COSENZA Perdite accumulate e sempre in crescita, bilanci in rosso e una mission quella da affrontare per il neo commissario dell’Asp di Cosenza, Vincenzo La Regina, davvero impossible. Del disastro dei conti della sanità cosentina ci siamo occupati più volte, recentemente, nel corso dell’inchiesta condotta dalla Procura di Cosenza sulla mala gestio dei bilanci negli anni a cavallo tra il 2015 e il 2017. Il “Sistema Cosenza” ha scoperchiato il vaso di pandora e aperto gli occhi sul caos organizzato che ha retto per anni l’Azienda sanitaria provinciale fino alle indagini della Guardia di finanza che ha raccolto, negli uffici, documenti e faldoni per ricostruire parte di quel disequilibrio finanziario certificato, in una corposa relazione, anche dalla Corte dei Conti (qui la notizia).
Dopo i fatti emersi nel corso dell’inchiesta “Sistema Cosenza”, e la consapevolezza della presentazione tardiva dei bilanci dal 2015 al 2017, del parere negativo espresso più volte dal collegio sindacale, arriva anche la mazzata della Corte dei Conti. La Sezione rileva, infatti, «la mancata adozione dei bilanci 2018 e 2019, considerato che ad oggi, dalle ricerche esperite nelle piattaforme (Amministrazione Trasparente Sezione bilanci e Albo Pretorio on line) del sito dell’azienda, non risultano pubblicati atti riconducibili all’approvazione dei bilanci 2018 e 2019». Da qui, il richiamo della magistratura contabile ad «una celere approvazione dei bilanci e per il futuro l’invito all’Azienda ad individuare e porre rimedio ad ogni criticità operativa che impedisca l’approvazione dei documenti contabili nei termini previsti dalla normativa». Un sos (l’ennesimo) per salvare la sanità cosentina o quantomeno per risollevarne le sorti. Il quadro clinico è assai compromesso come è facilmente deducibile dai numeri del report e dal monito della Corte dei Conti: «il ritardo nell’adozione di tale documento o, peggio ancora, la mancata adozione dello stesso entro il ciclo di bilancio di riferimento, viola, tra gli altri, il principio di accountability, che impone agli amministratori, che impiegano risorse finanziarie pubbliche, di rendicontarne l’uso sia sul piano della regolarità dei conti e sia su quello dell’efficacia della gestione, privando, di conseguenza, il cittadino-utente della contezza su quel “bene pubblico” (il bilancio per l’appunto) che è funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell’ente territoriale».
In sede istruttoria la Sezione rileva un peggioramento delle perdite dal 2014 in poi. Un debito perennemente in crescita e sul quale il collegio sindacale si è espresso fornendo i risultati relativi agli ammanchi del 2018 e 2019, pari rispettivamente a oltre 62 milioni e 61 milioni di euro «seppur, per tali anni, non siano stati ancora adottati i rispettivi bilanci». Il dato grave è relativo alla percentuale di crescita delle perdite, lievitate dal 2017 al 2019 del 56%. Nel verbale del collegio sindacale numero 10 dell’11 giugno 2020 avente ad oggetto “Relazione al Modello CE IV trimestre anno 2019” si legge: «il Commissario Straordinario certifica che l’andamento della spesa relativa al CE IV trimestre 2019 non è coerente con gli obiettivi dell’equilibrio economico finanziario». Nulla però è stato detto sulle cause strutturali alla base delle perdite e sulle misure correttive da adottare. Ragion per cui la Corte «richiede, a seguito dell’adozione, l’invio del nuovo atto aziendale e dei bilanci 2018 e 2019 da approvarsi, come previsto dalla succitata norma, entro 90 giorni dalla nomina del nuovo commissario straordinario, nonché, sulla base di quanto disposto dal Dca numero 21/2021, la trasmissione, sempre previa adozione, del redigendo piano di rientro aziendale».
Ci sono almeno altre due voci, nella relazione della Corte dei Conti, che impongono un’attenta analisi. In primis, l’esame istruttorio ha evidenziato il mancato rispetto di quanto previsto dall’art. 9, comma 28, Dl numero 78/2010, secondo cui è possibile avvalersi di personale assunto a tempo determinato, o con altri contratti c.d. flessibili, nel limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009. «In sede di controdeduzioni, il Collegio sindacale ha comunicato che, per il 2018 e il 2019, persiste la violazione essendo tale costo, nel 2018 pari a € 16.424.054 (54,83% rispetto al 2009) e pari a € 16.835.869 nel 2019 (56,21% rispetto al 2009)». A tal proposito la Corte chiede di conoscere «il numero delle figure professionali assunte a tempo determinato, la loro tipologia, i controlli posti in essere in termini di verifica di efficacia, efficienza ed economicità della prestazione ricevuta e se abbia provveduto in autotutela ad annullare gli atti deliberativi, al fine di evitare il prodursi di eventuali danni erariali». Per quanto concerne i pignoramenti, altra voce finita nel mirino della Corte dei Conti, la cifra è spropositata. Il collegio sindacale, infatti, ha comunicato che «le somme vincolate per pignoramenti alla data del 31 dicembre 2019 sono pari a complessivi € 102.090.376,50 (come dichiarato anche l’istituto Tesoriere con nota del 6 aprile 2020)». Il collegio, in realtà, aveva già espresso un parere negativo in merito al bilancio 2017: «L’Azienda non è in grado di identificare con certezza la matrice sulla cui base i pagamenti vengono liquidati, questa situazione espone la stessa al rischio di remunerare più di una volta lo stesso importo per il medesimo debito. Tale situazione impedisce all’Azienda di utilizzare risorse del bilancio, sottraendo soldi pubblici finalizzati ad una ragione importante quale la tutela della salute e, conseguentemente, comporta la necessità di ricorrere all’istituto dell’anticipazione di cassa». Nel report, il riferimento neanche troppo velato è ai doppi pagamenti di fatture, circostanza emersa e cristallizzata nelle recenti inchieste della Procura di Cosenza. Come se non bastasse, per ripianare il debito, i responsabili avrebbero fatto un eccessivo ricorso all’anticipazione di cassa. La cui natura però è evidentemente eccezionale.
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