2017» nel corso del procedimento “Perseo”. Per i giudici della Cassazione è «inammissibile» il ricorso contro la sentenza della Corte distrettuale, secondo la quale si sarebbe trattato «di un fatto del tutto nuovo, siccome non contenuto neanche nel decreto di scioglimento del Consiglio comunale, né nella relazione della Commissione d’accesso». Una vicenda che era già stata considerata «irrilevante» perché il Comune di Lamezia «non aveva neanche la possibilità di costituirsi parte civile». Per la Cassazione, infatti, non c’è alcune «rilevanza pratica» o «alcuna utilità concreta» dal momento che dalla pronuncia della Corte «non deriverebbe alcuna conseguenza in ordine alla controversia dedotta in giudizio».
La Cassazione, invece, ha respinto i ricorsi presentati da Giuseppe Paladino e Pasqualino Ruberto per un presunto «difetto di legittimazione passiva in capo al ricorrente», confermando dunque la loro incandidabilità. Paladino e Ruberto, infatti, sostenevano che la Corte d’Appello avrebbe dovuto tener conto delle loro dimissioni arrivate prima della nomina della Commissione d’accesso al Comune di Lamezia Terme. Per i giudici però – come già sottolineato nella sentenza impugnata – l’eccezione si basa su «un’argomentazione priva di pregio», precisando che il riferimento alla norma che indica che “gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento (…) non possono essere candidati” deve essere letta «non come rivolta agli amministratori ancora in carica, bensì come sanzione con funzione preventiva e cautelare, rivolta a limitare nel tempo l’elettorato passivo dei soggetti che hanno permesso o tollerato le infiltrazioni criminali nella gestione dell’ente pubblico».
Il ricorso presentato dal ministero dell’Interno, infine, riguardava il rigetto della pronuncia di incandidabilità per il sindaco Mascaro. Secondo i giudici della Corte di Cassazione, però, è da considerarsi «inammissibile perché tardivamente proposto». Sebbene lo si possa considerare “incidentale” e successivo a quello principale (presentato da Mascaro ndr), è comunque da considerarsi tardivo «perché notificato solo il 27 aprile del 2020, oltre il termine di 40 giorni decorrenti dal 3 gennaio 2020». Il termine, infatti, è scaduto l’11 febbraio 2020, ben prima della sospensione prevista nel periodo tra il 9 marzo e l’11 maggio per l’emergenza Covid. (redazione@corrierecal.it)
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