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Trasparenza sui beni confiscati alle mafie, in Calabria 63% non comunica i dati

L’associazione Libera diffonde i dati del progetto “RimanDati”. Nel Meridione 392 Comuni non hanno pubblicato l’elenco come richiesto dalla legge

Pubblicato il: 27/02/2021 – 12:11
Trasparenza sui beni confiscati alle mafie, in Calabria 63% non comunica i dati

ROMA Comuni italiani “rimandati” sul livello di trasparenza della “filiera” della confisca dei beni mafiosi: su 1076 comuni monitorati destinatari di beni immobili confiscati, 670 non pubblicano l’elenco e non danno informazioni sul loro sito internet. Ciò significa che ben il 62% dei comuni è totalmente inadempiente. È quanto emerge “RimanDati” il primo Report nazionale sullo stato della trasparenza dei beni confiscati nelle amministrazioni locali pubblicato dall’associazione Libera contro le mafie. Ai comuni vengono destinati beni immobili confiscati alle mafie per finalità istituzionali o per scopi sociali.
Il primato negativo in termini assoluti spetta ai comuni del Sud Italia comprese le isole con ben 392 comuni che non pubblicano elenco, segue il Nord Italia con 213 comuni e il Centro con 65 comuni che non pubblicano dati. A livello regionale tra le più virtuose Basilicata, Marche, Emilia Romagna, Liguria e Lazio. Tra le regioni meno trasparenti segnaliamo Umbria, Trentino Alto Adige, Abruzzo, Sardegna, Toscana e Campania.

I dati calabresi

Su 139 comuni monitorati in Calabria, come destinatari di beni immobili confiscati, 88 non pubblicano elenco e informazioni sul loro sito internet . Ciò significa che il 63% dei comuni è totalmente inadempiente.
Dei comuni calabresi “rimandati” sul livello di trasparenza della “filiera” della confisca dei beni mafiosi, la maggior parte comunica in maniera parziale e non pienamente rispondente alle indicazioni normative.
Il report si sofferma sul caso del comune di Reggio Calabria che supera la sufficienza. L’Ente, infatti, si è dotato di un portale dedicato specificamente ai beni comuni e confiscati, dove è presente l’elenco – navigabile anche attraverso alcuni filtri – di tutti gli immobili confiscati e trasferiti al patrimonio comunale. Non è però possibile in alcun modo scaricarlo e dunque è da intendersi in formato chiuso. Nella tabella generale sono presenti molte informazioni di dettaglio su dati catastali, ubicazione, tipologia, decreti di destinazione, oltre ad alcune notizie sulla destinazione e la consegna.

Il progetto “RimanDATI”

“RimanDati” è stato promosso in collaborazione con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino, primo appuntamento di una serie di iniziative in occasione dell’anniversario dei venticinque anni dall’approvazione della Legge 109/96.
Il Report di Libera (il monitoraggio ha avuto inizio nel mese di maggio 2020 e si è chiuso il 31 ottobre 2020) vuole accendere una luce sulla carente trasparenza e mancata pubblicazione dei dati dei comuni italiani in merito ai dati sui beni confiscati che insistono nei loro territori perché sono proprio i comuni ad avere la più diffusa responsabilità di promuovere il riutilizzo dei patrimoni. Eppure, proprio a livello comunale le potenzialità della “filiera della confisca” sono tuttora dense di ostacoli, criticità ed esitazioni. La base di partenza del lavoro di monitoraggio – spiega Libera – coincide con il totale dei comuni italiani al cui patrimonio indisponibile sono stati “destinati” i beni immobili confiscati alle mafie per finalità istituzionali o per scopi sociali.
La ricerca analizza nello specifico le modalità di pubblicazione degli elenchi anche su scala regionale. Sui 406 comuni che hanno pubblicato l’elenco, è stato costruito un ranking: su una scala da 0 a 100 la media è pari a 49.11 punti. La fotografia regionale restituisce un quadro generale di grande criticità. Sono 11 le regioni che sono al di sotto della media regionale e “rimandate” sulla modalità delle pubblicazioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Sicilia, Umbria, con valori che variano da una media 42 a 48. Bocciate Sardegna, Molise, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta.
È  stato anche realizzato un focus su alcuni capoluoghi di regione: ottime le performance di Milano (90.43), Genova (80.87), Roma(80.87) e Napoli(76.52). Oltre la sufficienza Reggio Calabria (65.22) e Palermo (61.72).Solo Bologna(42.61) e Firenze (46.96) non riescono a superare la media di 49.11 del ranking nazionale. In particolare Milano presenta un elenco ed è regolarmente disponibile alla voce “beni immobili e gestione patrimonio” della sezione Amministrazione Trasparente del sito internet istituzionale del Comune. È pubblicato correttamente in un link specifico e risulta regolarmente aggiornato. Anche Genova presenta un elenco è pubblicato nel formato PDF e contiene gli estremi che permettono di individuare il soggetto gestore del bene. Sotto la media Bologna e Firenze.

«Al Sud poche informazioni»

Sono i Comuni del sud quelli che hanno il primato negativo per trasparenza dei beni confiscati: a sostenerlo è Libera contro le mafie per la quale in testa in termini negativi ci sono i comuni del Sud Italia, comprese le isole, con ben 392 comuni che non pubblicano l’elenco dei beni confiscati e informazioni sul loro sito, segue il Nord Italia con 213 comuni e il Centro con 65 comuni che non pubblicano dati. A livello regionale tra le più “virtuose” coloro che raggiungono o superano il 50% dei comuni che pubblicano elenco c’è la Basilicata con il 67% dei comuni che pubblicano elenco, le Marche con il 60%, Emilia Romagna e Liguria con il 50% dei comuni e Lazio che con il 49% si avvicina di molto. Tra le regioni meno trasparenti segnaliamo Umbria dove solo il 14% dei comuni pubblicano elenco, Trentino Alto Adige (25%), Abruzzo (26%), Sardegna(27%) Toscana e Veneto (31%), Lombardia (32%) Campania (34%).
Un approfondimento è stato fatto sulla modalità di pubblicazione dell’elenco, da cui dipende in maniera sostanziale la qualità dei dati messi a disposizione. Il formato aperto consente infatti una fruibilità totale da parte dei cittadini e di chiunque voglia utilizzarli e appare l’unico a rispondere con coerenza alle disposizioni di legge sul tema della trasparenza.
La ricerca ha evidenziato in maniera evidente come la logica degli open data sia ancora estranea alla stragrande maggioranza degli enti monitorati. Solo il 14% dei comuni (56 in totale) presenta il formato aperto che consente infatti una fruibilità totale da parte dei cittadini.
«Il report – commenta Davide Pati, vicepresidente nazionale di Libera – analizza l’operato dei comuni e ad essi si rivolge: sono loro gli enti più prossimi al territorio e il primo fronte per l’esercizio della cittadinanza; potenziare le loro effettive capacità di restituzione alla collettività del patrimonio sottratto alla criminalità non va inteso solo come l’adempimento di un onere amministrativo, ma come un’opportunità di “buon governo” del territorio».

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