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I racconti del «soldato» Spatuzza. «Calabresi coinvolti mani, piedi e testa nelle stragi»

L’accordo tra le mafie per l’attacco allo Stato. L’ospitalità ai Notargiacomo in Sicilia. I legami con i Molè-Piromalli e il traffico di hashish con i Nirta in Marocco. L’interrogatorio del pentito…

Pubblicato il: 22/02/2021 – 15:41
di Alessia Truzzolillo
I racconti del «soldato» Spatuzza. «Calabresi coinvolti mani, piedi e testa nelle stragi»

LAMEZIA TERME «Io un soldato della famiglia Graviano ero». Gaspare Spatuzza, 57 anni, è cresciuto nel quartiere Brancaccio di Palermo orbitando sempre intorno alla famiglia di Cosa Nostra dei Graviano. L’amicizia fraterna nata nel quartiere si è trasformata nell’arruolamento del giovane soldato nella commissione di estorsioni omicidi e stragi di Stato. Un’ora e mezza è durato l’esame di Gaspare Spatuzza nel corso del maxi-processo “Rinascita-Scott”, istruito dalla Dda di Catanzaro contro la confederazione ‘ndranghetista della provincia di Vibo Valentia.
Come un soldato Spatuzza – interrogato dal sostituto procuratore Annamaria Frustaci – ha eseguito l’ordine di recuperare l’esplosivo per la macinatura che doveva servire per la strage di Capaci nella quale trovò la morte il magistrato Giovanni Falcone, insieme alla moglie e agli uomini della scorta. Come un soldato ha recuperato l’esplosivo e la Fiat 126 per la strage di via d’Amelio che spezzò la vita del giudice Paolo Borsellino. «Ho avuto un ruolo di primo livello», dice Spatuzza in merito al suo ruolo, attivo, nelle stragi del 1992.
Un anno dopo l’attacco allo Stato riprende. Il 14 maggio 1993 esplode un’autobomba in via Fauro a Roma (era diretta contro il conduttore televisivo Maurizio Costanzo). Nella notte tra il 26 e 27 maggio 1993 esplode un’altra autobomba in via dei Georgofili a Firenze che uccide cinque persone. Dietro ogni attentato c’è il volere dei Graviano e la mano di Gaspare Spatuzza che partecipò anche all’omicidio «del beato Pino Puglisi», parroco a Brancaccio, assassinato il 15 settembre 1993.
Nel 1995, con gli arresti dei vertici delle famiglie di Palermo, Spatuzza diventa capo mandamento, ma prima deve «essere combinato», una sorta di battesimo che gli consentirà di eseguire il proprio ruolo.

Il pentimento

Con la condanna all’ergastolo per le stragi di via Fauro e di via dei Georgofili, e per l’omicidio di Pino Puglisi. Nel 2001, racconta Spatuzza, «cominciai a prendere le distanze dalle imposizioni della famiglia Graviano. Cominciai a fare il carcere in solitudine ma sapevo che c’erano persone condannate all’ergastolo per la strage di via d’Amelio che io sapevo essere innocenti mentre io per quegli episodi non ero stato mai nemmeno indagato».
Il 26 luglio 2008 Gaspare Spatuzza si pente e racconta tutto. «Con le mie dichiarazioni è stato smantellato l’impianto accusatorio sulle stragi che io ho demolito con la mia conoscenza diretta», racconta in aula il collaboratore il quale venne condannato a 12 anni per Capaci e a 12 anni per via d’Amelio.

La linea stragista e il ruolo della ‘ndrangheta

La linea stragista portata avanti da Cosa Nostra va dall’attentato di Capaci fino al fallito attentato allo stadio Olimpico dove si trovava un presidio dei Carabinieri. Era l’Arma l’obbiettivo di Cosa Nostra. L’attentato fallì a causa di un guasto nel telecomando che doveva azionare autobomba pronta a esplodere al passaggio del pulmino dei carabinieri. «Eravamo a Roma e aspettavamo l’input definitivo di Giuseppe Graviano per agire – racconta Spatuzza –, e Graviano in quell’occasione disse che dovevamo sbrigarci a fare l’attentato perché i calabresi si erano mossi». Sono questi gli albori della «sinergia stragista tra Cosa Nostra e la ‘ndrangheta», spiega Spatuzza riferendosi all’attentato nel quale, tra dicembre e gennaio 1993/1994, ai danni di tre pattuglie dei carabinieri, tre agguati uno dei quali costò la vita a due militari. «Anche a Napoli c’era un progetto stragista perché era stato mandato dell’esplosivo».

«Coinvolti mani e piedi con le stragi»

«Sia i calabresi che i napoletani erano coinvolti mani, piedi e testa nelle stragi», dice Spatuzza. Le ragioni di queste affermazioni stanno in un episodio avvenuto nel carcere di Tolmezzo. Spatuzza riferisce a Filippo Graviano delle lamentele dei calabresi e dei napoletani riguardo al carcere duro, nato in seguito alla stagione delle stragi che veniva imputata ai siciliani e ai Graviano in particolare. Filippo Graviano risponde: «E’ bene che questi signori parlino con i loro padri per capire quello che è successo». Una battuta indirizzata al ruolo dei calabresi e dei napoletani nella stagione stragista.

L’ospitalità ai Notargiacomo

I rapporti tra Cosa Nostra e la ‘ndrangheta sono risalenti nel tempo. Spatuzza ricorda negli anni ’80 i due fratelli Notargiacomo vennero ospitati all’interno del villaggio turistico Euromare di proprietà dei Graviano. Dei due fratelli Spatuzza ricorda che «uno era ferito a causa di una guerra all’interno delle famiglie calabresi». «I Notargiacomo erano amici di Antonio Marchese, cognato di Leoluca Bagarella» appartenente al clan dei Corleonesi.

Cinquecento milioni di lire per aggiustare un processo

Spatuzza racconta anche dei legami tra le cosche calabresi Molè-Piromalli con i Graviano e con «Mariano Agate, capo della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo, al quale Giuseppe Graviano aveva dato 500 milioni delle vecchie lire per aggiustare un processo. I fratelli Graviano si erano mossi per i Graviano. Da tramite fece Mariano Agate», racconta Spatuzza. Agate «teneva molto in considerazione i calabresi», dice il collaboratore che in passato è stato detenuto ad Ascoli Piceno dove ha trovato il capo di Mazara del Vallo e ha conosciuto Pasquale Tegano, Nicola Arena e Franco Coco Trovato.

In Marocco con i Nirta

«A Roma abbiamo incontrato un Nirta perché gli serviva una barca per andare in Marocco a prendere dell’hashish. La barca poi approdò sulle coste palermitane». «Con i fratelli Nirta abbiamo fatto un traffico di hashish e acquistato attraverso loro delle armi per la famiglia di Brancaccio». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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