LAMEZIA TERME Ad avviso del collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, 34 anni, non c’è clan in Calabria che non conosca la figura del boss Luigi Mancuso, «era un’ambizione avere rapporti con Luigi Mancuso, lui era come un presidente». L’esame dell’ex braccio armato della cosca vibonese dei Piscopisani riprenderà questo lunedì. Tre udienze sono già state dedicate all’esame di Moscato e nella prossima settimana ne sono previste altre due. A tenere banco, tra le altre cose, la lotta senza quartiere che i Piscopisani avevano ingaggiato per cercare di spodestare la potente e numerosa famiglia dei Mancuso guidata la Luigi Mancuso, detto anche “il Supremo”, ultimo della generazione degli 11 fratelli.
«Michele Fiorillo e Rosario Battaglia già da quando erano piccolini non potevano vedere i Mancuso – racconta Moscato – già quando andavano a scuola bisticciavano con i figli e i nipoti dei personaggi grandi». «I rapporti dell’alleanza nostra – continua Moscato – con i Tripodi e Michele Mancuso, detto “Michelina”, invece, erano ottimi, però i Piscopisani non apprezzavano al 100%. Infatti una volta al matrimonio del figlio di Michele Cosimo Mancuso (“Michelina”, ndr) che s’è sposato con una ragazza di Gerocarne sono stati invitati i Tripodi che per fare omaggio alla famiglia di Michele Mancuso sono andati con mogli e figli. I Piscopisani questa cosa non l’hanno mai digerita». «Pessimi i rapporti con Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni», dice il collaboratore. E, infatti, fino a quando Luigi Mancuso è stato in carcere e il comando è stato mantenuto da “Scarpuni” la guerra con i Piscopisani non ha avuto tregua.
C’erano, tuttavia, dei componenti del clan Mancuso coi quali i rapporti erano buoni «con la B maiuscola». Tra questi Salvatore Cuturello, marito della figlia di Giuseppe Mancuso, alias “Peppe ‘Mbroglia”, e Antonio Campisi, figlio di Domenico Campisi (assassinato nel 2011). Da quello di cui è a conoscenza Raffaele Moscato, già i Cuturello e i Campisi volevano l’eliminazione di Pantaleone Mancuso “Scarpuni”.
Nonostante la rivalità, le parole spese nei confronti di Luigi Mancuso sono sempre parole di rispetto. Anche quando si parla del desiderio del “Supremo” di distaccarsi dal Crimine reggino, Moscato spiega che Luigi Mancuso voleva costituire un altro Crimine lungo un territorio «da Vibo in su». «Già quando vengono battezzate le persone a Lamezia Terme – spiega Moscato – rispondono al Crimine e alle locali di Nicolino Grande Aracri (boss della provincia criminale del Crotonese, ndr). Luigi Mancuso voleva fare la stessa cosa». Moscato tiene a specificare che non è Luigi Mancuso a seguire l’esempio di qualcuno ma è «lui a fare le cose e sono sempre gli altri a seguire il suo esempio».
Il distacco da Reggio Calabria e l’alleanza con i crotonesi si comincia a esprimere nelle copiate dei battezzi di ‘ndrangheta. «Quando si battezzavano i vibonesi c’erano copiate strane – racconta il collaboratore – c’erano personaggi di Isola Capo Rizzuto, di Lamezia, persone che non facevano parte del Crimine di Reggio Calabria».
Ricorda – chiede il sostituto procuratore Annamaria Frustaci – se c’erano rapporti tra Luigi Mancuso e persone di Isola Capo Rizzuto o del Crotonese?
«Dottoressa – risponde Moscato – con Luigi Mancuso io credo che nessuna cosca non aveva rapporti perché era un’ambizione avere rapporti con Luigi Mancuso, a livello di ‘ndrangheta. Qua stiamo parlando di un presidente».
Entrando nello specifico, il collaboratore spiega che Mancus aveva rapporti da anni con la famiglia Arena, in particolare con Paolo Delfino, contabile degli Arena. Ad un certo punto Luigi Mancuso e Nicolino Grande Aracri sono stati detenuti insieme nel carcere di Siano e si racconta «che quando scendevano loro nell’area comune emanavano un carisma perché erano tutti insieme là compresi dei reggini che erano in buoni rapporti con Luigi Mancuso».
Il primo settembre 2015, nel corso di un interrogatorio Moscato ha riferito che Luigi Mancuso «di cui parlano tutti bene, alla fine dell’anno 2012 aveva provato a contattarci, attraverso Saverio Razionale, per fare la pace con noi Piscopisani; si diceva, inoltre, che Luigi Mancuso si è distaccato dal Crimine della provincia di Reggio Calabria e si è alleato con Nicolino Grande Aracri con i Farao, gli Arena e Marincola; negli ambienti carcerari si diceva insomma che si era avvicinato ai crotonesi». A distanza di oltre cinque anni Moscato conferma queste parole e aggiunge anche il nome dei Nicoscia di quali alleati dei Mancuso. Una famiglia potente, quella dei Mancuso, una figura carismatica quella del boss Luigi Mancuso, l’uomo che era «come un presidente» e con il quale le cosche avevano «l’ambizione” ad avere rapporti». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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