CORIGLIANO ROSSANO Dalla pandemia se ne uscirà solo attraverso i vaccini o i farmaci che contrasteranno il Sars-Cov-2. Su questa seconda via sta lavorando il genetista calabrese, Giuseppe Novelli, autore di un primo studio. «Anziché bloccare l’ingresso del virus nelle cellule abbiamo cercato di capire come bloccarne l’uscita», spiega a Repubblica.it. «Abbiamo così identificato una classe di enzimi, chiamata E3-ubiquitin ligasi, che sono necessari al virus per uscire dalle cellule e diffondersi in altri tessuti dell’organismo. E cosa non meno importante è che queste proteine non sono del virus, ma nostre e, quindi, non risentirebbero delle variazioni del virus». I ricercatori hanno dimostrato che i livelli di questi enzimi sono elevati nei polmoni dei pazienti e in altri tessuti infettati con il virus. Il nuovo farmaco è «l’Indolo-3 Carbinolo (I3C), già utilizzato nel trattamento di patologie rare, e che abbiamo dimostrato, per il momento in vitro, di essere in grado di bloccare l’uscita del virus. Se impediamo o anche solo rallentiamo la replicazione del virus – sottolinea ancora il rossanese Giuseppe Novelli – ne possiamo compromettere anche la sua sopravvivenza. Dobbiamo testare il farmaco in studi clinici con pazienti Covid-19 per valutare rigorosamente se può prevenire la manifestazione di sintomi gravi e potenzialmente fatali. Avere opzioni per il trattamento, in particolare per i pazienti che non possono essere vaccinati, è di fondamentale importanza per salvare sempre più vite umane e contribuire ad una migliore condizione e gestione della salute pubblica».
«Dobbiamo pensare a lungo termine – aggiunge Pier Paolo Pandolfi, scienziato dell’Università di Torino e del Nevada che, insieme a Novelli, ha coordinato lo studio –. I vaccini, pur essendo molto efficaci, potrebbero non esserlo più in futuro, perché il virus muta, e quindi è necessario disporre di più armi per combatterlo. La scoperta su I3C è importante, e ora dobbiamo avviare studi clinici per dimostrare la sua potenziale efficacia. Sarà importante valutare se I3C possa anche ridurre le gravissime complicazioni cliniche che molti pazienti sperimentano dopo aver superato la fase acuta dell’infezione. Questo rappresenterà un grave problema negli anni a venire, che dovremo gestire».
Lo studio – riferisce Repubblica.it – sostenuto dalla Fondazione Roma, è stato condotto in collaborazione con l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, l’Istituto Spallanzani, l’Università San Raffaele di Roma e diverse istituzioni americane (Harvard, Yale, Rockfeller, NIH, Mount Sinai, Boston University), canadesi (Università di Toronto) e francesi (INSERM Parigi el’Hôpital Avicenne).
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