CATANZARO La storia è nota alle cronache: Giuseppe Tursi Prato, ex consigliere regionale che si era visto portare via il vitalizio in seguito a una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, aveva fatto ricorso davanti alla Corte d’Appello per il ripristino dell’assegno. Per raggiungere lo scopo – racconta l’inchiesta Genesi della Procura di Salerno – avrebbe avvicinato il giudice Marco Petrini (condannato in abbreviato a 4 anni e 4 mesi), attraverso il faccendiere Emilio Santoro (condannato in abbreviato a 3 anni e 2 mesi), elargendo al togato denaro, un soggiorno gratuito presso una struttura gestita dall’imprenditore crotonese Luigi Falzetta a Brusson in Valle d’Aosta, derrate alimentari, un bracciale tipo Tennis marca “Recarlo” del valore di 1.600 euro, acquistato da Luigi Falzetta. L’accusa per Tursi Prato e Falzetta – nel processo che si sta svolgendo davanti al Tribunale collegiale di Salerno – è di corruzione in atti giudiziari. In questo processo è imputato per corruzione anche l’ingegnere Vincenzo Arcuri accusato di avere elargito 10mila euro a Petrini per essere favorito in due cause, una civile e una penale.
Il prossimo 20 aprile, riguardo a questo episodio, sarà sentita come teste dell’accusa il giudice della Corte d’Appello di Catanzaro Gabriella Reillo. Secondo la tesi della Procura, infatti, Tursi Prato si sarebbe recato dalla Reillo, magistrato che presiedeva il collegio (composto anche da Domenico Commodaro e Francesca Garofalo) al quale era stato assegnato il ricorso presentato da Tursi Prato. La Reillo – è scritto nero su bianco nei brogliacci di Genesi – è stata prima avvicinata dal collega Petrini il quale «per non far apparire sospetta la sua richiesta, presentava la questione alla collega come “una cosa carina”, ed analoga a quella di Bruno Contrada (ex funzionario del Sisde condannato per concorso esterno e in seguito riabilitato grazie all’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo, ndr)». Altro dato significativo – scrive il gip di Salerno – «era relativo al fatto che, per come riferiva lo stesso Petrini, la dottoressa Francesca Garofalo (giudice relatore) fosse già a conoscenza della questione e che comunque non avrebbe formato la relativa sentenza: “Questo è un caso analogo a quel caso Condrada… non so se te ne ha parlato Francesca … non so come non l’ha fatto..”; la Reillo, in tale senso, rispondeva affermando che la Garofalo gliene aveva già parlato senza sapere però se avesse depositato la relativa sentenza: “No non l’ha fatto… […]… me ne aveva parlato all’inizio però non so se l’ha depositata…”».
Il 21 dicembre 2018 gli investigatori della Guardia di finanza di Crotone notavano Tursi Prato entrare nel palazzo della Corte d’Appello per depositare una memoria aggiuntiva, come suggerito da Petrini.
«In tale occasione – è scritto nelle carte dell’inchiesta – il personale presente nell’ufficio riferiva al Tursi Prato che la memoria era stata consegnata alla dottoressa Reillo. Il Tursi Prato non esitava quindi a bussare alla porta del prefato giudice e, non appena entrato negli uffici, si rivolgeva ad una donna chiamandola “dottoressa” (non escludendo, pertanto, che potesse trattarsi proprio del giudice Reillo Gabriella), alla quale si presentava: «… Dottorè… sono l’onorevole Tursi Prato …» e questa, come se già fosse a conoscenza del suo interlocutore, rispondeva: “… aaaaaa, okay”. Il dialogo fra i due diveniva quasi confidenziale tant’è che il Tursi Prato diceva all’interlocutrice: “Come state, tutto bene?” e la dottoressa, come emergeva dalla captazione ambientale, intratteneva tranquillamente il dialogo parlando anche della discussione e della futura decisione della sentenza fissata ormai a dopo le festività natalizie».
A marzo 2019 Emilio Santoro e Marco Petrini discutono in merito alla sentenza su Tursi Prato. Petrini al riguardo rispondeva che si sarebbe dovuto informare e che comunque vi erano stati dei ritardi nella stesura della sentenza vista la considerevole mole di lavoro presso quell’ufficio. Tuttavia «lasciava intendere – scrive il gip di Salerno – che, se la sentenza non era ancora uscita, molto verosimilmente, la colpa era da attribuire anche alla dottoressa Reillo (presidente della sezione): Petrini: “ho capito… è lei che si è messa in mezzo…” ed al riguardo il Santoro riferiva che la voleva distruggere mediaticamente facendo pubblicare, sul conto della giudice, degli articoli di stampa su una testata giornalistica». Alla fine il ricorso di Tursi Prato verrà dichiarato inammissibile.
Questa vicenda occuperà parte dell’udienza il 20 aprile prossimo. L’accusa tenterà di dimostrare il comportamento corruttivo di Tursi Prato, tesi che la difesa – rappresentata dagli avvocati Franz Caruso per Arcuri e Tursi Prato e Fabio Pellegrino e Marco Vignolini per Luigi Falzetta – mirerà a smontare.
Il giudice Reillo non sarà l’unico teste che verrà sentito. Nell’udienza del prossimo 20 aprile è prevista l’escussione anche del maresciallo Ungaro, della Guardia di finanza di Crotone, il fratello dell’avvocato Francesco Saraco (condannato a un anno e 8 mesi in abbreviato), la prima moglie del giudice Petrini, il cognato di Emilio Santoro, il direttore della commissione tributaria di Catanzaro. Una lunga lista testi per raccontare lo spaccato di un’inchiesta dai molteplici tronconi – di recente si è appreso dell’indagine sul giudice di Corte d’Appello Domenico Commodaro – denominata “Genesi”. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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