ROMA Un gruppo criminale consolidato, strutturato e ben radicato su tutto il territorio di Roma e dintorni, legato indissolubilmente con la ‘ndrangheta calabrese. Al vertice il boss Pasquale Vitalone, 46enne originario di Sinopoli, nel Reggino, espressione del clan di ‘ndrangheta degli Alvaro, sebbene da anni stabilito, insieme alla moglie e ai suoi sei figli, in un villino alle porte di Sacrofano.
È questo quello che emerge dall’operazione “Enclave” condotta dai Carabinieri di Roma, sotto il coordinamento della Dda della Capitale e che ha portato all’arresto di 33 persone nelle province di Roma, Reggio Calabria, Venezia e Grosseto. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, cessione e detenzione ai fini di spaccio, estorsione aggravata dal metodo mafioso, intestazione fittizia di beni, detenzione e porto abusivo di armi.
Gli investigatori – si legge fra le pagine del provvedimento – sono riusciti a ricostruire l’organigramma del sodalizio criminale capeggiato proprio da Vitalone. C’è poi il cugino, Domenico Vitalone, considerato il “braccio armato” dell’associazione e al quale Pasquale avrebbe demandato le azioni ritorsive più eclatanti, utilizzando, secondo gli inquirenti, il metodo mafioso tipico della cosca Alvaro. E poi Paolo D’Agostino, Emanuele Bontempi, Oliver Di Pietro, Bojan Marinkovic e Clemente Rencricca, tutti finiti in carcere. Ci sono anche Giorgio e Giuseppe Iacino, nipoti del boss Pasquale Vitalone e Antonio Alvaro, finiti invece agli arresti domiciliari. Ma anche soggetti che manifestavano una elevata caratura criminale come Vassilev Lubomire Nikolaev, influente nei territori di Riano, Flaminio, Capena e zone limitrofe, ma comunque sottoposto al boss degli Alvaro, Pasquale Vitalone.
Gli inquirenti, inoltre, hanno documentato una lunga serie di attività di spaccio di droga e, soprattutto, la sete di potere del gruppo criminale, intenta a conquistare nuovi e più redditizi canali di approvvigionamento di grosse partite di droga, anche attraverso contatti diretti e indiretti con fonti estere.
Nel corso dell’attività investigativa gli inquirenti sono riusciti a documentare un’articolata e complessa trattativa per l’acquisto di un grosso quantitativo di cocaina proveniente dalla Colombia e arrivato in Spagna. La prima figura di riferimento è il cittadino bulgaro, Vassilev Lubomire Nikolaev, entrato in contatto con Vitalone nell’estate del 2017 dopo essere uscito dal carcere di Perugia. Nikolaev, in concorso con il socio Antony Isidori, era entrato in contatto con un soggetto colombiano per organizzare l’importazione di 12 chili di cocaina, già stoccata in Spagna, al prezoo di 26mila euro al chilo. Nel corso dell’indagine è emerso come Nikolaev avesse già versato al colombiano 14mila euro, di cui 9mila solo per la metà delle spese di trasporto dalla Colombia alla Spagna. Il referente, così come è emerso dalle indagini, era Leonardo Zambrano detto “Leo”con il quale proprio Nikolaev aveva condiviso un periodo di detenzione. I rapporti tra Nikolaev e Vitalone si intensificano nel giugno del 2017, utilizzando spesso parole in codice, con riferimento alla “riparazione di macchine”. Contatti ancora più assidui a settembre 2017, con la comparsa nell’affare di Antony Isidori, gestore di un’autocarrozzeria a Morlupo. Ad ottobre, poi, si intensificano ulteriormente i contatti tra il bulgaro e “Leo”. Le loro conversazioni, captate dagli inquirenti, fanno riferimento a “il vecchio”, di fatto il possessore dell’ingente carico di coca.
«Ti ricordi che tu mi dicevi sempre, quando usciremo faremo affari (…) adesso sembrerò un tonto se quella cosa non va in porto non sono i 9mila euro, faccio una figuraccia con queste persone» dice Nikolaev a Leo in una conversazione. «Lui mi ha dato dei nomi, il vecchio mi ha inviato dei nomi». Nei giorni successivi, come ricostruito dagli inquirenti, Leo mette in contatto il bulgaro con John Fabio Pineda Granada detto “Sebastian” e Luz Stella Garcia Uribe, referenti e complici di Leo. Gli incontri si spostano poi a Firenze e Roma per consentire al compratore di “saggiare” la qualità della coca, facendo riferimento a termini criptici come “ragazze” e “padrone della discoteca” per descrivere la droga e l’uomo che ne aveva commissionato la fornitura. A far naufragare la trattativa è stato l’arresto avvenuto il 6 ottobre 2017 da parte dei carabinieri di Roma Cassia dei fratelli Oliver e Santino Di Pietro per la coltivazione di 102 piante di canapa. Durante la perquisizione dell’officina M.N. Car i militari sono riusciti ad individuare e sequestrare 660 grammi di cocaina, 266 di hashish e 55 grammi di marijuana, oltre a 3.310 euro in contanti, detenuti per conto di Pasquale Vitalone.
«La ragazzetta abita qui, la ragazzetta pezza di m… abita qua (…) sopra ci abita la zia che è sorda». Il narcotraffico, ma non solo. Gli inquirenti sono riusciti a ricostruire anche un’evidente attività estorsiva ai danni di due soci di un’associazione sportiva di Riano per la cessione delle loro quote in favore di Nikolaev, Giancarlo Battistelli e Carmelo Sollima. I tre, come documentato dalle intercettazioni, si sarebbero resi responsabili di incendi e danneggiamenti tra il 24 dicembre 2017 e il 27 gennaio 2018. Per i tre uomini della gang la palestra era un «giocattolo» che poteva fruttare «250 mila euro l’anno». «Erano lordi, però ci potevi far girare quello che vuoi perché Luigi se la vuole riprendere (…) per far girare il nero, per far girare i soldi. Tu immagina, vado giù, ti dichiaro il venti per cento dei soldi falsi, ci ripago le persone che quando ca… se ne accorgono».
L’attività investigativa avrebbe fatto emergere, infine, la riconducibilità al boss Pasquale Vitalone della titolarità e la gestione di diverse società. Come ad esempio il bar “Gran Caffè Five Stars” situato a Roma, riconducibile alla società “Fivestars srl” le cui quote di partecipazione risultano per il 90% alla moglie del “capo” e per il 10% a suo nipote Giuseppe Iacino. Quest’ultimo, inoltre, ha poi acquisito con la formula del “rent to by” la licenza per una rivendita di tabacchi per intestarla all’altro nipote, Giorgio Iacino, destinandone l’esercizio in 7 mq ricavati nel bar. Secondo gli inquirenti Pasquale Vitalone avrebbe seguito scrupolosamente la sottoscrizione dell’accordo avvenuta il 30 agosto 2017. Giorgio Iacino arriva a Roma direttamente da Sinopoli, a bordo dell’auto di Vitalone ed è il boss a versare i primi 10mila euro dei 30mila previsti dall’accordo, attraverso un assegno circolare. Beni riconducibili al boss e ora finiti sotto sequestro.
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