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la sentenza

Diffamò un magistrato, pena prescritta ma Genchi dovrà risarcire il danno

Il reato contestato nasce dall’aver ripreso notizie non veritiere e averle ospitate nel proprio blog personale

Pubblicato il: 24/02/2021 – 12:54
Diffamò un magistrato, pena prescritta ma Genchi dovrà risarcire il danno

SALERNO I reati sono estinti per prescrizione ma la Corte d’Appello di Salerno ritenuto la sussistenza del reato e ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno e il pagamento delle spese processuali da parte di Gioacchino Genchi – consulente informatico assurto agli onori della cronaca per avere lavorato a fianco dell’allora sostituto procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris nell’inchiesta “Why Not” – nei confronti della parte civile costituita, il magistrato Salvatore Murone, difeso dall’avvocato Mario Murone.
Un processo per diffamazione nato da una querela che il magistrato aveva sporto nei confronti di Aldo Pecora (condannato in primo grado non ha fatto ricorso in appello) e Gioacchino Genchi a causa di due distinti articoli, ripresi da Pecora e Genchi da altri blog, che contenevano, secondo gli accertamenti compiuti dal Tribunale, informazioni false e diffamatorie nei confronti del magistrato.

L’articolo di Genchi 

La diffamazione nasce dal fatto di avere ripreso notizie non veritiere e averle ospitate e lasciate nei propri blog (articoli che oggi sono stati rimossi). L’articolo ripreso da Genchi “Ciak, si gira, Gioacchino Genchi, migliore attore non protagonista”, risale al 16 ottobre 2010 ed è stato ripreso sul blog “Legittima difesa” dell’ex perito informatico di De Magistris all’epoca dell’inchiesta “Why not”. Secondo l’accusa nell’articolo, che richiamava in alcuni punti il libro di Edoardo Montolli “Il caso Genchi: Storia di un uomo in balia dello Stato”, «veniva sostanzialmente sostenuto – è scritto nel capo di imputazione – che il Murone aveva contatti con la mafia». Tre i punti a supporto di questa tesi.
Il primo: quando era presidente del collegio giudicante che ha assolto Francesco Iannazzo per l’omicidio dell’avvocato Torquato Ciriaco (avvenuto nel 2002), Murone due mesi prima della sentenza, è scritto nel blog, avrebbe sentito al telefono (telefono di casa) il cugino dell’imputato, il boss Vincenzino Iannazzo. È stato affermato in aula che la telefonata è avvenuta tra due ragazzini, compagni di classe alle scuole medie. Il processo sulla morte dell’avvocato Ciriaco non è stato mai di competenza del Tribunale di Lamezia Terme, in cui Murone era presidente, ma è stato istruito dalla Dda dinanzi alla Corte d’assise di Catanzaro e con altri imputati perché Francesco Iannazzo non è stato mai indagato per questo omicidio. Il procedimento si trova oggi in appello dove, a rispondere dell’omicidio ci sono il collaboratore di giustizia Francesco Michienzi (che si è autoaccusato di avere partecipato al delitto), Tommaso Anello e i fratelli Vincenzino e Giuseppe Fruci. In primo grado sono stati tutti assolti per non aver commesso il fatto, in appello verrà riaperto il dibattimento.
Il secondo: nel blog si afferma inoltre, si legge nell’imputazione, «che secondo il Murone (all’epoca procuratore aggiunto a Catanzaro, ndr) l’omicidio di Antonio Longo (titolare della Tecnovese) non era un omicidio a sfondo mafioso e che non se ne doveva occupare la Dda». In realtà – è stato anche chiarito nel processo per diffamazione – essendo l’omicidio dell’imprenditore avvenuto il 24 marzo 2008, a metà strada tra Lamezia Terme e Catanzaro, sul posto si sono recati sia il magistrato della Dda che quello della Procura di Lamezia. I primi rilievi sono stati svolti, come di consueto, dalla Procura di Lamezia, poi il fascicolo è passato alla Dda che ha proseguito con le indagini.
Terzo: si fanno, infine, riferimenti all’omicidio del sovrintendente di Polizia Salvatore Aversa e di sua moglie Lucia Precenzano, uccisi a Lamezia il 4 gennaio 1992. All’epoca le indagini portarono all’arresto di Giuseppe Rizzardi e Renato Molinaro, pregiudicati, accusati dall’ex fidanzata di Molinaro, Rosetta Cerminara. Una storiaccia che si concluse con l’assoluzione dei due imputati e un bello scandalo per quella super testimone con tanto di medaglia al valor civile appuntata al petto prima ancora di arrivare al terzo grado di giudizio. La verità arriva nel 2000 con la confessione di due collaboratori di giustizia della Sacra corona unita pugliese, Stefano Speciale e Salvatore Chirico che confessarono il delitto commesso per conto delle cosche lametine capeggiate dai Giampà. Le indagini si rivelarono un vero scandalo.
Ma nell’articolo è scritto che all’epoca «il pm è Mariano Lombardi. Il sostituto Salvatore Murone». Ma Murone all’epoca era sostituto procuratore generale alla corte d’appello, non ha condotto nessuna indagine, non ha fatto alcuna attività istruttoria. All’epoca procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro era Mariano Lombardi e sostituto procuratore nella Dda era Adelchi D’Ippolito che nel corso del dibattimento lasciò e chiese il trasferimento «per motivi di sicurezza». In primo grado i due imputati vennero condannati. Le difese fecero appello e l’accusa, in secondo grado, era retta da Murone, allora pg. Tra l’altro, in secondo grado, non c’è stato nessun rinnovo dell’istruttoria, né è stata risentita la Cerminara. (ale. tru.)

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