VIBO VALENTIA Nessuna attenuante per Antonio Pontoriero, 46enne di San Calogero, assassino di Soumaila Sacko, il migrante gambiano ucciso a colpi di fucile nell’area della fornace “La Tranquilla” il 2 giugno 2018. Sacko, un sindacalista dell’Usb, era lì per prelevare, assieme a due braccianti, lamiere con le quali i due avrebbero rivestito le loro baracche per ripararsi dal freddo della notte.
In quei frangenti, Pontoriero ha messo in atto il proprio piano omicida, senza «remore – scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza – ad attentare alla vita altrui per difendere il possesso di un bene abusivamente acquisito alla sua disponibilità, malgrado potesse raggiungere lo stesso effetto solo intimidendo, con condotta peraltro caratterizzata da reiterazione degli spari, sintomo di particolare intensità del dolo».
Pontoriero considerava la fornace come un bene di famiglia: lì avevano svolto attività lavorativa tanto lo zio (Francesco) quanto il padre (Giuseppe) dell’imputato, che infatti figuravano nell’elenco dei creditori ammessi allo stato passivo. L’immobile, posto da anni sotto sequestro per indagini connesse a un inquinamento ambientale, era affidato in custodia giudiziale al sindaco di San Calogero e, come tale, era formalmente inaccessibile.
L’intrusione, in quel giorno di giugno, ha scatenato la furia omicida dell’uomo. La sentenza sottolinea che «l’azione di Pontoriero» non si è fermata «nemmeno dopo che il Soumalia, chiaramente avvistabile dalla sua posizione, era caduto in terra colpito al capo: tanto a dimostrazione dell’assoluta accettazione (…) dell’evento morte quale possibile conseguenza della sua azione. Ove si fosse trattato di errore esecutivo l’agente avrebbe interrotto l’azione: e invece la “caccia” era continuata, con imperturbata determinazione, sino a riservate a ciascuna delle sue vittime la sua “punizione”». Pontoriero, condannato a 22 anni, ha sparato per uccidere. «La volontà omicida – sintetizza la sentenza – è indiscutibile: attingendo da quella distanza tutte e tre le vittime (…) aveva mostrato ampia esperienza nell’uso dell’arma in dotazione e, con essa, piena consapevolezza in ordine alla capacità lesiva del munizionamento».
La cartuccia a pallettoni di fabbricazione americana aveva la capacità di colpire per uccidere. In questo la sentenza smonta il tentativo dei periti di parte. «L’esperto – scrivono i giudici – arresta la capacità lesiva della cartuccia a 45 metri, ma tanto è smentito dai fatti, posto che il colpo aveva attinto mortalmente a sessanta metri». Quella cartuccia «è tarata per coprire distanze pari a 550 metri e che abbondantemente in quale range aveva impattato il capo del Soumaila cagionandone la morte».
Uccidere per la “roba”, per una proprietà che non gli apparteneva ma che Pontoriero sentiva come tale. L’imputato e i suoi familiari, d’altra parte, esercitavano «una abusiva signoria sull’area dismessa e sequestrata, tanto da aver già in passato attuato iniziative volte a impedire la sottrazione delle lamiere, usualmente prese di mira dai residenti della tendopoli di Rosarno, così da manifestare serio e concreto interesse alla conservazione dei beni, sui quali proprio la vittima unitamente ai suoi due compagni aveva inteso porre mano».
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