Il Sud è stata la missione decisiva di Franco Cassano, sociologo, docente universitario, saggista, recentemente scomparso. La dirompente originalità, il linguaggio narrativo, a tratti poetico, spesso provocatorio del suo libro più famoso, “Il pensiero meridiano”, uscito per Laterza nel 1996, ha fatto discutere per anni. Ed ha diviso intellettuali, studiosi, politici, economisti, alcuni dei quali talmente spiazzati dalle tesi espresse nel volume, da avventurarsi in critiche contorte, contraddittorie, colme di livore e d’invidia.
Ma cosa sostiene di tanto scandaloso Cassano? Il succo del suo pensiero sul Sud è concentrato nelle prime pagine del libro di cui abbiamo appena detto. “Se si vuole ricominciare a pensare il Sud – vi si legge – […] occorre smettere di vedere le sue patologie solo come la conseguenza di un difetto di modernità. Bisogna rovesciare l’ottica e iniziare a pensare che probabilmente nel Sud d’Italia la modernità non è estranea alle patologie di cui ancora oggi molti credono che essa sia la cura. […] Non pensare il Sud alla luce della modernità ma al contrario pensare la modernità alla luce del Sud. […] Pensiero meridiano vuol dire fondamentalmente questo: restituire al sud l’antica dignità di soggetto di pensiero, interrompere una lunga sequenza in cui esso è stato pensato da altri.” Ma, aggiunge subito dopo Cassano (e davvero non poteva essere frainteso) “Tutto questo non vuol dire indulgenza per il localismo […]. Al contrario un pensiero meridiano ha il compito di pensare il Sud con maggior rigore e durezza, ha il dovere di combatte iuxta propria principia la devastante vendita all’incanto che gli stessi meridionali hanno organizzato delle proprie terre”.
L’eresia di Cassano, insomma, è quella di non credere che la modernizzazione (e con essa un certo tipo di innovazione, l’eccesso di competizione, l’eclissi del sacro e tutte le altre categorie di pensiero che dalla prima conseguono) sia la medicina per curare il Sud, ma che anzi essa rappresenti la sua condanna. E di esempi amaramente falliti nell’inane tentativo di rendere il Sud una copia sbiadita del Nord moderno (o post-moderno), efficientista, meritocratico, iper-tecnologico, produttivista ne abbiamo avuti talmente tanti che non val la pena di elencarli qui.
Come potevano attecchire le idee di Cassano se egli ebbe il coraggio, in piena ubriacatura neoliberista e sviluppista (a destra come a sinistra) di scrivere: “non solo le patologie meridionali non nascono da un deficit di modernità, ma sono il sintomo di un’infezione che nasce dal centro del sistema, le spie di una ferocia nuova e unidimensionale del turbo capitalismo”?
In realtà, Cassano non ha fatto altro che ripetere, attualizzandola magistralmente ed applicandola al Sud dell’Europa (che non a caso i gesuiti definivano “le Indie di quaggiù”), la lezione del grande antropologo Claude Levi Strauss, il quale in “Tristi tropici” aveva stigmatizzato la pretesa delle scienze sociali occidentali (e non solo di quelle) di comprendere e giudicare – con canoni del tutto estranei ed egemonici – l’inesorabile alterità di popoli da noi ritenuti non civilizzati, arcaici, arretrati.
E in questo senso, Cassano scrive: “La capacità di escludere gli altri era il privilegio di quelli veramente ricchi e la nostra libertà è diventata la rincorsa paradossale ed inflattiva a quel modello. […] Questa emulazione ha prodotto la strage degli incontri e delle solidarietà collettive, la trasformazione del pubblico in un’entità residuale, in qualcosa in cui si scaricano con sempre meno scrupoli i rifiuti delle nostre appropriazioni private. […] Non avremo certo raggiunto i ricchi che saranno sempre capaci di escludere gli altri, ma in compenso avremo imparato a pensare come loro, perdendo anche l’orgoglio di non essere come loro. […] Pur dentro al nostro benessere siamo poveri. Siamo poveri di coraggio, di quella virtù inaugurale che rende possibile il nuovo, quello vero e non quello di plastica, quello povero e iniziale, non quello che sa solo afferrare, comprare e conquistare. Ed è il coraggio ciò che non fa subire il torto, che fa ribellare, che fa dire la verità ai poteri di brillantina, di auto blu, di mani sudate, di prime pietre, di parate, di commemorazioni, di galoppini e telefonini, di oscene cerimonie in cui si benedice l’impudicizia del potere”. […] La bellezza si è ritirata […] è tanto più lo farà se noi la inseguiremo pensando alla sua infinita riproducibilità. […] La voracità di massa la distrugge proprio perché pensa che essa sia un diritto per il quale basta pagare.”
Mai analisi fu più attuale dell’immensa svendita che i Nord del mondo hanno posto in essere, con il neocolonialismo, a scapito di tutti i Sud. E mai autoaccusa verso di noi che a Sud viviamo ed operiamo fu più lucida e, di nuovo, attualissima.
Il compito del pensiero meridiano (locuzione che Cassano trae da uno struggente capitolo de “L’uomo in rivolta” di Albert Camus) è quello di recuperare la solidarietà fra l’uomo e la terra che lo ospita. Scrive Cassano: “Questo rapporto originario e profondo con la terra lo si può ritrovare solo recuperando il cuore greco della nostra civiltà, quell’amore classico per il cosmo che è stato infranto dalla tradizione ebraico-cristiana”.
L’idea chiave di Cassano è che il Sud ha rinnegato la propria tradizione e l’ha assunta come una colpa, salvo poi a tentare di recuperarla deformandola e prostituendola di fronte alla marea consumistica ed edonista della modernità.
Non è un caso che il libro di Cassano si chiuda con un saggio su Pier Paolo Pasolini e sull’idea di ritorno al sacro che vide impegnato il poeta negli ultimi anni della sua vita. La libertà dell’uomo moderno è apparentemente infinita, ma in realtà è completamente dipendente dal mercato. La libertà si trasforma in una perenne insoddisfazione che cerca di placarsi mediante la ricerca ossessiva e coatta di beni materiali. Per Pasolini il sacro può mutare funzione e divenire l’unica resistenza alle regole spietate del consumismo. Il tema fondamentale che Cassano trae da Pasolini: “E’ possibile mantenere un’identità di sinistra attraverso un recupero dei valori della destra, è possibile usare il sacro in chiave eretica, è possibile un uso rivoluzionario della tradizione?” Sacro e tradizione che sembrerebbero richiamare la conservazione, la reazione. E che invece racchiudono in sé stessi, in questo mondo consacrato al miraggio dello sviluppo senza misura e senza limite, l’unica alternativa possibile alla dissoluzione dell’umanità. E – possiamo provare ad aggiungere – alla definitiva perdita della singolarità del Sud.
*Avvocato e scrittore
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