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l’inchiesta diacono

Il business dei titoli di studio: l’aiuto del sindacalista e gli “agganci” nel Miur per aggirare le ispezioni

I master regalati, il funzionario corrotto e i contatti con Roma. L’indagine della procura di Vibo illumina il sistema della famiglia Licata

Pubblicato il: 01/03/2021 – 19:31
di Giorgio Curcio
Il business dei titoli di studio: l’aiuto del sindacalista e gli “agganci” nel Miur per aggirare le ispezioni

VIBO VALENTIA Una struttura complessa, attiva nella compravendita di titoli attraverso «la costituzione di un vero e proprio network societario» ma anche attraverso la partecipazione attiva di «funzionari ministeriali, aventi interessi economici». Lo scrive nero su bianco il gip del Tribunale di Vibo Valentia, Mario Miele, nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari nei confronti di 23 indagati, di cui dieci arrestati, culminata con l’operazione “Diacono” portata a termine dai carabinieri di Vibo Valentia, sotto il coordinamento della Procura, guidata da Camillo Falvo. Un’indagine “lampo”, eseguita in pochi mesi a causa delle restrizioni legate alla pandemia da Covid-19 e che ha rallentato l’attività della Procura e dei militari, ma che ha comunque assestato un duro colpo a quello che di fatto è stato un mercimonio di titoli, lauree e master, per un business milionario. 

La famiglia e le “amicizie”

L’attività investigativa ha permesso di ricostruire le dinamiche criminali del gruppo, capeggiato dalla famiglia Licata composta da Davide Pietro, Michele, Dmitri, Jgor, Michela e la moglie di Davide Pietro, Rossella Paola Marzano, finita ai domiciliari. A sostenere la famiglia Licata c’erano le “amicizie” inserite nel mondo dell’istruzione come Carmine Francesco Caratozzolo, Christian Piscitelli e Domenico Califano, oltre alle figure istituzionali quali Maurizio Piscitelli e Antonio Oggiano, tutti indagati nell’inchiesta coordinata dalla procura vibonese.

La spartizione dei guadagni e i master “regalati”

Secondo gli investigatori, dunque, la famiglia Licata e gli intermediari «avrebbero ricondotto l’attività degli istituti non a una esigenza formativa e didattica, bensì a un business economico, sfruttando l’appoggio e la partecipazione all’associazione di funzionari pubblici, operanti nel settore, i quali, non potendo figurare direttamente, hanno utilizzato la rilevanza della propria funzione e l’interposizione di terze persone per inserirsi in tale lucroso settore».  «Praticamente..tu ti ricordi com’erano rimasti gli accordi con Maurizio e Cristian?!..Io mi ricordo che era..che il 20% di Iconea andava a lui, al padre, e poi di quelli di Cristian sulla somma totale lui ci doveva pagare e il venti percento gli ritornava a Maurizio. 0 no?!». Questo quanto riferisce Michela Licata a Carmine Caratozzolo in una conversazione captata dagli inquirenti. Ed è proprio Caratozzolo a spiegare a Michela Licata che invece l’accordo fatto dal padre Davide Licata prevedeva «che il costo dei master intermediati da Iconea era fissato a 100 euro, di cui il 20% doveva essere restituito a Christian Piscitelli». In realtà, così come è emerso nel corso dell’inchiesta, l’accordo preso da Caratozzolo e Davide Licata prevedeva il “regalo” di 300 master (150 provenienti dall’Accademia e 150 dalla Scuola “Don Calarco” di Catona) a Cristian Piscitelli. Un accordo poi “corretto”, includendo anche 500 master da regalare a Maurizio Piscitelli, sempre attraverso la “Don Calarco” di Catona.

Iconea, Fidia e il «funzionario corrotto»

Esempio emblematico dell’attività illecita perseguita attraverso il gruppo criminale è dato  dall’associazione “Iconea” e dei rapporti anche occulti intrattenuti con l’accademia Fidia. Figura chiave è Maurizio Piscitelli, attualmente coordinatore dei dirigenti tecnici presso l’Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria, indagato nell’inchiesta “Diacono”. L’associazione “Iconea”, infatti, per gli inquirenti «è lo strumento attraverso il quale il figlio di Maurizio, Christian Piscitelli, in qualità di presidente e direttore conduce l’attività di procacciamento di clienti, percepisce una quota di ricavato della compravendita dei titoli, anche eludendo le normative fiscali millantando l’assenza di “finalità di lucro”». Tra Piscitelli e i Licata c’è però un accordo sulla base di una donazione annua di 20mila euro, a fronte di favori dello stesso Maurizio Piscitelli in sede di ispezione ministeriale. Da un lato c’è dunque la Iconea schermata dalla forma giuridica «senza scopo di lucro», dall’altra c’è la riconducibilità dell’associazione al figlio Cristian, così da evitare l’incompatibilità con le sue funzioni. 

L’ispezione 

Il coinvolgimento del funzionario del Miur, Maurizio Piscitelli, all’interno del gruppo è ancora più evidente in occasione dell’ispezione effettuata dall’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) che di fatto aveva determinato il “divieto di operare” all’Accademia Fidia, con la “conseguente revoca delle autorizzazioni” e  il contenzioso legale arrivato fino al Consiglio di Stato. Nell’ispezione, in particolare, veniva evidenziata un’anomalia concernente “il numero di persone registrate come allievi, docenti e personale amministrativo”. Ma, oltre al contenzioso introdotto al Tar, la famiglia Licata ha anche avanzato un’istanza di annullamento in autotutela al Miur basandosi su una relazione di un ispettore del ministero. Relazione che, scrivono gli inquirenti, è stata «redatta dagli stessi Licata e da Maurizio Piscitelli». Nella relazione, lo stesso Piscitelli «per evitare la chiusura dell’Accademia Fidia e la cessazione dell’attività illecita di vendita dei titoli, smantella la relazione prodotta dall’agenzia di cui lo stesso fa parte (ANVUR); ma ancor di più rileva il fatto che il funzionario Piscitelli opera nel corpo della relazione, un vero e proprio attacco diretto ai verificatori che avevano rilevato le mancanze». 

I contatti a Roma

Un’altra figura istituzionale coinvolta nell’associazione è Antonio Gavino Oggiano, rappresentante Miur ed ex componente del Consiglio di Amministrazione del Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma (istituto estraneo alla vicenda giudiziaria). Per gli inquirenti è lui, docente in pensione, residente ad Alghero ed in procinto di acquisire un incarico ministeriale, l’emissario dell’associazione a delinquere su Roma.  Il fine – per gli inquirenti – è quello di garantire l’impunità nella gestione della vendita dei titoli. È lo stesso Oggiano, infatti, a richiedere espressamente ai Licata di accollarsi le spese per l’accettazione dell’incarico al ministero, spingendoli a valutare l’acquisto di uno stabile a Roma centro da poter utilizzare in futuro come base logistica nella capitale. «(…) lavoro nonostante l’età e diventa una fatica lei lo sa meglio di me andare avanti e indietro a Roma ma io non ho una…una lira» così Oggiano, dopo aver fatto ripetutamente pressioni per il pagamento dell’affitto a Roma da parte dei Licata, spingeva per un incontro, collegandolo al bisogno di denaro. Oggiano accetta l’incarico per permettere all’associazione, scrivono gli inquirenti, di «rapportarsi con le alte sfere del Miur, al fine di tutelare le proprie attività illecite effettuate attraverso l’Accademia di Belle Arti Fidia».  «Eh quello. Magari prima degli altri…se c’è, se c’è qualche notizia favorevole, qualcosa…se vanno fatti degli aggiustamenti». È questo il tenore di una conversazione captata dagli inquirente tra lo stesso Oggiano e Dimitri Licata: l’obiettivo comune è ottenere una serie di vantaggi tra cui informazioni e notizie. 

Il sindacalista 

Tra le società costituite e finite sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti c’è anche quella di un sindacalista, Domenico Califano, segretario generale territoriale della Uil Scuola di Reggio Calabria, anche lui fra gli indagati e finito agli arresti domiciliari. Secondo quanto è emerso dall’inchiesta, Califano è colui al quale vengono «richiesti e ottenuti gli attestati P.e.k.i.t. relativi alle competenze in ambito digitale e tecnologico, rientrante nel gruppo delle certificazioni informatiche riconosciute dal Miur. Dall’attività investigativa coordinata dalla procura di Vibo è emerso anche come lo stesso Califano si appoggiasse ai componenti dell’associazione «per ottenere la nomina della moglie in commissioni di esame o supporto elettorale per il fratello candidato alle elezioni di Reggio Calabria». «Logiudice la cambiamo magari (…) Mettiamo a mia moglie». Questi alcuni degli sms scambiati tra Califano e Michele Licata. (redazione@corrierecal.it)

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