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«Gli avvocati non si fanno ordinare la difesa dagli imputati»

Ho molto apprezzato l’iniziativa dell’Unione delle Camere Penali Italiane e di alcune componenti dell’Associazione Nazionale Magistrati in ordine alle esternazioni del dottor Gratteri circa i giud…

Pubblicato il: 06/03/2021 – 11:04
di Nunzio Raimondi*
«Gli avvocati non si fanno ordinare la difesa dagli imputati»

Ho molto apprezzato l’iniziativa dell’Unione delle Camere Penali Italiane e di alcune componenti dell’Associazione Nazionale Magistrati in ordine alle esternazioni del dottor Gratteri circa i giudici che non danno ragione al suo Ufficio. Il nostro ottimo procuratore della Repubblica di Catanzaro ha replicato alle Camere Penali affermando d’essere convinto della correttezza e fondatezza del proprio operato. Una replica, a mio avviso, decentrata perché nessuno ha mai messo in dubbio che il Procuratore Gratteri dubitasse della bontà delle proprie inchieste anche perché ha l’abitudine di presentarle mediaticamente alla stregua di sentenze passate in giudicato.
Certo, già questo modo di comunicare il contenuto, com’è noto assai parziale, degli accertamenti compiuti dal proprio Ufficio, dà conto dell’idea che il Procuratore di Catanzaro abbia della Giurisdizione e bene ha fatto Magistratura Democratica a scriverne, con toni severi, in proposito. Ma mi ha molto stupito una non paritaria replica degli organi preposti, in primo luogo da parte delle Camere Penali territoriali, direttamente interessate (oppure del sempre accortissimo Consiglio dell’Ordine distrettuale degli Avvocati di Catanzaro), relativamente a un’altra esternazione del dottore Gratteri, quest’ultima addirittura riservata a una sede processuale (il maxiprocesso Rinascita-Scott) e riguardante una presunta strategia difensiva mirante alla decorrenza dei termini di custodia cautelare.
E se il dottore Gratteri si fosse fermato qui, nulla quaestio, trattandosi di normali schermaglie processuali. Ma a me pare che si sia andati oltre il limite affermando che tale strategia (se anche fosse perfettamente legittima) non è stata elaborata da alcuni (o tutti) i difensori degli imputati, ma in altra sede, segnatamente in carcere, fra detenuti imputati nel processo.
Per sostenere ciò il Procuratore – lo apprendo dalla Stampa poiché non sono, per scelta, nel processo – si è avvalso di un verbale contenente dichiarazioni (che non conosco) di un Collaboratore di Giustizia. Orbene, ammesso che sia vero ciò che ha riferito in proposito il collaboratore di giustizia – e questo dovranno stabilirlo i giudici… -, resta la questione del vulnus portato all’indirizzo della difesa, sotto due aspetti. Il primo: non sembrerebbe rispettoso dell’Avversario e della Parità e della Lealtà fra le Parti, attribuire a difensori nel processo il ruolo di esecutori di “ordini” degli imputati in ordine alla strategia difensiva (che è notoriamente prerogativa del difensore). Ne va della dignità della toga! È come se un Avvocato difensore affermasse nel bel mezzo di un processo che il pm si fa comandare da qualcuno circa le scelte processuali da compiere… pensate un po’ che putiferio si scatenerebbe e partirebbe all’istante una procedura di tutela del Csm a favore del Magistrato! Ma c’è dell’altro. Già in un altro mio scritto in passato, mi ero permesso di evidenziare che il vigente codice di procedura penale favorisce lo jus separations dei procedimenti, non il contrario! Per tutta risposta il Tribunale di Vibo (per rimanere su Rinascita-Scott) ha mantenuto, pressappoco, la struttura originaria dell’indagine, riunendo molti distinti processi e separandone soltanto alcuni.
Il risultato è stato che il maxiprocesso che si celebra nell’aula bunker di Lamezia presenta un’enorme quantità di posizioni ed un’istruttoria nell’ordine di oltre mille testimoni. Certamente questa situazione non riflette la fisiologia del processo penale e, tuttavia, ciascun imputato ha diritto a farsi giudicare sulla base delle prove che accusa e difesa intendono presentare, secondo la valutazione di ammissibilità del Collegio giudicante, regolata da precise norme procedurali. Orbene, se un processo che mi si permetterà di definire mastodontico, richiede il tempo necessario per essere svolto, se, anche in questo processo, come in tutti i processi, difesa ed accusa svolgono il loro lavoro prezioso per l’accertamento della verità (le storture in tal senso le corregge il giudice non il pm!), è assolutamente normale che i tempi si dilatino. Del resto se le prove dedotte dalle parti fossero state ininfluenti o irrilevanti rispetto al perimetro dell’imputazione, il Collegio togato non le avrebbe ammesse ovvero, in corso d’istruttoria, può – com’è noto agli operatori del settore – revocarle. Se ne deduce che se un maxiprocesso è destinato a durare molto non è certo “per colpa” della difesa, ma, semmai della scelta compiuta dal titolare dell’esercizio dell’azione penale. Nella mia ignoranza, infatti, mi chiedo: non è per caso che il Legislatore dell’88 ha normativamente favorito la separazione dei procedimenti, anziché la loro riunione, proprio al fine assicurarne la ragionevole durata? Di cosa si duole quindi il dottore Gratteri? Di aver prodotto un maxiprocesso che, lavorando sette giorni su sette, potrebbe non concludersi in tempo utile per la decorrenza dei termini massimi di carcerazione preventiva previsti per la fase? E se le cose stanno così, perché mai detenuti accusati di reati di mafia dovrebbero mettere in campo una strategia difensiva che si realizzerebbe comunque de plano per la scelta stessa di un processo ipertrofico? E perché mai i difensori dovrebbero eseguire una simile strategia se la scelta stessa operata dall’Ufficio di Procura di non separare i processi (e anzi di domandarne la riunione) per garantirne una più celere definizione, garantisce di fatto un espletamento in tempi biblici?Insomma, a me pare (non si contrarii il dottore Gratteri, lo scrivo col massimo rispetto per Lui e per il Suo Ufficio, ma anche per onorare la libertà di espressione del pensiero che mi ostino da anni a riaffermare senza distinguere fra ciò che mi conviene dire e ciò che mi conviene tacere) che l’accusa di un uso strumentale dei tempi del processo non sta in piedi… e il fatto che la si faccia risalire a detenuti per mafia a me pare molto offensivo nei confronti dell’Avvocatura, anche se la questione sembra essere passata sotto silenzio…
Quando il procuratore Gratteri afferma che la distanza (la scrivania) fra Cliente ed Avvocato deve essere ampia, Egli dice bene. Certo l’Avvocato non è protetto da un ruolo che lo vuole contro qualcuno per principio, anche se nel codice di procedura stanno scritte “belle parole” sul punto. L’Avvocato è chiamato (di qui la parola) a stare dalla parte dell’uomo accusato e quindi è lì per qualcuno. Scelte di vita, naturalmente. Ma c’è una frase molto bella di Piero Calamandrei che dovrebbe farci intendere bene ciò che unisce Avvocati e Magistrati. Ne scrissi su questa testata (10 gennaio 2021) in un mio articolo su un Collega cosentino prima dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario (e sono felice che il Presidente dell’Ordine Distrettuale degli Avvocati di Catanzaro l’abbia utilizzata per la chiusura del Suo intervento in quella Cerimonia).
La ripeto qui, per i distratti: “Il segreto della giustizia sta in una sempre maggior umanità e in una sempre maggiore vicinanza umana tra avvocati e giudici nella lotta contro il dolore”. (P. Calamandrei, Elogio dei giudici scritto un avvocato, Firenze, 1935).

*Avvocato

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