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Sfruttati e minacciati: l’ombra della ‘ndrangheta sugli invisibili della baraccopoli – NOMI E VIDEO

Il sistema del caporalato a San Ferdinando e il potere di Filippo Raso, legato al clan Piromalli-Molè, e «proprietario effettivo» dell’azienda agricola sequestrata. Nove gli arresti

Pubblicato il: 04/03/2021 – 11:38
Sfruttati e minacciati: l’ombra della ‘ndrangheta sugli invisibili della baraccopoli  – NOMI E VIDEO

PALMI Sono 9 le ordinanze di custodia cautelare (tre in carcere e sei ai domiciliari) emesse dal gip del Tribunale di Palmi su richiesta della Procura per un gruppo di persone ritenute responsabili, a vario titolo – in qualità di datori di lavoro, caporali e faccendieri – di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e intestazione fittizia di beni. Gli investigatori della Squadra mobile e del Commissariato di Gioia Tauro, coadiuvati dalla Squadra Mobile di Caserta e dagli equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine, hanno eseguito anche perquisizioni domiciliari a carico degli indagati. Sequestrata anche un’azienda agricola. Impiegati 80 uomini e donne della Polizia di Stato.

L’indagine

“Rasoterra” è il nome che gli investigatori della Polizia di Stato hanno dato all’operazione. Le indagini svolte dal Commissariato di Gioia Tauro e dalla Squadra mobile di Reggio Calabria – sotto le direttive dei magistrati della Procura della Repubblica di Palmi-fanno luce su alcune vicende di grave sfruttamento lavorativo nelle campagne della Piana di Gioia Tauro di numerosi migranti di origini subsahariana alloggiati nella baraccopoli di San Ferdinando, smantellata nel mese di marzo 2019. Dalle attività di controllo delle aziende e delle colture agrumicole in cui i migranti lavoravano come braccianti, dalle audizioni dei lavoratori sottoposti a sfruttamento e infine dalle operazioni di intercettazioni telefoniche condotte dagli Uffici operanti della Polizia di Stato, sarebbe emerso un contesto di assoluto rilievo criminale caratterizzato dal continuo verificarsi di condotte delittuose poste in essere da datori di lavoro, caporali e faccendieri consistenti quasi sempre nel reclutamento, utilizzazione, assunzione e impiego dei lavoratori extracomunitari a basso costo, allo scopo di destinarli al lavoro nei campi in condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di estremo bisogno economico.

I nomi

Raso Filippo, classe 69
Ngom Ibrahim, classe 80
Raso Pasquale, classe 2001
Montarello Mario, classe 65
Mamone Giacomo, classe 86
Calogero Francesco, classe 55
Careri Domenico, classe 56
Karfo Kader, classe 79
Straputicari Vincenzo, classe 80

Un sistema organizzato di sfruttamento

L’inchiesta ha portato alla luce elementi probatori che gli inquirenti definiscono «chiari» in merito alla sussistenza di un sistema organizzato di sfruttamento nel lavoro dei campi di numerosi immigrati africani che faceva capo principalmente a Filippo Raso, soggetto di elevata caratura criminale riconducibile all’alleanza di ‘ndrangheta, un tempo esistente, Piromalli-Molè, nonché dominus effettivo dell’azienda agricola intestata alla figlia in cui lavoravano i migranti in condizioni di sfruttamento, che teneva continui contatti con i caporali e i faccendieri che operavano al suo servizio, impartendo loro direttive. Raso Filippo è gravemente indiziato di essere stato a capo di tale sistema, imponendo comportamenti e fornendo direttive, minacciando e punendo chi non eseguiva i suoi ordini, ben sapendo di essere temuto ed ossequiato e di potersi avvalere di una strutturata rete di collaboratori per realizzare i suoi obiettivi. Sono stati altresì ritenuti sussistenti dal gip di Palmi gravi indizi di colpevolezza nei confronti di altri soggetti di cui il Raso si serviva per realizzare l’attività di sfruttamento. Ibrahim Ngom detto Rasta, era un caporale che gestiva per conto di Raso i lavoratori extracomunitari, si occupava di reclutare i braccianti africani e di controllarne il lavoro. Kader Karfo detto Cafù era un altro fidato caporale di Raso. A lui era demandato il pagamento delle giornate di lavoro dei singoli operai di colore che erano impiegati nella raccolta degli agrumi, nonché il compito di guidare i furgoni a bordo dei quali venivano condotti i lavoratori nei campi. Mario Montarello era un fedele faccendiere di Raso e svolgeva l’importante ruolo di tenere i contatti con i caporali e controllare il lavoro degli extracomunitari. Domenico Careri era un altro referente di Raso, per conto del quale reclutava manodopera, che talvolta provvedeva egli stesso a trasportare. Francesco Calogero, titolare di un’azienda agricola in stretto contatto con Raso, si occupava di veicolare le direttive del Raso e dell’impiego di extracomunitari in condizioni di sfruttamento. Pasquale Raso affiancava il padre Filippo nei rapporti con i caporali, sia da minorenne sia dopo aver raggiunto la maggiore età. Oltre ad essere uno dei principali referenti del padre, dava direttive al caporale Rasta e pagava – a volte personalmente – i caporali e i lavoratori. Giacomo Mamone aveva il compito di fornire i mezzi per il trasporto dei lavoratori extracomunitari – per questo fine era in rapporto con il caporale Rasta – e curava la raccolta dei frutti. Vincenzo Straputicari, non collegato con Filippo Raso, era in contatto con Rasta che per reclutava per suo conto lavoratori extracomunitari che lo stesso Straputicari impiegava nelle campagne della Piana di Gioia Tauro. Filippo Raso risponde anche del delitto di intestazione fittizia di beni (in concorso con la figlia indagata a piede libero) atteso che dalle indagini è emerso che l’azienda agricola intestata a quest’ultima era stata creata ad hoc per consentirgli di esercitare l’attività di impresa senza attribuirsi formalmente la titolarità della stessa. Raso è stato condannato per associazione mafiosa, è stato sottoposto alla misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno del comune di residenza ed è stato destinatario della misura di prevenzione della confisca. Non poteva pertanto essere proprietario formale di un’azienda agricola che certamente gli sarebbe stata sequestrata.

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