REGGIO CALABRIA «Ai tempi del ricovero a Messina di Mommo Piromalli, gli studenti universitari Tripodi avevano avuto incarico di occuparsi di lui. I Tripodi si avvantaggiarono di questa “vicinanza” tanto che, grazie a Mommo Piromalli, conseguirono 18 esami in medicina in un solo anno. Mommo Piromalli aveva “agganci” coi professori universitari, tra cui il professore Navarra». I verbali di Marcello Fondacaro, collaboratore di giustizia della Piana di Gioia Tauro, illuminano i rapporti tra la famiglia Tripodi e la cosca Piromalli. Un racconto che affonda nel passato: il capostipite della famiglia di dottori era il medico curante di “don Mommo”, suo figlio Franco diventerà – il 22 marzo 1980 – addirittura uno di casa, grazie al matrimonio con Cettina Piromalli. Fondacaro, che a quelle nozze dice di aver partecipato, spiega che «si svolsero all’Hotel 501 di Vibo. Presero parte 1.000 invitati e a tutti fu chiesto come regalo un’offerta in denaro. Furono date addirittura indicazioni in ordine alla somma da versare. Era nei fatti una tangente».
Qualche mese prima, Antonio e Franco Tripodi si laureano in medicina all’università di Messina, «presieduta all’epoca (dal 1975 al 1981) dal professore Salvatore Navarra, fratello di Michele, storico boss della mafia siciliana, vicino a Girolamo Piromalli, ricoverato nello stesso periodo nell’ospedale Piemonte, in regime detentivo». La frase appuntata dai magistrati antimafia di Reggio Calabria chiude il cerchio delle dichiarazioni di Fondacaro e forse segna l’incipit di un sistema di potere che, secondo la Dda guidata da Giovanni Bombardieri, si snoda lungo i decenni e tiene in scacco la sanità della Piana di Gioia Tauro.
Antonio Russo, altro pentito in rapporto con tutte le cosche dell’area (anche se mai formalmente affiliato), spiega che i Tripodi sono «la bocca e le orecchie» dei Piromalli «e per tale motivo “tengono in pugno” la sanità» nella loro area di riferimento. Il ruolo dei medici, però, pare strategico. Hanno legami con altre cosche di peso, come i Mancuso (lo abbiamo raccontato qui) e non solo («Franco Tripodi – dice Russo – è anche in rapporti con i Grande Aracri di Cutro») e detengono nell’Asp un potere che richiama direttamente quello del casato della Piana. Questo potere, stando a Russo, sarebbe totale. «Fu don Mommo Piromalli – dice il pentito – a far costruire l’ospedale in Gioia Tauro e fu lui a sistemare gli infermieri. Il suo barbiere di fiducia (…) divenne caposala. La sede dell’Asl è stato il palazzo Piromalli, quando era presidente Paolo Antonio Albanese detto “U Spingiuni”». Il collaboratore di giustizia ha qualche aneddoto criminale da spendere: «Voglio citare un episodio – racconta –. Antonio Tripodi venne in compagnia di uno ‘ndranghetista di Zambrone, tale ‘Ntoni Cuppari, per recuperare un credito» maturato in una truffa ideata da due soggetti della Piana di Gioia Tauro. Russo era coinvolto nel raggiro e «il dottor Antonio Tripodi mi impose nella qualità di “ministro della famiglia Piromalli” di dare 10mila euro a questo Cuppari. Cosa che io regolarmente feci, pagando in contanti».
Se Antonio Tripodi si presentava come “ministro dei Piromalli”, «l’appartenenza mafiosa di suo fratello Franco è nota anche alla ‘ndrangheta vibonese». Lo racconta in un verbale Andrea Mantella, uno dei pentiti centrali del processo Rinascita. Per l’ex killer dei Piscopisani, Tripodi gli sarebbe stato consigliato dal suo avvocato dell’epoca per sventare un arresto considerato molto probabile (era stato scarcerato dal Tdl nell’operazione “Good Fellas” ma il pm aveva fatto ricorso contro il provvedimento, ndr). «Tripodi – evidenzia Mantella – veniva indicato come un medico “a disposizione” della ‘ndrangheta tutta e parente dei Piromalli». Sarebbe stato un capo ‘ndrangheta di Porto Salvo a creare il contatto con il medico. «La risposta di Tripodi fu positiva», dice il boss pentito. Un urologo di Tropea andò a trovarlo a casa a Cosenza e, senza che fosse effettuata alcuna visita, a Mantella «fu prescritto un ricovero, avendo io simulato una colica renale. Il sabato mattina – continua il racconto – mi recai autorizzato a Tropea e feci gli esami di routine, che furono alterati, come alterata fu l’ecografia». A quel punto si pianifica un modo per evitare l’arresto. «Non vi preoccupate – avrebbe detto Tripodi –, per il giorno che scatta l’operazione, lo facciamo trovare ricoverato nel mio reparto (chirurgia), già sottoposto a un interventino, sicché non possono arrestarlo». Lo Stato, però, arriva prima. E l’ordinanza di custodia cautelare viene notificata a Mantella – che intanto avrebbe messo in pratica un maldestro tentativo di fuga – mentre si trova ancora nel reparto di Urologia dell’ospedale di Tropea. «Insomma – chiosa Mantella – medici come Tripodi vengono “usati” per farci uscire dal carcere, grazie a false certificazioni, o se abbiamo necessità durante la latitanza». (p.petrasso@corrierecal.it)
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