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«Non avevo considerato la mortificazione delle manette. Ora mi dedicherò alla mia famiglia»

Intervista del sindaco di Rosarno Giuseppe Idà. «Spero il processo sia breve. Non è vero che non mi importa dei “neri”»

Pubblicato il: 15/02/2021 – 8:18
«Non avevo considerato la mortificazione delle manette. Ora mi dedicherò alla mia famiglia»

ROSARNO Lunga intervista negli studi Rai di Buongiorno regione da parte del sindaco di Rosarno, Giuseppe Idà, al centro dell’inchiesta “Faust” della Dda di Reggio Calabria. Al primo cittadino è stata di recente revocata la misura degli arresti domiciliari.
Il nucleo dell’indagine vuole che la candidatura e l’elezione di Idà a primo cittadino della città della Piana sia arrivata grazie all’aiuto dei clan e di uomini vicini alle cosche. Tra le varie “famiglie”, si fa principalmente riferimento ai Pisano, egemoni su quel territorio.
«Affronto la vicenda giudiziaria con una serenità d’animo che mi conforta e mi consente guardare a questo processo sperando che sia il più breve possibile». Idà parla di vero e proprio «errore degli inquirenti» ribadendo l’estraneità della sua amministrazione rispetto alle dinamiche mafiose: «Abbiamo amministrato 4 anni e mezzo con legalità e rigore. La dimostrazione sono i fatti che vanno dall’affidamento dei beni confiscati alla costituzione di parte civile nei processi contro la ‘ndrangheta».
Le intercettazioni raccontano però il contrario e parlano di una candidatura «sostenuta ed architettata» dalle cosche. «Se lette con terzietà – rimarca Idà – le carte dicono che parlavo con un dentista accreditato al servizio sanitario nazionale che ha riportato una sola condanna anni or sono. In quel momento nessuno poteva immaginare fosse un mafioso. Anche durante la campagna elettorale non ha mai assunto atteggiamenti di prevaricazione che potessero farmi capire che si trattasse di metodo mafioso».
Secondo la procura distrettuale di Reggio, Idà, dopo aver usufruito dell’appoggio delle cosche per vincere le elezioni, avrebbe deciso di voltare loro le spalle suscitando le ire di alcuni affiliati.
«Non ho voltato le spalle a nessuno. Ho vinto con l’appoggio delle persone perbene. L’unico candidato discutibile è stato allontanato dopo pochi mesi ma non per i suoi presunti rapporti coi clan, bensì perché c’era stato tra noi un rapporto conflittuale e per questo gli abbiamo detto di andare all’opposizione».
La provincia di Reggio Calabria conta la più profonda penetrazione delle cosche nella “res pubblica”, con un grande numero di amministratori che finiscono al centro di vicende giudiziarie. «La ‘ndrangheta – dice Idà – esercita sul nostro territorio un ruolo di inquinamento. Noi siamo stati un argine, abbiamo vinto grazie all’appoggio di quella stessa cittadinanza che in queste ore ci sta manifestando solidarietà».
Ma l’esperienza politica di Idà finirà dopo questo processo. «La mortificazione delle manette è una cosa che non avevo considerato. Per questo ho deciso di smettere i panni dell’uomo pubblico tornando ad occuparmi della mia professione e del mio lavoro, quindi della serenità della mia famiglia. Volevo far crescere mia figlia in una città migliore di quella in cui sono cresciuto io e mi auguro che tanti altri padri possano fare questa scelta».
Ultimo spunto sull’infelice battuta contro gli immigrati destinatari delle case popolari. «Mi rimprovero di aver parlato in dialetto in maniera informale. Mi frega molto dei neri, semplicemente commentavo la decisione di destinare ai migranti quelle abitazioni e volevo venisse mutata la destinazione di quegli immobili».

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