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la riflessione

«Noi siamo quelli che passano»

Il Comm. Uff. Gen. Figliuolo, in una sua dichiarazione, non so quanto consapevolmente, ha descritto quasi con un affresco la situazione di tanti molti di noi o di una nazione intera: quella dei no…

Pubblicato il: 20/03/2021 – 12:54
di Francesco Siciliano*
«Noi siamo quelli che passano»

Il Comm. Uff. Gen. Figliuolo, in una sua dichiarazione, non so quanto consapevolmente, ha descritto quasi con un affresco la situazione di tanti molti di noi o di una nazione intera: quella dei non garantiti, quella degli Italiani di buona volontà che negli anni passati hanno provato a migliorare le proprie condizioni. Affermando, come detto, in una trasmissione televisiva, faremo il vaccino a chiunque si trovi a passare, qualora vi siano dosi in eccesso, è riuscito a dipingere lo stato d’animo e la condizione di tutti quelli che non hanno mai avuto certezza del dopo, di cosa c’era dopo la curva; descrivendo perfettamente la voglia di fare e, semmai, solo l’ottimismo o l’incoscienza nel proiettarsi verso il futuro. Noi siamo quelli che senza tradizioni familiari o reti di protezione relazionali (molti), abbiamo affrontato le libere professioni e il lavoro autonomo, con la caparbietà e l’incoscienza di chi si era rappresentato il mondo futuro attraverso il racconto della vita e delle esperienze dei propri genitori. Impegno, studio, forza, per entrare in modo in cui non si era cittadini ma neofiti seguendo quella immagine che ci era rimbalzata da bambini da una generazione che, ahimè, oggi paga e ha più pagato il Covid.
Molte sere a cena o in riunioni di famiglia allargata (non più usuale nel mondo moderno) eravamo stati incantati e riscaldati dai racconti dei nostri fari. Un racconto classico era: avevo un paio di scarpe e andavo a piedi al Telesio ma il mio merito mi portò a diplomarmi e poi, lavorando, a laurearmi. Erano gli anni in cui le famiglie medio basse (non protette dalle guarentigie di essere stati balilla o fascisti) potevano garantire un percorso di studi a un solo membro della famiglia; per gli altri l’appuntamento era con il lavoro minorile salvo poche eccezioni. Quei racconti un po’ romantici del ragazzo o giovane concentrato sullo studio (unico vero fattore di mobilità di classe) erano fascino e giuramento: farò così, ci si diceva.
Ne è seguito un percorso per cui, molti figli di quella generazione, si sono buttati a testa bassa sulla istruzione per migliorare la propria condizione economico sociale. Si era, è vero, sia in provincia che altrove, abusivi, “arrivati”, ma si era diventati professionisti, piccoli imprenditori per la gioia interiore che, in fondo, era il mix tra la gioia dei genitori e la propria, tutta tesa verso un percorso tradizionale: il miglioramento sociale attraverso le generazione. Si potrebbe dire il Sogno italiano di una società in cui si fondevano elementi di liberismo e di socialismo. Tutti concentrati nell’impegno di perseverare in quel percorso, che era indole e cultura familiare, non ci siamo accorti che da circa trenta anni a quel percorso (forse un po’ sognatore ed ipocrita nel negare i canali privilegiati e garantiti) se ne era sostituito uno diverso: la garanzia del potere e la politica intesa come mantenimento del potere che pianifica (senza più ipocrisia) i percorsi di miglioramento sociale e i posti al sole per la propria famiglia e i propri accoliti. Dietro solo il mondo di sotto che deve stare in fila in attesa del suo turno per un piccolo spazio al sole. Il cambio di passo nelle regole sociali (anche esplicite) ha via via relegato a comprimari gli “arrivati” che, senza mettersi in fila dietro al potente, continuavano imperterriti ad investire sul lavoro e l’impegno. Il lavoro paga, il tempo è galantuomo si è sempre detto. Tanti di questi, tuttavia, hanno visto sfrecciare in Ferrari, che superavano tutte le regole del gioco e i limiti di velocità, chi apparteneva al potere. Li hanno visti arrivare, vivere bene o perché gli spettava per diritto di censo o perché avevano saputo stare bene in fila. La esplicita, e a volte, rivendicata, violazione delle regole di ogni sano antagonismo o di concorrenza ha corroso pian piano quel sogno e quella regola di vita invadendo interiormente ognuno di noi. Perché sopportare che gli appartenenti al potere potessero impunemente violare ogni regola? Non è forse meglio adeguarsi per poter competere? E questo mutamento del convivere civile non ha riguardato soltanto gli arricchimenti o le carriere, ma anche i rendimenti scolastici, i comportamenti dei consociati che, mai e poi mai, prevaricherebbero un appartenete al potere inteso questo come èlite ( sia essa nazionale o più banalmente locale). I fenomeni di prevaricazione, di bullismo, di arroganza non colpiscono mai l’élite, di questa, il codardo che è bullo, prevaricatore, amico degli amici, ha timore ed evita di praticarla.
Lo stesso mutamento del convivere civile si è plasticamente rappresentato in pandemia, nei periodi di solo contenimento del contagio prima e, oggi, nella campagna vaccinale. Tanti sono stati e saranno i chiamati (non legittimi) al vaccino nella totale indifferenza dei controllori. Anche loro inseriti a pieno titolo nella cultura del rispetto del l’elite.
In fondo il Comm. Uff. Figliuolo per una volta nel fare una battuta ha veramente parlato al popolo o più precisamente descritto praticamente la situazione del popolo. È vero, generale: noi siamo quelli che passano, perché crediamo che avanzi un vaccino;
noi siamo quelli che passano, perché, imperterriti, continuano a credere che riusciremo, al solito, a combattere; Noi siamo quelli che passano, perché vogliamo credere che il domani non sarà una ripresa dell’era antica, dopo la soluzione di continuità del Covid; Noi siamo quelli che passano, perché crediamo che lo Stato debba accompagnarci nel nuovo mondo senza contenere la situazione Covid e poi far ripartire chi ne ha la forza; Noi siamo quelli che passano perché, in fondo, romanticamente pensiamo che davvero dobbiamo salvarci tutti insieme.
Noi siamo quelli che passano perché in fondo noi gente comune siamo l’Italia.

*avvocato

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