REGGIO CALABRIA «La ‘ndrangheta guarda al Lussemburgo con interesse per investire e riciclare capitali proprio per la presenza, in quello Stato, di sistemi finanziari e “casseforti” discrete». A lanciare l’allarme è il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, che apre uno squarcio sul tema oggetto di una delle ultime inchieste dei giornalisti di IrpiMedia, che raccontano “Come la ‘ndrangheta è arrivata in Lussemburgo”. L’inchiesta non soltanto si rivolge a ricostruire una vera e propria filiera basata su un sistema di società “a tempo”, ma guarda anche alla storia delle migrazioni calabresi nel Granducato (con specifico riguardo alla zona ricompresa tra le cittadine di Differdange, in foto e Niederkorn) e ai rischi di contaminazione ‘ndranghetista ai quali è esposta oggi la comunità migrante sana. Al centro, due figure collegabili ai clan di Siderno e Mammola, nella provincia di Reggio. A loro si riesce a risalire oltre che attraverso inchieste più o meno risalenti nel tempo, anche grazie ai dati recentemente svelati attraverso il lavoro confluito nell’inchiesta OpenLux.
Il primo è Santo Rumbo, 32enne originario di Siderno, arrestato lo scorso 9 agosto 2019 nell’ambito dell’operazione “Canadian Connection”. Da subito destinatario della custodia cautelare in carcere, si trova ai domiciliari dopo la pronuncia del Riesame – come spiega il suo legale, Giuseppe Calderano del Foro di Locri – in attesa di essere processato con rito abbreviato insieme ad altre 19 persone.
Santo Rumbo è figlio di Riccardo Rumbo, detenuto al 41-bis. Le indagini, a dispetto della giovane età, gli addossano la dote di “Trequartino” quindi con la possibilità di sedere al “tavolo dei grandi” dell’associazione. Si era trasferito in Lussemburgo, dov’è stato arrestato, dopo il rientro dal Canada e il transito in Calabria. Secondo l’inchiesta, nel Granducato si sarebbe reso partecipe di un sistema basato sulla creazione di società – in alcune delle risulta amministratore – finalizzate all’avvio di attività di bar o ristorazione e «accomunate in buona parte dalla loro vita breve» nonostante appaiano frutto di investimenti significativi, derivanti anche dalla Calabria. E tuttavia, dopo le chiusure, le stesse persone si trovano pronte ad aprire nuove attività. Un “modus operandi” che, secondo gli inquirenti «potrebbe essere sintomo di una precisa strategia che la ‘ndrangheta utilizza per riciclare fondi illeciti».
Al centro dell’inchiesta finisce anche il figlio, mai indagato per ‘ndrangheta, di Rodolfo Scali, conosciuto come capo della “locale” di Mammola e condannato nell’ambito del processo scaturito da “Crimine”. Quest’ultimo è figura di spicco della ‘ndrangheta oltre che uomo di fiducia di Giuseppe Commisso, reggente dell’omonima cosca. Anche sulle sue attività nel Granducato vengono accesi i riflettori, oltre che sui viaggi d’affari dalla Calabria al Belgio ed altri possibili interessi che nel tempo avrebbero attirato l’attenzione delle “famiglie” nella terra divenuta celebre nel tempo, almeno fino alle disposizioni nazionali e internazionali più recenti, per la riservatezza nella gestione dei capitali.
Per dirla ancora con Giuseppe Lombardo «in Lussemburgo è stata riscontrata l’operatività di soggetti di ‘ndrangheta non catalogabili in modo agevole, proprio per la presenza di rapporti molto risalenti nel tempo. In altre occasioni sono emersi riferimenti a persone legate da vincoli di parentela con soggetti che avevano operato in quei territori in periodi in cui l’attenzione investigativa non era particolarmente alta, soprattutto in tema di analisi dei flussi finanziari, o non era stata ancora avviata l’azione investigativa orientata a ricostruire tutte le proiezioni estere della ‘ndrangheta».
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