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Le minacce a chi si opponeva alla cosca. «Venissero a protestare, vedrai cosa succede»

Nelle carte dell’inchiesta che ha colpito il clan Forastefano le intimidazioni «nei confronti dei sindacalisti dei lavoratori» di alcune aziende entrate nell’orbita del clan

Pubblicato il: 17/02/2021 – 18:38
di Fabio Benincasa
Le minacce a chi si opponeva alla cosca. «Venissero a protestare, vedrai cosa succede»

COSENZA Imprese costrette a piegarsi al volere della potente cosca, interi pacchetti societari passati di mano da imprenditori in difficoltà a soggetti riconducibili al clan Forastefano. Il clan mostra i muscoli – come si evince dalle carte dell’inchiesta “Kossa” – esercitando il proprio predominio a discapito di una famiglia piegata dai debiti.

Il controllo delle imprese

Giovanni Falcone, gestore di una ditta di trasporti, viene preso di mira. I bilanci in rosso della sua azienda attirano i Forastefano che, di fatto, «lo hanno costretto dietro minacce a cedere le quote societarie e la totalità dei beni aziendali, con in testa il parco automezzi». Ma c’è di più. Il clan non si accontentava del mero controllo aziendale, ma imponeva il subentro anche nella gestione dell’impresa per «ereditarne le commesse e i contratti stipulati anche con aziende nazionali». Falcone sarebbe stato più volte minacciato e in una occasione anche schiaffeggiato da Pasquale Forastefano alias “l’animale”. Un’aggressione in piena regola costata all’imprenditore la rottura della protesi dentaria. E’ questo per gli investigatori uno degli episodi che certificano la radicata presenza ed operatività sul territorio della famiglia Forastefano ormai considerata a tutti gli effetti «stabile e autosufficiente». La forza oppressiva è cresciuta di pari passo con la capacità di intessere rapporti e contatti con gli altri gruppi criminali operanti nella zona, in particolare con quello degli “Zingari”, con interessi a Cassano allo Jonio e nella Sibaritide. La manifestazione più evidente del controllo esercitato dalla due forze criminali è dato dal «meccanismo della “estorsione-protezione” applicato in modo capillare, e con poche eccezioni, in ogni forma di attività economica che si svolge nel contesto locale in cui sono insediati». Quello che il procuratore della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri, nel corso della conferenza stampa, sintetizzerà richiamando «all’ossessione» quasi maniacale per il controllo del territorio.

Un cartello di ditte

Secondo gli investigatori, il capo della cosca, Pasquale Forastefano si sarebbe servito per i suoi interessi di alcune ditte a lui direttamente riconducibili ma intestate a due prestanome Domenico Massa e Agostino Pignataro. Il primo avrebbe svolto il ruolo di uomo ombra intestandosi la titolarità della San Lorenzo Trasporti Srl, favorendo «con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, il raggiungimento degli interessi economici del sodalizio criminale che avrebbe conservato il proprio potere economico, oltre che mezzi, forza e prestigio per esercitare il proprio dominio sul territorio». Per quanto riguarda Pignataro, invece, sebbene non inserito stabilmente nella struttura organizzativa, «in qualità di imprenditore nell’ambito degli autotrasporti, metteva a disposizione del clan il proprio “know-how” utile al perseguimento di fini illeciti, svolgendo funzioni di prestanome e consigliere della famiglia». Non solo. Dalle carte emerge un ruolo ancora più importante per Pignataro, quello di «curatore degli interessi economici del clan per conto del quale contattava e faceva visita a numerose aziende operanti nel campo delle spedizioni». Perché ovviamente non bastava avere in mano una ditta di produzione merci, ma era fondamentale “possederne” una dedita al trasporto anche nelle regioni del nord. Ed ecco comparire la figura di Alessandro Forastefano «intestatario dell’impresa di autotrasporti riferibile al clan», a cui Pignataro avrebbe garantito «un adeguato numero di clienti, sottraendoli ad altre ditte concorrenti, ricorrendo quando necessario a condotte estorsive». Un sistema collaudato ed estremamente efficiente come si evince da una intercettazione captata dagli investigatori in una conversazione telefonica che coinvolge Domenico Massa. «Domè, i viaggi tuoi, non sono viaggi tuoi … allora tu quello che devi capire Domè che tu forse qua ti stai sbagliando. Allora noi abbiamo fatto la voce grossa per prendere a Pasquale perché l’agenzia dove lavoriamo tutti quanti non voleva e ci siamo presi a Pasquale per aggiustarci le macchine, no? Il lavoro lo stiamo giostrando noi ma non è il lavoro nostro Domè, tu lo vuoi capire». Appare evidente – per chi ha svolto le indagini – il coinvolgimento di Pasquale Forastefano che «ha messo il capitale necessario per aggiustare i mezzi e che quindi ora gestisce direttamente le commesse degli autotrasporti».

“Mediatori” e “subentri”

Sono tanti i soggetti che gravitano nell’orbita della famiglia Forastefano. Uomini di fiducia, impegnati a garantire e se possibile contribuire all’arricchimento del clan. Alessandro Arcidiacono si fa garante, ad esempio, del solito “subentro” della cosca in alcune società di proprietà della famiglia Tocci-Anastasio: l’”Agricola Torre della Chiesa” e “A. GRI.”. Il subingresso avrebbe «permesso alla cosca di investire nelle imprese capitali di provenienza illecita e trarre dalle stesse un notevole ritorno economico». Secondo l’accusa, Arcidiacono avrebbe vestito i panni di mediatore (non troppo disciplinato) quando avrebbe «minacciato i sindacalisti dei lavoratori delle aziende annunciando ritorsioni qualora avessero posto in essere manifestazioni di protesta, che avrebbero minato la produttività delle medesime». «E venissero qua davanti, venissero ad impedire i trattamenti, vedrai cosa succede. Ti vengo a bussare a casa».
Ad assumere la gestione delle due società entrate a far parte del portafoglio della cosca, Luca Laino. Che non si sarebbe limitato al ruolo di semplice prestanome ma anzi avrebbe «contribuito a fornite gli operai per la realizzazione della truffa ai danni della società di lavoro interinale Alma Spa». Sarebbe stato sempre Laino, secondo l’accusa, a «presentare ai vertici del clan l ‘avvocato Giuseppe Bisantis per pianificare la strategia da adottare al fine di sottrarsi in maniera fraudolenta al pagamento delle fatture emesse da Alma per il servizio prestato». Ma questa è un’altra storia ed abbiamo già avuto modo di raccontarne gli inquietanti contorni. (LEGGI QUI LA NOTIZIA)

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