CATANZARO Andare al voto subito (forse) si potrebbe, di certo si dovrebbe. Mentre si attende ad horas lo spostamento delle Regionali programmate per il prossimo 11 aprile, la parlamentare di Fratelli d’Italia Wanda Ferro chiede che il consiglio regionale torni nelle sue funzioni, perché «occorre che il governo regionale non segua decisioni estemporanee e personali». Il confronto innanzitutto, dunque. Specie su temi cardine come l’emergenza Covid, la sanità, la scuola. Si annunciano sette lunghi mesi prima del ritorno alle urne, meglio mettere le cose in chiaro.
La Calabria è a un decreto legge di distanza dallo spostamento delle Regionali a ottobre. Crede che sia questa la scelta migliore?
«In Calabria c’è la necessità di votare al più presto, garantendo condizioni di sicurezza, perché soprattutto in una fase come quella attuale di grave crisi sanitaria ed economica la Regione ha bisogno di un governo nel pieno dei suoi poteri, e non solo chiamato a gestire l’ordinaria amministrazione. Ciò vale ancor di più per l’attività del consiglio regionale, che è l’organo in cui si esprimono le valutazioni politiche, si danno gli indirizzi e si esercita l’attività di controllo sull’operato della giunta. Se, come sembra ormai certo, il governo dovesse decidere di rinviare il voto a ottobre, condivido l’esigenza rappresentata dai capigruppo di maggioranza di consentire al Consiglio di riprendere le sue funzioni. I prossimi mesi coincideranno con un periodo particolarmente delicato, occorre che il governo regionale, purtroppo privo della guida autorevole di Jole Santelli, non segua decisioni estemporanee e personali, ma è necessario che l’azione amministrativa sia il frutto di un più stretto confronto politico sui temi più importanti, come quelli sulla scuola o sulla campagna vaccinale, su cui non è consentito sbagliare».
Dopo il giro di dimissioni, nomine e rinunce, la sanità ha trovato una guida ma i ranghi della struttura commissariale sono incompleti e il settore è ancora in emergenza.
«Putroppo il commissario Guido Longo, che ho avuto modo di conoscere e apprezzare nelle sue funzioni di prefetto, si è trovato di fronte a tutte le difficoltà che avevamo previsto, a partire dal funzionamento della sua struttura, e a cui avevamo tentato di porre rimedio con gli emendamenti al decreto Calabria. Anche in quell’occasione siamo rimasti inascoltati, e come temevamo la sanità calabrese vede aggravarsi le sue difficoltà e aumentare drammaticamente l’emigrazione sanitaria, che costa sacrifici e sofferenze ai nostri cittadini e a causa della quale vediamo dirottare enormi risorse verso le regioni del Centro-Nord».
Il suo nome emerge sempre quando si tratta di immaginare un candidato governatore per il centrodestra. Spera di governare la Regione?
«Ho detto tante volte che candidarmi alla presidenza della Regione, di lavorare per la mia terra, è il mio sogno nel cassetto. Lo feci nel 2014 anche di fronte ad un esito già scontato, dopo la traumatica chiusura dell’esperienza di centrodestra. Anche a Roma ritengo di rappresentare la nostra terra con passione e spirito di rivalsa, perché è necessario che la Calabria inizia a viaggiare alla stessa velocità delle altre regioni. Un’occasione imperdibile è quella del Recovery Plan. Anziché continuare a sprecare enormi risorse con le politiche assistenziali che non creano lavoro, il Governo deve investire nella fiscalità di vantaggio e soprattutto nel recupero del ritardo infrastrutturale delle regioni del Sud. Il criterio di ripartizione delle risorse non può più essere quello della popolazione, per il quale abbiamo ricevuto finora soltanto il 34 per cento degli investimenti. I parametri definiti a livello europeo assegnano al Sud almeno il 65 per cento dei fondi. È un ulteriore scippo ai danni della parte più debole del Paese, mentre in Calabria è necessario investire in infrastrutture, a partire dalla vera Alta velocità ferroviaria e dall’ammodernamento della statale 106, per rendere il territorio competitivo rispetto alle altre realtà della Nazione e dell’Europa».
Qualcuno crede (o magari spera) che il rinvio del voto possa rimettere in gioco i patti della sua coalizione: il candidato del centrodestra spetta a Forza Italia?
«Questi sono gli accordi, e aspettiamo che si riunisca il tavolo nazionale perché venga indicato il candidato. Chiunque sarà il nome deciso al tavolo, io sarò al suo fianco come se fossi candidata personalmente, quello che chiedo è che ci sia qualità, conoscenza dei problemi, capacità di fare scelte difficili. Ai calabresi chiedo di fare scelte di libertà al momento del voto. I partiti devono fare la propria parte nella definizione delle liste, ma sono gli elettori che devono pensare bene prima di scrivere un nome e un cognome sulla scheda. È in gioco il futuro della nostra terra e dei suoi figli».
I partiti sono spesso “caduti” sulla designazione delle candidature regionali. Cosa pensate di fare per aumentare l’attenzione sulle scelte?
«Personalmente ritengo di aver dimostrato già alle scorse regionali di preferire, nella scelta dei candidati, la qualità e il rinnovamento alla dote di consenso, rinunciando a candidature che avrebbero certamente contributo a migliorare di molto il nostro risultato in termini di percentuale. Fratelli d’Italia ha dato un segnale importante di grande attenzione ai temi della trasparenza e della difesa della legalità con l’approvazione del codice etico, che dovrà essere sottoscritto da tutti i tesserati, e che prevede per i candidati l’impegno a comunicare eventuali situazioni personali di rilevanza penale o erariale o di conflitto d’interesse, e a rassegnare le proprie dimissioni in caso di coinvolgimento in vicende giudiziarie. Regole molto severe che vogliono soprattutto rappresentare una ulteriore garanzia di trasparenza e affidabilità».
Conte, Conte bis, Draghi. L’Italia ha visto nascere il terzo governo della legislatura e per la terza volta Fratelli d’Italia è all’opposizione nonostante la larga convergenza sul nome dell’ex governatore della Bce.
«Riteniamo che la coerenza non sia un capriccio, ma il principio su cui si fonda la democrazia rappresentativa. Per questo la linea di Giorgia Meloni è stata sposata unanimemente da tutti noi parlamentari. Dagli elettori riceviamo un mandato chiaro, non possiamo prendere i voti e farci quello che vogliamo. Con tutto il rispetto per la figura autorevole del presidente Draghi, il nuovo governo non garantisce una discontinuità con il fallimentare governo che l’ha preceduto. Conte ha fallito nella gestione dell’emergenza sanitaria e nel contrasto alle sue ripercussioni economiche, mettendo in ginocchio interi settori dell’economia, e sperperando miliardi nella spesa cattiva, quella per il reddito di cittadinanza, per la lotteria degli scontrini, per lo scandalo delle mascherine di Arcuri, su cui sta indagando la magistratura e su cui abbiamo chiesto approfondimenti anche in Commissione antimafia. Molti degli attori sono gli stessi del Conte-bis: Di Maio, Speranza, la Lamorgese. Si fa fatica a considerarlo un governo dei migliori. Ma soprattutto abbiamo contestato il metodo della nascita di questo governo, espressione di un Parlamento diviso, privo di una maggioranza coesa e capace di esprimere un programma di governo organico. Per questo chiedevamo di andare al voto, di dare la parola ai cittadini come si fa in ogni sistema democratico quando si presenta una crisi politica. Non ci sono ragioni di calcolo elettorale. Si sarebbe dovuti tornare alle urne in sicurezza, senza utilizzare la pandemia come pretesto per mantenere le poltrone. In democrazia la sovranità appartiene al popolo, che deve decidere da chi essere governato, e non subire governi calati dall’alto. Siamo all’opposizione per senso di responsabilità, perché una democrazia compiuta ha bisogno di un’opposizione seria, attenta, che sia stimolo e sentinella per chi governa. Possiamo dare un contributo costruttivo nell’interesse dell’Italia con le nostre proposte e votando i provvedimenti utili al Paese, come abbiamo già dimostrato di fare con i precedenti governi, senza chiedere in cambio ministeri e poltrone».
Vero, ma partecipare al governo significa potere assumere le decisioni.
«Al governo saremmo stati comunque in minoranza, e i numeri non ci avrebbero consentito di difendere le nostre idee. Sui temi fondamentali le nostre posizioni sono inconciliabili con quelle di Pd, Leu e Cinquestelle. Abbiamo una visione del mondo diametralmente opposta. Il governo della Nazione in una fase così delicata non può reggersi sui compromessi al ribasso né su una conflittualità che, alla fine, troverebbe sempre le idee del centrodestra soccombenti alla prova dei numeri in aula, nonostante siamo certi che siano di gran lunga quelle prevalenti tra i cittadini».
A proposito di scelte, il nuovo governo ha impresso alcuni cambiamenti, soprattutto nei nomi deputati a gestire la delicata emergenza sanitaria. Come giudica i primi passi dell’esecutivo guidato da Mario Draghi?
«Abbiamo apprezzato la rimozione del commissario Arcuri, uno dei primi punti che come Fratelli d’Italia avevamo sottoposto all’attenzione del presidente Draghi, ma continuiamo a non condividere il metodo di decisioni che incidono fortemente sulla vita dei cittadini e sui loro diritti. Abbiamo contestato il rinvio senza preavviso della riapertura degli impianti sciistici, che ha definitivamente mandato al collasso l’economia della montagna, ma soprattutto non condividiamo la scelta di imporre l’ennesimo dpcm, scavalcando ancora una volta il Parlamento. Ad un anno dal primo lockdown ritengo che non si possa più ragionare in termini di emergenza, ma si debba programmare una gestione per quanto possibile ordinaria della situazione drammatica determinata dalla pandemia. Invece si continuano a limitare le libertà fondamentali dei cittadini a colpi di decreto, delegando la responsabilità delle scelte ad un comitato di tecnici sulle cui valutazioni continuiamo a chiedere trasparenza».
Quali sono le richieste che Fratelli d’Italia rivolge al governo?
«Innanzitutto che ci sia un impegno straordinario sul fronte dei vaccini, è un tema che riguarda la salute dei cittadini ma anche la ripresa del nostro sistema economico. Fin dall’inizio abbiamo insistito sulla necessità di mettere in sicurezza le fasce più deboli della popolazione, e oggi vediamo gli anziani accalcati in lunghe file mentre si dovrebbe prevedere una vaccinazione a domicilio, o ad esempio coinvolgendo anche le farmacie che rappresentano un presidio importante sui territori, in particolare nei piccoli centri. Ma è necessario mettere al sicuro al più presto l’intero mondo produttivo, gli esercenti, chi lavora a contatto con il pubblico. Invece si continuano a chiudere in maniera schizofrenica e spesso immotivata i ristoranti, le palestre, mentre non si è intervenuto su quello che con tutta evidenza è il principale cluster di contagio, ovvero i mezzi pubblici strapieni. Le nostre proposte continuano a scontrarsi con la chiusura a riccio del governo, che ad esempio ha bocciato gli emendamenti per posticipare la riscossione delle cartelle esattoriali, che erano una battaglia di tutto il centrodestra, così come l’emendamento per la riapertura delle attività. Siamo scesi in piazza con le partite Iva, con i ristoratori, con le imprese, dobbiamo essere conseguenti alle promesse fatte. Fratelli d’Italia sta portando avanti queste battaglie da sola. Abbiamo dovuto prendere atto che anche Lega e Forza Italia non hanno votato l’emendamento con cui chiedevamo il blocco della riforma della prescrizione voluta da Bonafede».
Questo significa l’avvio di un percorso di separazione con gli alleati?
«Assolutamente no, quella sulla partecipazione al governo è una divisione momentanea che è frutto di valutazioni politiche certamente difficili e delicate. Continueremo ad essere sulle stesse posizioni quando si andrà al voto per le Politiche e stiamo già lavorando insieme alle prossime amministrative. Aspettiamo di sapere al più presto dal governo quando si potrà andare al voto». (redazione@corrierecal.it)
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