COSENZA I comuni di Cassano allo Ionio, Rossano e Corigliano (oggi città unica), tra la fine degli anni 90 e il primo decennio del 2000, sono stati teatro di una cruenta guerra di mafia tra il clan degli “zingari” facenti capo alla famiglia Abruzzese e la cosca Forastefano. Le sanguinose faide tra le organizzazione opposte sono state ricostruite nell’ambito di una serie di operazioni: “Timpone Rosso”, “Lauro”, “Lauro 2” e “Omnia” e hanno visto emergere la cosca Abruzzese come forza egemone sul territorio. Il clan Forastefano però è rimasto presente a Cassano allo Jonio, in virtù di una pax mafiosa tra le due famiglie che negli anni avrebbe portato addirittura a commettere in concorso alcuni reati come emerso nel corso dell’indagine odierna denominata “Kossa”. Nella famiglia Forastefano spicca la figura di Pasquale, figlio di Domenico Forastefano. Ha assunto il comando quando suo padre è stato costretto in carcere a seguito di alcune condanne rimediate ed è lui dal 2018 a reggere le sorti della famiglia, «occupandosi – sintetizza l’ordinanza di custodia cautelare – in prima persone delle attività estorsive e di una progressiva penetrazione nel tessuto economico soprattutto nel settore agroalimentare e dei trasporti imponendosi agli altri imprenditori locali con intimidazioni e minacce». Grazie a questo sistema è riuscito a inserire all’interno del gruppo alcuni soggetti che a Cassano allo Ionio gestiscono società agricole dedite – secondo l’accusa sostenuta dalla Dda di Catanzaro – a ordire truffe ai danni dell’Inps attraverso falsi documenti attestanti rapporti di lavoro fittizi.
L’accusa contesta ad alcuni indagati, tra cui Pasquale Forastefano, Nicola Abruzzese, Domenico Massa, Luca Talarico, Antonio Antolino, Leonardo Falbo, «la partecipazione ad una serie di truffe ai danni dell’Inps e di società di lavoro interinale». Si tratterebbe di una «truffa realizzata attraverso la somministrazione a favore dell’azienda agricola riconducibile a Luca Talarico di operai addetti alla raccolta frutta, potatori, trattoristi, fittiziamente assunti da ottobre 2018 dall’Alma Spa grazie alla collaborazione di Antonio Antolino e Leonardo Falbo, impiegati della filiale di Sibari». Obiettivo del raggiro la raccolta di denaro da far confluire in quella che viene definita “bacinella comune”, in vista di una successiva ripartizione dei proventi derivanti sia dalla riscossione in contanti delle somme (totali o parziali) accreditate dall’agenzia di lavoro interinale agli operai. «Dalla truffa ai danni dell’agenzia di lavoro è automaticamente conseguita una truffa aggravata ai danni dell’Inps per l’indebita percezione di erogazioni pubbliche». I lavoratori fittiziamente assunti hanno acquisito non solo il diritto alla contribuzione ai fini pensionistici ma anche all’indennità di disoccupazione agricola in proporzione alle giornate lavorative dichiarate. Dai riscontri effettuati nei confronti di Luca Talarico, sarebbe emerso il ricorso all’assunzione di lavoratori presenti negli elenchi trasmessi dall’Alma Spa ingaggiati però in maniera inconsapevole. Altri lavoratori, invece, erano consci del loro ruolo «tanto da non avere mai svolto alcun tipo di prestazione e restituendo al rispettivo referente del sodalizio l’intera retribuzione percepita». Chi indaga scopre una massiccia assunzione di braccianti, nel mese di ottobre del 2018. Addirittura l’azienda agricola Luca Talarico avrebbe stipulato con l’Alma contratti per 403 lavoratori. È lo stesso Talarico a procedere al reclutamento del personale da assumere e questo si evince chiaramente da una intercettazione con l’operaio Luigi Falcone, il quale chiede di essere assunto al fine di ottenere l’indennità di disoccupazione, affermando che avrebbe poi provveduto a restituire gli stipendi accreditati: «Eeh ma dopo te li ridò indietro… Mi fai bonifico e te li ridò indietro». Seguiranno altre intercettazioni utili a cristallizzare la presunta colpevolezza di Talarico. Che contatta i suoi “operai” informandoli dell’avvenuto accredito degli stipendi e per discutere della restituzione delle somme: «domani vai a vedere .. ok? allora …. non so se sono nove e venti (€ 920) … o mille, però domani ti faccio sapere sicuro la somma».
La conclusione positiva delle truffe dipendeva dal sostegno di alcuni professionisti. È il caso del commercialista Vincenzo Pesce, per cui è stata sollevata l’ipotesi di concorso esterno. «L’indagato avrebbe messo a disposizione dell’associazione le proprie conoscenze e competenze professionali» soprattutto nell’episodio della truffa ai danni dell’Alma e dell’Inps. «Senza dubbio – mettono nero su bianco gli investigatori – è intervenuto nelle fasi successive, al fine di evitare al Talarico, e di riflesso quindi al clan Forastefano, conseguenze dannose in ragione delle contestazioni elevate dall’Inps in relazione all’effettivo fabbisogno di manodopera per i terreni in questione». Altra figura di rilievo per gli investigatori è l’avvocato Giuseppe Bisantis «legale dell’associazione» che avrebbe assunto un ruolo centrale nei raggiri del settore agricolo. Secondo quanto emerso, dal mese di dicembre 2018, «l’avvocato avrebbe pianificato la strategia da adottare per sottrarsi in maniera fraudolenta al pagamento delle fatture emesse da Alma, finendo col citare in giudizio la stessa agenzia di lavoro interinale ed avanzare una richiesta di risarcimento danni in nome e per conto dell’Azienda agricola Talarico Luca, motivata sulla scorta di millantati danni arrecati alle colture dall’incompetenza tecnica degli operai somministrati». Oltre al danno, anche la beffa e magari anche gli auguri di buon anno come ricorda Pasquale Forastefano quando chiacchiera al telefono con l’avvocato Bisantis per concordare la cifra da stanziare per il suo lavoro: «Facciamo una cosa… facciamo a fine anno avvocà… al limite vi fate una camminata così ci facciamo pure gli auguri… vi facciamo trovare 5.000 euro! Entro il 15 gennaio altri 5». (redazione@corrierecal.it)
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