COSENZA La cosca Muto colpita ma non affondata dalle operazioni svolte nel corso degli ultimi anni dalle forze dell’ordine. Una capacità straordinaria di resistere ai colpi assestati dalla magistratura e di rigenerarsi grazie alle nuove leve. Nel fornire i dettagli dell’inchiesta denominata “Katarion”, il procuratore della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri ha sottolineato il forte radicamento sul territorio della famiglia Muto e la capacità di trovare alleati e sodali in grado di portare avanti i business illeciti. Dopo l’operazione denominata “Frontiera”, gli esponenti della cosca Muto di Cetraro hanno rivisto l’assetto organizzativo e continuato a controllare il territorio. Come certifica l’operazione di oggi, che nasce dalla riunione di tre filoni d’indagine, sviluppati dai carabinieri nell’arco temporale compreso tra maggio del 2016 e dicembre dello stesso anno.
Fiumi di droga scorrevano nell’Alto Tirreno cosentino senza che nessuno osasse fiatare. Non c’era angolo di qualsiasi comune della costa in cui i Muto non avessero piazzato pusher e uomini di fiducia. Lo spaccio «a Scalea e Santa Maria del Cedro era nelle mani di Pasquale Napoli coadiuvato da Alfonso Scaglione e Giovanni Franco; a Belvedere Marittimo, la gestione era affidata ai fratelli Ciro e Rosario Alessandro Impieri. I fornitori, invece, erano Maurizio Tommaselli e Luca Grosso Ciponte. A Cetraro, il feudo dei Muto, a gestire i canali di spaccio erano Mario Cianni, Ivan Vilardi, Giuseppe Antonuccio e tutta una serie di soggetti a loro legati, anche da vincoli di parentela. Infine, a Diamante, Buonvicino e comuni limitrofi, il presidio era esclusiva di Carlo Ricca, Lorenzo Pastorelli e Alessio Presta, “diretti” da Giuseppe Mandaliti». Ad aiutare gli inquirenti a definire con dovizia di particolari uomini e ruoli dei presunti affiliati alla cosca Muto, è il pentito Adolfo Foggetti ex affiliato alla cosca “Rango-Zingari”. «Le sue dichiarazioni hanno consentito di acquisire importantissimi elementi». Foggetti aveva rapporti con i cetraresi dai quali si riforniva quando non riusciva a reperire la droga a Cosenza o nella Sibaritide. «Foggetti, in particolare, riferiva che aveva contestato a Palermo Alfredo di portare a Paola stupefacente acquistato a Cetraro, ragione per la quale, successivamente, aveva avvicinato Luigi Muto per essere rifornito di marijuana e cocaina quando non riusciva ad averne dal canale di Cosenza. Luigi Muto era disponibile ma lo faceva dirottandolo da Guido Maccari e Cipolla Franco, dei quali – in sostanza – si serviva per i dettagli organizzativi delle numerose cessioni che sarebbero seguite. Foggetti ha dunque avuto relazioni criminali con più esponenti della cosca Muto». Nel corso di un interrogatorio effettuato dal procuratore Luberto, il collaboratore di giustizia conferma di aver avuto rapporti non solo con Luigi Muto ma anche con altri uomini a lui vicini. Secondo la narrazione di Foggetti, fatto ritorno al centro scommesse di Marina di Cetraro, Luigi Muto gli presentava tale “Tabacco” (Franco Cipolla) con il quale stabiliva nel dettaglio le future cessioni di stupefacente. «Muto mi parla di Tabacco – confessa Foggetti – te la vedi con lui, mi dice. Il prezzo te lo faccio io perché sei venuto da me personalmente, in quanto avevamo avuto il precedente incontro per il fatto dell’estorsione, dice, …ti faccio 55 la cocaina e 1,80 ti faccio l’erba, sarebbe 1.800 al chilo. Fatto sta che dopo siamo riandati all’agenzia, mi ha presentato “Tabacco” e mi disse che me la faceva portare lui, che l’ha fatta portare dal figlio».
Grazie alle intercettazioni delle utenze telefoniche di Pasquale Napoli, gli investigatori hanno acquisito elementi utili a far luce su una fiorente attività di spaccio di cocaina svolta Napoli e Franco nei comuni di Scalea e Santa Maria del Cedro e dai fratelli Impieri a Belvedere Marittimo. La comunanza dei canali di rifornimento fra le diverse piazze di spaccio ed il carattere “centralizzato” degli approvvigionamenti per tutta la fascia dell’alto Tirreno cosentino ha portato chi indaga a rilevare «l’esistenza, nell’area, di una struttura organizzativa dedita in modo stabile al traffico di stupefacenti sotto il controllo della cosca Muto». La richiesta di polvere bianca aumentava e gli uomini impegnati nelle piazze erano costretti agli straordinari per reperire la cocaina. E’ lo stesso Napoli, in uno degli episodi cristallizzati nelle carte dell’inchiesta, a impegnarsi «nell’affannosa ricerca di un fornitore che lo porterà prima a Guardia Piemontese da Maurizio Tommaselli, poi da Luca Grosso Ciponte ad Acquappesa fino a completare il lungo giro rivolgendosi a Tundis e Iacovo. Sarà Tommaselli, alla fine, a vendergli lo stupefacente. Questo lungo «girovagare di Napoli risulta assai significativo perché unisce “plasticamente” i fornitori in un’unica rete». Oltre ai clienti abituali, Napoli riceveva richieste anche da altre zone, ragion per cui «in talune circostanze si faceva aiutare da un ragazzo minorenne, per effettuare gli scambi». Circostanza, anche questa, oggetto di intercettazione: «Compà – Napoli si rivolge al minore – guarda che… toccala toccala! Oh non si riesce nemmeno a chiudere la busta! I soldi mi devi dare giovane!» e il suo interlocutore rispondeva «sono 50».
Le risultanze delle captazioni telefoniche eseguite sulle utenze in uso a Mario Cianni e Ivan Vilardi hanno permesso, «a partire dalla fine di novembre 2016, di censire una serie di contatti telefonici, prevalentemente sms, con un soggetto dall’accento reggino, successivamente identificato in Gianluca Antonio Vitale. La figura del locrese entra in diversi episodi di cessioni di droga. In particolare il 26 novembre 2016, alcuni contatti telefonici intercorsi tra Vilardi e Vitale testimoniano l’organizzazione di un incontro, avvenuto il giorno precedente, «quando Vitale aveva fornito un quantitativo di cocaina a Cianni e Vilardi. Quest’ultimo, tornato a casa, si mostra soddisfatto della buona qualità dello stupefacente e invia due sms a Vitale: «sei un signore con la s maiuscola». Il duo Cianni-Vilardi però riscontra qualche difficoltà economica e non riesce a far fronte ai pagamenti delle forniture di stupefacente sino ad allora acquistate da Vitale. I due per evitare ripercussioni, escogitano vari escamotage per prendere tempo. Dopo diverse sollecitazioni però Vitale lancia un ultimatum, chiedendo il pagamento dovuto: «se domani mattina alle undici non ho i soldi là sul conto, all’una vedi che qualcuno ti suona a casa e vedi che ti faccio». Vilardi lo chiama e «conferma di aver provveduto a mandargli “5”, cinquecento euro, asserendo che il giorno seguente, quando i due si sarebbero incontrati di persona, gli avrebbe portato gli “altri 2”». Costretto a prendere ulteriore tempo per reperire il denaro, Vilardi inviava a Vitale un nuovo sms con il quale comunicava che aveva avuto problemi e che non si poteva muovere, lasciando intendere di aver avuto guai con la giustizia: «Vedi che qua ci sono stati casini stanotte…io non posso muovermi. Lunedì faccio tutto. Mi dispiace non posso muovermi». Caduto nel tranello, ed evidentemente preoccupato, «Vitale chiedeva chiarimenti, temendo che le perquisizioni avessero sortito esiti nefasti per i suoi clienti e quindi potessero essere foriere di conseguenze anche per lui: «Ma non è successo niente?». Uno dei tanti debiti sarà poi saldato come scoperto dagli investigatori e come testimoniato da una copia di un bonifico rinvenuta nello smartphone utilizzato da Vilardi».
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