CATANZARO Il racconto parte dalla notte del 19 dicembre 2019, quando tutta la provincia di Vibo Valentia si tinge del blu dei lampeggianti delle gazzelle dei carabinieri che danno vita alla maxi-operazione “Rinascita-Scott “: 334 arresti tra boss e gregari delle cosche del Vibonese. Tra questi c’è anche Luigi Mancuso, al vertice del Crimine nella provincia, l’uomo che teneva le redini dei rapporti tra le locali in Calabria e non solo, catturato su un treno all’altezza di Lamezia Terme. L’indagine “Rinascita-Scott” della Dda di Catanzaro irrompe su Rai Tre, nella trasmissione Presa Diretta condotta da Riccardo Iacona, con la stessa forza trascinante e impetuosa con la quale ha azzerato i vertici della ‘ndrangheta di Vibo Valentia, con arresti dalla Sicilia alla Lombardia.
«Di fatto la ‘ndrangheta è entrata dall’ultimo marciapiede fino al primo cantiere di Vibo Valentia; dall’ospedale fino all’amministrazione pubblica», racconta il capitano Alessandro Bui, comandante della prima sezione del Nucleo investigativo di Vibo. Il potere dei Mancuso esercitato con forza e protervia, non senza lasciare vittime innocenti sul suo cammino. Tra queste c’è Matteo Vinci, ucciso con un’autobomba nel 2018, a 42 anni, vittima della pretesa, secondo l’accusa, di Rosina Mancuso e della sua famiglia di impossessarsi dei terreni della famiglia di Matteo. Aspetta di avere giustizia anche il padre di Filippo Ceravolo, 19 anni, morto per avere avuto la sventura di chiedere un passaggio in auto a Domenico Tassone, bersaglio di un agguato, pochi minuti dopo aver caricato in macchina Filippo. Tassone scampa ai colpi dei killer mentre Filippo non avrà scampo. «Me l’hanno massacrato», racconta il padre Martino Ceravolo che da 9 anni chiede che la verità venga a galla. «Devono prenderli e devono pagare – dice Martino Ceravolo – io mi auguro che a me e alla mia famiglia arrivi la notizia, saremo pronti a essere parte civile. Noi non abbiamo paura di nessuno».
Fin qui una ricostruzione impeccabile ma è nella vicenda più importante e decisiva che Iacona associando ai fatti le suggestioni, alla cronaca il romanzo, trascura di verificare – nonostante i faldoni dell’inchiesta compulsati a favore di telecamere – tempi e luoghi, fatti e persone, versioni e prospettive. Perché in una vicenda del genere, come abbiamo già scritto, più d’uno ha evidentemente interesse a coprire le responsabilità dei vivi con il silenzio dei morti.
Il focus sull’uomo che rappresenta il fulcro del racconto investigativo di Rinascita-Scott, Giancarlo Pittelli, avvocato penalista ed ex parlamentare di Forza Italia, descritto come il «Giano Bifronte», l’uomo che guarda da un lato allo Stato, agli ambienti giudiziari, al mondo politico e dall’altro ha un rapporto strettissimo con Luigi Mancuso e i suoi gregari. Rapporti troppo stretti per limitarsi a essere quelli tra cliente e avvocato, annotano i magistrati della Dda. Riunioni segrete, figli con problemi all’università per i quali si fa intervenire il rettore, bisogno di aiuti medici mentre Luigi Mancuso si trovava in stato di latitanza. Anzi, non era latitante, come dice il suo avvocato Salvatore Staiano, «era poco reperibile» (Salvatore Staiano è oggi imputato in un procedimento che lo vede accusato di favoreggiamento aggravato dal metodo mafioso con l’accusa di avere aiutato illecitamente il boss Andrea Mantella ad uscire dal carcere, adducendo problemi di salute, e trascorrere un più comodo “soggiorno ” in cliniche private, ndr)
Nel racconto tutto è ammantato dall’ombra della massoneria deviata.
Quando viene arrestato, in casa di Pittelli viene trovato un foglio di appunti dove erano annotati tutti gli argomenti a suo carico e lo stesso Pittelli chiede se fosse stato arrestato nell’ambito del provvedimento emesso dal gip Barbara Saccà, dimostrando di conoscere il nome del giudice che aveva lavorato sulla richiesta della Dda di Catanzaro. «Interrogato, sul momento Pittelli si difende dicendo: “Tutte queste informazioni me le ha date il giornalista Paolo Pollichieni” che però – dice Iacona – non può confermare perché morto per una grave malattia nel maggio del 2019, sette mesi prima che l’avvocato Pittelli venisse arrestato». Sul punto vengono interrogati da Iacona anche gli avvocati difensori di Pittelli, Salvatore Staiano e Guido Contestabile. Riportiamo uno stralcio della conversazione tra il giornalista Iacona e gli avvocati di Pittelli.
Iacona chiede perché Pittelli conoscesse il nome della Saccà. «Ma lei lo sa – risponde Contestabile – che in Tribunale c’era un’affissione nella quale si dispensava la dottoressa Saccà perché gli era in carico un procedimento penale con moltissime richieste di custodia cautelare». «E quindi – dice Iacona – lo ha appreso (Pittelli, ndr) come lo hanno appreso tutti. Lo sapevate pure voi?». «Ma certo», risponde Contestabile. «In giro ci chiedevano tutti, “ma è vero che nel Vibonese arresteranno cento, centocinquanta persone?”», gli fa eco Staiano. Iacona dirotta poi la conversazione sul “pizzino” ritrovato a casa di Pittelli. «Pittelli dice che glielo hanno detto i giornalisti, fa il nome di un collega che è morto: Pollichieni», insiste Iacona.
«In questo caso ci si difende con i morti ma – a dire di Contestabile – a giusta ragione». «Lo ha saputo da Pollichieni parlandogli di persona e non intercettato – dice Iacona – perché non ci sono intercettazioni in cui Pollichieni vi racconta questa roba qui». «Non siamo riusciti ancora a trovarle», ammette Contestabile. Dunque, riassumiamo. Le intercettazioni che infangano Paolo Pollichieni non si trovano e ci si continua a difendere con i morti. A Iacona sarebbe bastato, infatti, verificare le date in cui sono state depositate – per esempio – le informative che riguardavano Pittelli e si sarebbe reso conto che Paolo Pollichieni era morto già da mesi. Il “pizzino” trovato in casa dell’ex deputato contiene una serie di dettagliate indicazioni su fatti oggetto di indagine relativi ad altrettante informative depositate sul tavolo della Procura mesi dopo la morte di Pollichieni. Imperdonabile per un giornalista come Iacona non aver compreso a fondo che pur di limitare l’impatto dell’inchiesta Rinascita-Scott c’è chi è disposto a tutto, persino a camuffarsi da agnello. Ma fatti e circostanze tra non molto troveranno risposte definitive nelle pubbliche udienze del maxi-processo Rinascita Scott. I fatti, ripeteva Paolo Pollichieni, sono ostinati. (redazione@corrierecal.it)
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