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Farmabusiness, «il ruolo dinamico e operativo di Scozzafava per conto dei Grande Aracri»

Il Riesame sulla figura dell’uomo-chiave nell’inchiesta sul consorzio per la distribuzione dei farmaci. «Presente a un summit con la cosca di Cutro»

Pubblicato il: 17/02/2021 – 21:13
di Alessia Truzzolillo
Farmabusiness, «il ruolo dinamico e operativo di Scozzafava per conto dei Grande Aracri»

CATANZARO Si fondava su due pilastri fondamentali la tesi difensiva, nell’istanza di riesame, dei legali di Domenico Scozzafava, l’uomo-chiave dell’inchiesta Farmabusiness, il collettore, secondo l’accusa, tra la cosca Grande Aracri di Cutro e gli ambienti imprenditoriali e politici che hanno portato avanti l’affare illecito della distribuzione dei farmaci in Calabria tramite la creazione del consorzio “Farmaitalia’’ nel quale, tra le altre cose, la cosca avrebbe investito denaro provento di attività illegali. Nessuno degli argomenti portati avanti dai legali ha però fatto breccia sul collegio dei giudici del Tribunale del Riesame – presidente Giuseppe Valea, a latere Giuseppe De Salvatore (estensore) e Mariarosaria Migliarino – che ha rigettato l’istanza di scarcerazione di Scozzafava. In primo luogo la difesa – rappresentata dagli avvocati Andrea e Dario Gareri – ha argomentato circa «l’estraneità di Scozzafava dal contesto criminale della cosca di ’ndrangheta Grande Aracri alla quale l’indagato non avrebbe mai preso parte». Scozzafava sarebbe stato estraneo al contesto mafioso, avrebbe ricevuto danneggiamenti e commenti di discredito da parte di Salvatore Grande Aracri, nipote del boss Nicolino Grande Aracri. «Il coinvolgimento dell’indagato nell’affare del consorzio farmaceutico Farmaitalia e della società Farmaeko operante nello stesso settore si spiegherebbe sulla base di un interesse personale. Scozzafava, dunque, non avrebbe agito per perseguire un interesse della cosca ma sarebbe semmai stato da quest’ultima strumentalizzato per i suoi agganci politici con l’assessore Domenico Tallini», è la tesi difensiva.
Secondo i giudici, però, «le risultanze investigative, composte da numerosissime intercettazioni, dimostrano invece che Scozzafava si attivava per portare avanti il progetto rivolgendosi, per gli aspetti burocratici, all’assessore Domenico Tallini (“… ha un bando grosso di 16 milioni di euro che vuole farlo qua… – …che sono con certi amici così pure te li presento…)». Non solo. I rapporti di Scozzafava Salvatore Grande Aracri esistevano ed erano ben saldi, tanto che il 5 dicembre 2013 Domenico Scozzafava è stato intercettato mentre si recava alla stazione ferroviaria di Lamezia Terme a prendere Salvatore Grande Aracri per poi andare a Cutro e quindi ad un pranzo in località Le Castella insieme anche ad altre persone rimaste non identificate». Molto probabilmente nel corso di quell’incontro Scozzafava ha parlato con Salvatore Grande Aracri del progetto di realizzazione del consorzio farmaceutico. La conferma della natura dell’incontro si evincerebbe dalla telefonata, fatta lo stesso giorno, al commercialista romano Paolo De Sole al quale Scozzafava «comunicava che aveva ricevuto la telefonata dell’assessore Domenico Tallini, in cui quest’ultimo gli aveva annunciato di avere “già tutto pronto per quel discorso”». Poi Scozzafava passa il telefono a Salvatore Grande Aracri, il quale si rivolge a De Sole chiamandolo «amico mio» mentre De Sole lo chiama «“il mio Grande… come stai?». Inoltre Scozzafava era ben consapevole della parentela di Salvatore Grande Aracri col boss, tanto da definirlo, nel corso di una conversazione, «il nipote di quello».

La fondazione del consorzio

Altro pilastro su cui si fonda la difesa è che «Scozzafava non ha avuto alcun ruolo all’interno di compagini societarie». Le indagini mostrano, però, fermento nelle fasi precedenti alla realizzazione del consorzio: l’«attivismo» di Scozzafava, il viaggio a Catanzaro di Paolo De Sole per l’inizio delle visite presso le farmacie che avrebbero dovuto “consorziarsi” oppure cedere la loro attività (in quanto attualmente in difficoltà economica); le conversazioni di quei giorni evidenziavano anche il proseguire dei contatti con Domenico Tallini». Il 17 gennaio 2014 viene costituto il consorzio. Nello statuto il primo consiglio di amministrazione risulta composto da Pasquale De Sole, padre di Paolo, da Maria Luisa Scozzafava, sorella di Domenico Scozzafava, laureata alla facoltà di Farmacia dell’università “Magna Grecia” di Catanzaro, e da Raffaele Sisca, nipote di Pasquale De Sole e cugino di Paolo. E come fondatori figuravano Pasquale De Sole e Domenico Scozzafava. «Risulta infine che lo Scozzafava si recava di persona a Roma per partecipare all’atto di costituzione del consorzio», scrivono i giudici.

Il summit

Uno degli elementi sui quali si basa, invece, dell’accusa è il “summit” del 7 giugno 2014 nella tavernetta del boss Nicolino Grande Aracri (che era detenuto) alla presenza di Giovanni Abramo, genero del boss, Salvatore Grande Aracri, Giuseppeina Mauro, moglie del boss, il commercialista Leonardo Villirillo (commercialista e consulente dei Grande Aracri anche in altri affari) e il fedelissimo imprenditore e mentore dell’area catanzarese Domenico Scozzafava. «La riunione, ritenuta di estremo interesse, serviva alla cosca, come già detto, per parlare degli investimenti nel catanzarese ma, soprattutto, era funzionale per chiarire alcuni aspetti dell’importante iniziativa economica relativa alla distribuzione all’ingrosso dei farmaci».
Secondo i giudici l’ingerenza della cosca nell’affare legato al consorzio trae origine proprio da un intervento di Scozzafava il quale «ha agito parallelamente su due distinti fronti: il primo, politico, sfruttando i propri agganci con l’assessore Tallini; il secondo, criminale, facendo veicolare il progetto verso la famiglia Grande Aracri dapprima coinvolgendo Grande Aracri Salvatore e in seguito partecipando al summit nella tavernetta in data 7 giugno 2014».
Tutto l’affare del consorzio, secondo il collegio, parte proprio da Scozzafava il quale recepisce l’idea, nell’estate del 2013, in seguito a un incontro con la senatrice A. M. Ma mentre la figura della senatrice sparisce progressivamente dalla scena, quella di Scozzafava resta, anche perché, sostiene il Riesame «è stato proprio lui a proporre per primo il progetto a Salvatore Grande Aracri».

Ruolo «dinamico e operativo»

Domenico Scozzafava ha una ditta per l’installazione delle antenne Sky. Ma la tesi che si trovasse all’incontro nella tavernetta per fare delle riparazioni non regge. «… non appare plausibile – è scritto nella sentenza di Riesame – che l’indagato fosse intento a compiere un lavoro di riparazione di un impianto in un momento in cui era in corso una riunione nella quale i partecipanti – uno dei quali peraltro già notoriamente coinvolto in vicende giudiziarie (Giovanni Abramo, ndr) – discutevano sui pericoli legati ad indagini dei servizi segreti; sulle modalità per operare in modo apparentemente lecito; sulle voci correnti nell’ambiente criminale e sulla ricerca di referenti istituzionali per facilitare gli iter burocratici. Si tratta infatti di tematiche troppo delicate e sensibili, strettamente connesse allo svolgimento di un’attività illecita che, pertanto, potevano essere discusse solo alla presenza di una cerchia ristretta di persone coinvolte nel medesimo contesto criminale. Non vi sono dubbi in merito al fatto che l’indagato sapesse perfettamente quale fosse il contesto in cui si svolgeva la riunione». Quello di Scozzafava viene definito un «ruolo dinamico cd operativo per conto della consorteria criminale».

I contatti con i Gaglianesi

I rapporti tra Scozzafava e i Grande Aracri non sarebbero nati dal nulla ma si spiegano, secondo il collegio, in ragione, del fatto che Scozzafava avesse già maturato rapporti «nel particolare ambiente criminale catanzarese contraddistinto da equilibri mafiosi raggiunti nel tempo sul territorio». Il legame è tra Scozzafava e i Gaglianesi (tra i quali figura apicale è Gennaro Mellea) passati dall’essere un’articolazione degli Arena a propaggine autonoma ma riconducibile al clan di Cutro nel territorio di Catanzaro.
La consapevolezza da parte di Scozzafava circa la caratura criminale di Gennaro Mellea e del suo ruolo apicale nell’articolazione mafiosa catanzarese emerge dal contenuto delle conversazioni con Pancrazio Opipari (altro indagato, ndr) nel corso delle quali gli interlocutori discutevano proprio sull’emersione della figura di Mellea nell’ambiente criminale locale per scelta di Nicolino Grande Aracri. Inoltre, sempre nell’ambito di quelle intercettazioni, Scozzafava si autoaccusa di avere in un’occasione posizionato una “bottiglia” (incendiaria, ndr) per conto del Mellea. «Irrilevante a tal proposito – è scritto – è che l’indagato abbia nel corso della conversazione precisato di non avere compiuto alcun danno con tale gesto, posto che si tratta, come in precedenza rilevato, di un atto chiaramente intimidatorio praticato con una modalità ricorrente tra i componenti del gruppo dei Gaglianesi».
Per quanto riguarda la tesi difensiva secondo la quale Scozzafava non conosceva nessuna delle persone coinvolte nell’operazione del consorzio prima del 2013 e comunque, una volta concluse in modo negativo le attività, dal 2016 in poi egli non ha più mantenuto alcun rapporto con i soggetti della presente indagine, il collegio rileva che «non può avere rilevanza il mero tempo trascorso dalle condotte accertate, considerato il livello di inserimento di Scozzafava nell’associazione che gli ha permesso in passato di partecipare ad un summit di ‘ndrangheta e di operare come uomo di fiducia in vista della realizzazione degli interessi economici della consorteria».

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