CROTONE Un sistema a maglie larghe che consentiva un accesso indiscriminato da parte di cittadini non aventi titolo con «evidente esposizione a forti rischi dello Stato italiano sull’ipotetico – ma non infondato – rischio di ingresso da parte di terroristi». Lo scrive nero su bianco il gip del Tribunale di Crotone nell’ordinanza che accompagna l’operazione “Ikaros” che, questa mattina, ha portato all’arresto di 24 persone tra avvocati, agenti di polizia, polizia locale e mediatori culturali.
Dall’attività investigativa condotta dai Carabinieri di Crotone – con il coordinamento della Procura – è emersa la figura chiave di Andrea Falcone, finito ai domiciliari, considerato il promotore dell’associazione criminale: da un lato partecipa alla falsificazione delle documentazioni, dall’altro cura tutti gli aspetti dello sviluppo delle vicende legate ai suoi clienti. Per loro presentava le domande di protezione internazionale per ottenere in seguito lo status di “rifugiato” o il permesso di soggiorno “per asilo”, allegando però false documentazioni.
Le risultanze investigative restituiscono un quadro chiaro rispetto alle modalità operative di un vero e proprio organismo criminale. Agli stranieri, infatti, veniva offerta la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per diritto di asilo in Italia a fronte del pagamento di una somma di denaro, da dividersi poi tra i vari partecipanti. In compenso, i richiedenti avrebbero potuto contare su diversi “servizi” e la gestione a distanza della pratica, venendo convocati solo all’occorrenza e potendo continuare a svolgere la loro vita e la loro attività professionale nel loro Paese di origine. Una volta compilata la documentazione, gli stranieri arrivavano a Crotone e sistemati presso un b&b, poi venivano “istruiti”. Dovevano, ad esempio, negare di essere in possesso di un passaporto e in alcuni casi gli veniva anche ritirato da parte degli intermediari. Una volta completate le formalità attraverso anche la presentazione di domande d’asilo con firme false, gli stranieri rientravano nei loro Paesi dai quali avevano dichiarato di fuggire.
Dalle carte dell’inchiesta è emerso come Falcone, nelle documentazioni, fornisse false residenze e indirizzi inesistenti di immobili inagibili e che, come tali, non avrebbero potuto ospitare nessuno. Tra questi c’è “via Margherita 85” riconducibile ad un immobile in disuso a Pianopoli oppure un’impresa di affitta-camere e un’altra abitazione a Botricello. L’attività investigativa ha permesso di accertare come Falcone utilizzasse certificati UniLav e falsi modello Unico, ricorrendo sempre a due imprese come datrici di lavoro la “Impresa costruzioni srl” e la “Edil costruzioni srl”, società inesistenti e con lo stesso codice fiscale ma collegato ad un’impresa con sede legale a Gela. «Due sono pakistani…martedì e mercoledì ci sono. Parlaci prima perché altrimenti li lascio soli» riferisce Falcone al suo collaboratore Atta, pianificando alcuni impegni professionali e la gestione di alcune pratiche. «Abbiamo detto che loro sono a Pianopoli (…) quindi o mi trovi o usiamo lo stesso indirizzo di Pianopoli o mi devi trovare un altro indirizzo lì sia per i pakistani che per gli iracheni perché hanno fatto la domanda a Lamezia mi pare, tutti e quattro». I fatti risalgono al febbraio del 2018 e il dialogo intercettato dagli inquirenti riguardava proprio l’indirizzo fittizio di Pianopoli o trovare una soluzione migliore a Lamezia.
Tra i casi più significativi c’è quello che riguarda N. A., un cittadino afgano accompagnato alla Questura di Catanzaro dal delegato dell’avvocato Falcone, Gianluca Malena, finito oggi ai domiciliari. «Se in Questura te lo chiedono, dì che sei un mio collega e li hai incontrati direttamente lì davanti. Altrimenti cento domande» scrive in un sms proprio Falcone. Il cittadino afgano era in possesso però di un certificato falso che ne attestava la residenza a Sellia Marina così come era falso il certificato di stato di famiglia, rilasciato dal Comune di Sellia Marina, che attestava la residenza presso una famiglia che in realtà non era mai stata iscritto all’anagrafe. Emblematica poi la certificazione UniLav, una busta paga Inail e la certificazione unica 2017 riportando come azienda occupante la “Impresa Costruzioni srl” con sede a Crotone (in realtà inesistente) e come indirizzo di residenza un immobile certificato come «idoneo dal punto di vista igienico-sanitario» a firma di un responsabile del Servizio di Igiene Pubblica dell’Asp di Catanzaro ma che in realtà non faceva parte dell’organico del personale.
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