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«Facciamo un passo, facciamolo insieme»

1. Ho atteso qualche giorno prima di prendere la parola sulla scelta di Zingaretti di dimettersi e sullo stato del Partito Democratico. E l’ho fatto non solo, e neppure tanto, per avere il tempo d…

Pubblicato il: 11/03/2021 – 9:40
di Antonio Viscomi
«Facciamo un passo, facciamolo insieme»

1. Ho atteso qualche giorno prima di prendere la parola sulla scelta di Zingaretti di dimettersi e sullo stato del Partito Democratico. E l’ho fatto non solo, e neppure tanto, per avere il tempo di metabolizzare una notizia fulminante e per comprendere il corso degli eventi, quanto piuttosto per avere il tempo di interrogarmi sul senso profondo delle sue parole, pesanti quante altre mai: solitudine, vergogna, potere, poltrone.
2. Ciò che Zingaretti pone non è un problema – come pure qualcuno ha ritenuto – di adeguatezza psicologica della persona rispetto al ruolo assunto o di reazione estrema di burn-out allo stress, ma semmai un problema politico di rilievo che chiama in causa la stessa identità del Partito Democratico, i valori che intende incarnare, la sua funzione storica, il suo modello di organizzazione sui territori e di ricerca del consenso elettorale. Temi difficili, certo, ma ineludibili perché da essi derivano – a cascata – tutta una serie di conseguenze sulla quotidianità politica, a Roma come in Calabria, e dai quali, pertanto, è impossibile sfuggire voltandosi dall’altra parte o pensando che tanto tutto si risolverà con qualche accordo al caminetto. 
3. So bene quanto la caduta dei grandi ideali del secolo scorso e la scomparsa delle grandi narrazioni, che hanno conformato nel bene e nel male la vita individuale e collettiva, abbiano inciso nell’ancorare l’iniziativa politica sulla persona del leader anziché sulla comunità di destino segnata dal partito: sull’io anziché sul noi. E ne comprendo bene le conseguenze: la liquidità dell’organizzazione di partito è una di queste, così come la sua trasformazione in una sorta di periodico e personale comitato elettorale ad hoc.
4. Al tempo stesso non mi sfuggono le conseguenze delle grandi trasformazioni che la nostra vita collettiva sta subendo; per tutte, ricordo qui quanto globalizzazione e digitale hanno cambiato – anzi: stanno ancora cambiando e cambieranno ancora nel futuro – il modo in cui viviamo, le relazioni tra le persone, i sistemi di produzione e i rapporti di potere.
5. Tra grandi narrazioni ormai cadute e grandi trasformazioni ancora in atto, abbiamo bisogno, io credo, di riconquistare la capacità di governare questa fase di transizione segnata dalla crescita esponenziale e terribilmente evidente delle diseguaglianze, di ogni genere di diseguaglianze. Per riuscire in questa non facile impresa abbiamo bisogno di un pensiero in grado di definire una prospettiva valoriale, e dunque di proporre una visione di paese, capace di animare e orientare l’azione e l’iniziativa politica. In assenza di una idea, di una visione, la politica non è più tale, ma conquista di poltrone e mero esercizio di potere.
6. Consentitemi di confessare qui lo sconcerto che io e molti altri abbiamo provato negli ultimi mesi sentendo da qualcuno affermare “mi candido alle regionali” e poi, alla domanda “con chi, per fare cosa”, sentir dare questa risposta sconcertante: “non lo so, intanto mi cerco i voti, poi si vedrà”. Candidarsi. Ma per fare cosa e con quale visione della Calabria da proporre agli elettori non è dato sapere. E quello che si legge nelle inchieste della magistratura, anzi nelle dirette parole intercettate e virgolettate dei protagonisti, sono solo una dolorosa conferma di ciò che succede quando la politica diventa mera gestione di potere e poltrone.
7. Dal mio punto di vista, un assetto di valori capace di orientare l’azione politica – una visione di paese e di futuro, appunto – esige di essere ridefinito a partire dalla complessità del reale, piuttosto che dalle astrazioni dei modelli ideali, e di essere pensato guardando al futuro possibile, piuttosto che rivolto a idealizzare un passato che non vuol proprio passare.
8. So bene che di fronte all’ignoto, la cosa più semplice è riportarlo al noto e così sentirsi sicuri; sicuri di cosa, poi, non saprei neppure dire, dal momento che tra pochi anni non esisterà più la gran parte dei lavori oggi esistenti, tanto che parlare oggi dei temi del lavoro senza legarli alle trasformazioni dell’impresa e dei mercati è del tutto inutile.
9. Il fatto è che siamo eredi, non semplici custodi museali, di tradizioni culturali che chiedono di vivere in nuovi modi e in nuovi mondi. Abbiamo bisogno di individuare strade nuove per incarnare i valori che sono consacrati nella nostra Costituzione (molto citata, ma poco letta, temo, nel suo complesso). Ed è proprio in questa prospettiva che da tempo con diversi amici cerchiamo di proporre una idea di riformismo che tenga conto della importanza delle comunità, di volontà o di destino, dei corpi intermedi, delle autonomie locali. E che pure qualche risultato ha portato: penso, ad esempio, ma si tratta solo di uno fra gli esempi possibili che potrei fare, all’assegno unico per i figli, introdotto nell’ultima legge di bilancio recuperando a tal fine un disegno di legge presentato nel 2018 a prima firma Delrio.
10. Senza una identità forte, una visione chiara e chiaramente comunicata ai cittadini, anche le scelte più coraggiose rischiano veramente di perdersi e disperdersi nei meandri contorti della comunicazione al tempo dei social. Basti pensare alla giusta scelta del Partito Democratico di sostenere il governo Draghi, non solo per responsabilità o perché lo ha chiesto il Presidente Mattarella, ma piuttosto perché in esso la comunità dem ritrova la propria la propria agenda politica, la dimensione europea che ne segna l’orizzonte, l’attenzione alla transizione ecologica e ad una ecologia integrale, la centralità dell’innovazione digitale e dell’economia circolare. Perciò è sbagliato cedere alla retorica dei poteri forti, dello stato di eccezione o addirittura della morte della politica. Basti pensare ancora al rapporto con M5S che ha evidenziato l’importanza di riconoscere e dialogare con sensibilità attente alle questioni della legalità, della solidarietà, dell’innovazione. Basti pensare ancora alla compresenza nello stesso governo con partiti di destra che anche grazie alla ferma posizione europeista della comunità democratica sono stati costretti ad iniziare a ripensare le prospettive sovraniste e populiste che li hanno caratterizzati.
11. Di fronte alla complessità dei tempi, le risposte non possono essere che altrettanto complesse, e devono essere ricercate nel quadro di una visione generale di “progresso materiale e spirituale della società” (così dice l’art. 4 della Costituzione). Ma un visione non può essere calata dall’alto. Deve nascere nella quotidianità della vita personale, professionale e politica. Dalla condivisione di ragionamenti e di riflessioni, di esperienze e competenze.
12. Per questo mi ritrovo a dire da tempo che il Partito Democratico deve aprire porte e finestre per ascoltare una società in fermento e comprendere le onde profonde che la attraversano. E l’assenza dei luoghi dove ragionare, la solitudine dei tanti militanti che non sanno dove e come confrontarsi, per capire, per dare un contributo, il non sentirsi parte di una comunità sono elementi che pesano come macigni nella costruzione di una comunità politica.
13. Per questo ho ritenuto fosse opportuno avviare un ciclo di incontri online e proporre uno spazio pubblico in cui avviare un ragionamento comune su cosa vuol dire “essere democratici in un mondo che cambia”. Il primo incontro web avrà luogo lunedì 15 marzo alle ore 17, con amici e amiche della provincia di Catanzaro. E sarà trasmesso sul mio profilo Facebook.
* Deputato del Partito democratico

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