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il colloquio

Malara: «La Calabria può rialzare la testa. Basta volerlo»

Intervista al giornalista Rai. «Classe politica autoreferenziale e sorda. La ‘ndrangheta opprime i cittadini e qualcuno prova addirittura a mettere in discussione il lavoro di Gratteri…»

Pubblicato il: 25/02/2021 – 10:12
di Paola Militano
Malara: «La Calabria può rialzare la testa. Basta volerlo»

Vice caporedattore della redazione interni del Tg2. Una carriera in Rai iniziata nel 2002. E dieci anni al Tg1. Il giornalista Peppe Malara è lontano dalla Calabria, ma solo fisicamente, perché «la Calabria non si lascia mai». Oggi ci racconta come vede la regione da Roma.

Immagino sarai d’accordo con me: non c’è nessun privilegio nel dover lasciare la propria terra perché incapace di offrire dignità.
«La Calabria non è una terra che si lascia mai. La Calabria vive, ogni giorno, dentro di me. Ogni mattina, nella mia personale rassegna stampa trova spazio il tuo giornale. Anche se sono a Roma da quasi 30 anni, ho un rapporto con la nostra terra che è viscerale. E come me, sono in migliaia i calabresi che vivono così intensamente il rapporto con la nostra regione. Inoltre, è un orgoglio essere calabrese. La nostra comunità a Roma, come in qualsiasi altra città d’Italia o del mondo è tipicizzata da coerenza, serietà e grande professionalità».

Per colpa di chi (per dirla alla Zucchero) la Calabria è sempre letteralmente ad un passo dal default se non della politica sorda e mediocre?
«Le colpe sono di alcuni esponenti della classe politica calabrese. Autoreferenziali e sordi rispetto alle esigenze della gente. C’è uno scollamento totale con il popolo. Ci sono stati, negli anni scorsi, uomini di governo calabresi che non hanno mosso un dito per la loro terra e quando se ne sono occupati l’hanno fatto per raccomandare amici vari in posti di potere. Obiettivamente sono in troppi quelli che intendono la politica non come servizio verso i cittadini ma come strumento per coltivare delle utilità personali. E, poi, non nascondiamoci dietro la foglia di fico. La colpa maggiore è della ‘ndrangheta che opprime tutto e tutti e di chi acconsente a questo schifo. I calabresi non riescono a reagire, nonostante la volontà di farlo sia palese, in tanti settori della società civile».

Perché la lotta alla ‘ndrangheta sembra non finire mai?
«Gente come il procuratore Gratteri, giusto per citare il magistrato più in vista che abbiamo nella sfida quotidiana alla malapianta non dovrebbe mai essere messa in discussione. Ed invece, adesso, sento qualcuno che si lamenta per l’ampiezza delle operazioni di Gratteri e per alcuni provvedimenti di custodia cautelare che sono stati rivisti dal Tribunale della libertà. Mi permetto di dire soltanto che le inchieste della magistratura a Catanzaro, piuttosto che a Reggio, stanno scoperchiando il vero dramma della nostra regione. Una collusione senza precedenti tra imprenditori ‘ndranghetisti e colletti bianchi che dovrebbe far riflettere. Per tornare strettamente alla domanda… la lotta alla ‘ndrangheta non finisce mai perché le file di quell’esercito si alimentano di continuo per assenza di alternative valide. Solo creando lavoro e sviluppo si tolgono soldati alla ‘ndrangheta».

E la pandemia, poi, è solo la cronaca di un disastro annunciato, di una regione senza sanità, di pazienti costretti a curarsi altrove e della mancanza di strutture, di una zona grigia e di connivenze silenziose…
«Nella prima fase, un anno fa, Jole Santelli era riuscita, con piglio deciso e realismo, a contenere la pandemia. Successivamente ci siamo ritrovati immersi nel caso Cotticelli. Che ci serva da lezione. A Roma la politica calabrese fa fatica a farsi ascoltare. È troppo timida. Il governo Conte ha dimostrato di essere totalmente distante dai calabresi. Ho provato rabbia nel vedere quel balletto di nomi, quella totale inadeguatezza, gli sberleffi e le provocazioni surreali. Devo dire che, in quei giorni, ho apprezzato molto il governatore facente funzioni, Spirlì che si è sostituito allo Stato, intervenendo laddove doveva essere la struttura commissariale a farlo. Gli ospedali da campo, ad esempio, sono stati una buona risposta. E poi, caro direttore, apriamo gli occhi anche rispetto alla corruzione nella sanità. La vicenda del bilancio di alcune Asl che è, sostanzialmente, tramandato per via orale e le vicende di fatture milionarie pagate anche tre volte, sono la cartina di tornasole di questa dilagante situazione. Ma chi sono coloro i quali hanno concepito e alimentato questo ladrocinio alle spalle dei cittadini senza considerare il danno enorme che hanno causato alle strutture deputate a garantire la loro salute quella dei loro corregionali? A mio parere torniamo sempre in quella zona grigia che galleggia tra il lecito e l’illecito. Quel miscuglio tra ‘ndrangheta, colletti bianchi e politica, sul quale stanno indagando Gratteri e le altre procure. E pure nonostante ciò, ci sono sacche di imprenditoria sana che va tutelata e portata ad esempio per coraggio e professionalità».

C’è il rischio che quando arriverà il Messia non troverà nessuno ad accoglierlo…
«Il Messia ha lasciato questa terra 2021 anni fa. Per la nostra regione non serve un Messia ma servono le persone per bene. La rinascita della nostra regione può avvenire solo se qualcuno, calabrese, onesto, capace e senza scheletri negli armadi, si intesti una sorta di patto generazionale che consenta di riportare in Calabria il maggior numero possibile di calabresi che oggi, nel mondo, sono eccellenze in tutti i settori e le attività professionali. Sarebbe una rivoluzione incredibile. La Calabria in mano ai giovani e ai cervelli calabresi. Considero, anche, molto importante che l’ex leader regionale della Cisl sia stato indicato come segretario generale dello stesso sindacato. Gigi Sbarra, ne sono certo, avrà sempre un occhio di riguardo per la Calabria e le sue tante istanze».

Salvi qualcuno da questo quadro a tinte fosche?
«Salvo i coraggiosi. Coloro che non si arrendono. Coloro che, a testa alta, quotidianamente, combattono contro il nemico che hanno in casa, nonostante gli ostacoli, la burocrazia e la mentalità. Mio padre, quando ero ragazzo, mi diceva di evitare alcune attività commerciali di Reggio Calabria che erano in mano a personaggi in odore di ‘ndrangheta. Era il suo modo per tenere la schiena dritta. Non fornire ossigeno a questi squallidi e loschi figuri. Dovremmo disobbedire a chi vuole imporci delle regole che, fuori dai confini della nostra regione, non esistono. Rialzare la testa dal torpore è possibile. Basta volerlo».

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