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i nodi politici

«Il “DiBa fan club” vive su un altro pianeta. Ma i parlamentari M5S stanno con Grillo (e Conte)»

«Buoni o cattivi. Non è la fine. Prima c’è il giusto o sbagliato da sopportare, da sopportare. Che di per sé è maledetto, perché divide. Mentre qui tutto dovrebbe solo unire». Vasco Rossi è come u…

Pubblicato il: 11/02/2021 – 7:12
di emiliano morrone
«Il “DiBa fan club” vive su un altro pianeta. Ma i parlamentari M5S stanno con Grillo (e Conte)»

«Buoni o cattivi. Non è la fine. Prima c’è il giusto o sbagliato da sopportare, da sopportare. Che di per sé è maledetto, perché divide. Mentre qui tutto dovrebbe solo unire». Vasco Rossi è come un filosofo: i suoi testi non invecchiano, ma sopravvivono alle mode, al rumore, all’effimero.

«Bene» e «male» sono le categorie della politica digitale, virtuale, surreale. E santi e demoni i protagonisti del racconto dominante sul regno del potere, limitato al conflitto tra i giusti e i malvagi, i puri e i macchiati. In questa letteratura social c’è un richiamo all’«homo homini lupus» di Hobbes. Inoltre vi è un qualche riflesso di padre Karras, «L’Esorcista» del film di William Friedkin, e del destino dell’«Ulisse» omerico, che significa «odiato dai nemici». La trama piace, appassiona, rende. Specie alle urne, anche se sposta la realtà sul piano della riduzione scenica.

Anzi, messa così la storia coinvolge lo spettatore proprio perché lo distrae: offusca il ruolo della responsabilità individuale, esaspera i fatti e ne offre una lettura spicciola, per molti versi consolatoria, perpetua, di opposti da scegliere. A volte questa insopportabile semplificazione sembra perfino l’aggiornamento dello schema del profeta Mani: il Padre di Grandiosità contro il Re dell’Oscurità, la luce e le tenebre. In sostanza è il copione che la politica italiana ha interpretato da Tangentopoli in avanti, a prescindere dalle vicende, dai trattati e dalle crisi dell’Europa, in primo luogo culturali. E rappresenta la base ideologica del gattopardismo degli ultimi 30 anni, che si risolve nel «tutto deve cambiare perché tutto resti come prima».

Perciò nel giudizio di superficie Mario Draghi diventa il terribile «Signore degli Anelli»: per aver governato Bankitalia e Bce, per i trascorsi in Goldman Sachs e addirittura per il liceo dai padri gesuiti. Mentre Alessandro Di Battista passa come l’eroico Frodo, che, malgrado l’Italia sprofondi nell’abisso dell’incertezza, della disoccupazione e delle diseguaglianze, ricorda ai fedelissimi le priorità, la missione collettiva: revocare le concessioni autostradali e non mischiarsi con quel Silvio Berlusconi che affidò la genesi di Forza Italia a Marcello Dell’Utri, condannato per rapporti con la mafia.

DiBa e fan club vivono su un altro pianeta, perché non sembrano preoccupati di come adesso viviamo in Italia. Infatti insistono, peraltro citando a sproposito un’intervista di «Gratteri su possibili infiltrazioni mafiose nell’economia», su argomenti fuori del momento, del contesto drammatico, plasmato dal Covid, che la politica deve affrontare archiviando doppiezze, insufficienze e propaganda. Questi rivoluzionari senza ferite paiono insensibili all’appello del Capo dello Stato all’unità nazionale. Ignorano i mutamenti, le urgenze che la pandemia ha determinato.

Il quadro non muta, rotolando verso Sud. In Calabria il dem Nicola Irto risulta inaccettabile agli occhi dei grillini integralisti. Ma senza analisi politiche. L’ex presidente del Consiglio regionale «ha avuto un ruolo di primo piano nella consiliatura di Oliverio», sentenzia la senatrice M5S Bianca Laura Granato. La quale si rivolge a Luigi de Magistris e Carlo Tansi: spera di incontrarli «su un progetto comune che costituisca l’ancora di salvezza per la Calabria». Cattivi e buoni su due piedi.

Il motivo apocalittico-escatologico ricorre fisso, in questa teologia della politica 2.0. E si sposa con le sigle, le icone di un linguaggio povero di contenuti e prospettive. Per esempio condensato nell’acronimo «PUT», «Partito Unico della Torta». Ma l’essenziale è invisibile agli occhi. E non viene detto, tematizzato, discusso. Come se non esistessero la sofferenza economica, sanitaria e sociale, i ritardi sulle vaccinazioni, il Piano per la ripresa da presentare tra poche settimane, la distanza infrastrutturale e amministrativa della Calabria dal resto del Paese, la burocrazia regionale dei soliti noti, i sempreverdi che finora nessuno ha voluto e saputo sostituire.

C’è un importante aspetto politico, però, che non può passare inosservato. Con Beppe Grillo e Giuseppe Conte sta la stragrande maggioranza dei parlamentari, anche calabresi. Il cofondatore del Movimento e l’attuale garante dell’alleanza giallorossa hanno indicato l’orizzonte: ambientalismo, transizione ecologica, inclusione sociale.

Ciò significa che l’ossessione giustizialista e della casta si allontanerà dai pentastellati, che a Roma e sui territori dovranno dare corpo e spessore alla linea tracciata nei giorni scorsi, alle proposte poi articolate a Draghi. Si tratta di un processo di maturazione, nel quale c’è un’identità definita e un percorso comune con il Pd e Leu.

Servirà del tempo, prima che l’evoluzione dei 5 Stelle si completi. Intanto è facile prevedere una scissione, perché Casaleggio junior non è Grillo: l’uno vuole ritornare alla faccia antisistema, si mormora con un altro movimento; l’altro guarda avanti, pensa al Recovery Plan che segnerà il futuro dei prossimi 30-40 anni.

Adesso è palese lo scontro tra progetti diametrali, inconciliabili. Alle due anime del Movimento 5 Stelle sarebbe utile proseguire per la propria strada, in modo da annullare dispute e tensioni interne; da formare le singole classi dirigenti in base agli obiettivi e ai risultati da raggiungere; da distinguere i differenti approcci alla complessità del governo della cosa pubblica, al ragionamento politico, alla soluzione dei problemi dell’Europa e dell’Italia, del Mezzogiorno e della Calabria.

Questa separazione potrebbe giovare anche agli altri partiti. Specie alle nostre latitudini, dove è maggiore il bisogno di cambiamento, potrebbe accelerare l’inizio di una nuova stagione politica. Nella quale sia possibile, con riguardo a tutti gli attori, discernere l’improvvisazione dalla competenza, l’opportunismo dalla capacità, la sufficienza dalla profondità, la voglia di distruggere da quella di costruire. Allora sì, potremo parlare di «buoni o cattivi». E riprendere la lezione di Vasco.

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