In Italia è in atto la transizione politica. Da Conte a Draghi, dai «disponibili» all’unità nazionale, dal No del reggente M5S Crimi al Sì di Grillo e della piattaforma Rousseau.
Il nuovo presidente del Consiglio ha detto che il suo governo «riassume il senso di responsabilità delle forze politiche che lo sostengono, alle quali è stata chiesta una rinuncia per il bene di tutti». «Questo è lo spirito repubblicano», ha precisato l’ex presidente della Bce, di un esecutivo che «nasce in una situazione di emergenza, raccogliendo l’alta indicazione del Capo dello Stato».
Dunque, ha significato Draghi, non c’è più tempo né spazio per polemiche, litigi, distrazioni e rinvii. Tradotto: bisogna voltare pagina da subito. Il presidente del Consiglio non l’ha esplicitato, ma è sottintesa anche la rinuncia alla sfida ideologica, di cui abbiamo già scritto sul Corriere della Calabria, dei «buoni» ai «cattivi» e viceversa. Il tempo fugge, la crisi avanza, bisogna agire.
Lindi o immondi continueranno ad essere i singoli, in rapporto alle loro azioni. E la giustizia, che ha le sue procedure e garanzie codificate, non si può confondere con l’indirizzo politico, con l’amministrazione della cosa pubblica. Si tratta di ambiti distinti e separati, autonomi, che concorrono alla tenuta del contratto sociale e dello Stato di diritto.
Draghi ha avvertito che la crescita dell’economia «non scaturisce solo da fattori economici». Ma «dipende – ha aggiunto – dalle istituzioni, dalla fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione di valori e di speranze». «Gli stessi fattori – ha poi specificato – determinano il progresso di un Paese».
Le parole hanno spessore e peso, soprattutto quando il governo si presenta al parlamento. «Prima di ogni nostra appartenenza, viene il dovere della cittadinanza», ha ammonito il presidente del Consiglio, poiché è «il Paese che ci chiede di fare tutto il possibile per combattere la pandemia e contrastare la crisi economica».
Così inizia un altro corso. Da un lato ci sono i guai da risolvere: delle piccole e medie imprese, delle partite Iva, delle famiglie, della sanità e anche del Mezzogiorno, finora in ombra. Dall’altro c’è il Dna del «governo dei due presidenti», che – ha scandito Draghi – «nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica». È dunque un esecutivo, ha chiarito Draghi, con condizioni e orizzonti predefiniti: «l’irreversibilità della scelta dell’euro», «la prospettiva di un’Unione europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione».
Scompaiono quindi le categorie dell’antipolitica, dell’antisistema e dell’antipatia; perché, ha osservato Draghi, «la diffusione del Covid ha provocato ferite profonde nelle nostre comunità, anche sul piano culturale ed educativo»; perché urge «rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale»; perché «è necessario investire in una transizione culturale a partire dal patrimonio identitario umanistico riconosciuto a livello internazionale». Adesso è d’obbligo spendere bene i soldi del Recovery. E la direzione è già tracciata dall’Unione europea, ribadita dallo stesso Draghi: «proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale».
I grillini hanno scelto di appoggiare il governo. Ci sono entrati per partecipare alla transizione ecologica, alle politiche per l’ambiente annunciate dal presidente del Consiglio. Dal canto loro Beppe Grillo e Giuseppe Conte hanno dato identità “green” al Movimento 5 stelle. L’ecologismo è ora il “marchio”, l’ultima occasione dei pentastellati, sulla base della linea dell’Ue circa la ricostruzione dopo la pandemia, volta a «creare un’Europa post Covid-19 più verde, digitale, resiliente e adeguata alle sfide presenti e future». Ciò posto che il 50% dei 1.800 miliardi complessivi del Piano di ripresa, secondo la Commissione europea, sarà speso per «le transizioni climatiche e digitali eque, attraverso il Fondo per una transizione giusta e il programma Europa digitale».
Grillo ha capito che non poteva trascinare il Movimento 5 stelle alle elezioni, perché sarebbe morto. A Roma e sui territori i suoi dovranno dare corpo a questa nuova veste ambientalista. E avranno abbastanza tempo per cambiare linguaggio, toni e prospettive, anche in virtù delle recenti espulsioni dei parlamentari, tra cui 7 calabresi, che hanno votato contro il governo Draghi.
Questa situazione influenza profondamente le prossime Regionali della Calabria. L’ipotesi più accreditata è che l’ala governista dei 5 Stelle provi a costruire un’alleanza con il Pd e Leu. Non ha alternativa, al momento. Gran parte dell’ala movimentista, quella degli “scissionisti”, dovrebbe invece convergere su Luigi de Magistris e Carlo Tansi, comunque avvantaggiati dalle vicende “romane”, dalla spaccatura della base pentastellata e dall’interruzione delle trattative dei giallorossi calabresi, determinata dalle dimissioni del deputato Riccardo Tucci, indagato dalla Procura di Vibo Valentia, dall’incarico di coordinatore della campagna elettorale del Movimento 5 Stelle. Il ricongiungimento dei grillini a sostegno di de Magistris e Tansi non sarebbe accettato dal sindaco di Napoli e dall’ex capo della Protezione civile regionale, che hanno costituito il terzo polo e sentono il vento dalla loro parte.
Se in Calabria si votasse l’11 aprile, il centrodestra sarebbe a un passo dal traguardo.
x
x