REGGIO CALABRIA «L’attentato del 2004 sembrava qualcosa fatto di proposito, architettato con l’aiuto di qualcuno dei servizi segreti, con la complicità di persone del Comune, vicine a Peppe Scopelliti». Le parole sono quelle di Seby Vecchio, che torna nell’aula di udienza del processo “Gotha” per essere sottoposto al controesame delle difese.
L’ex poliziotto, assessore, massone e ‘ndranghetista, come si era definito durante il primo esame dibattimentale dello scorso 17 marzo, torna su alcune delle vicende narrate nelle risposte al sostituto procuratore Stefano Musolino e al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, presente anche oggi in aula.
Gli avvocati difensori cercano crepe nella sua ricostruzione dalla quale emergono nuove versioni su vicende note e meno note della storia cittadina (e non solo).
Su tutte, quella del tritolo piazzato a Palazzo San Giorgio nel 2004. Nel racconto di Vecchio, dietro a quell’episodio ci sarebbe stato «l’interesse di Nicolò Pollari», ex direttore del Sismi.
L’attentato, aggiunge il pentito rispondendo al riesame del pubblico ministero, era stato orchestrata per «accrescere la popolarità di Scopelliti» all’epoca dei fatti primo cittadino di Reggio Calabria. «Dopo la vicenda dell’ordigno – dice – Scopelliti ottenne la scorta ed ebbe maggiore lustro».
Particolari che Vecchio racconta di aver appreso personalmente parlandone con «”assessori” e persone della ‘ndrangheta», rivendicando i suoi contatti coi servizi segreti. Tra i primi cita «Amedeo Canale, Michele Raso e Imbalzano».
Di fatti Vecchio dice di aver appreso le notizie per tramite, posto che nel 2004 non era ancora un “interno” della politica. «Dell’esplosivo si parlava. Eravamo tutti della stessa idea, anche Sarra».
Tutto ebbe origine da una segnalazione fatta proprio dal numero due del Sismi, Marco Macini alle autorità locali, che intervennero nella sede del Comune accertando la presenza dell’esplosivo, che però, nel racconto di Vecchio «era una bufala. È stato preparato». Sempre Mancini firmò le tre informative inerenti il presunto atto intimidatorio che portarono a identificare Scopelliti come il presunto bersaglio e la ‘ndrangheta come mandante.
Eppure, a distanza di 17 anni, non ci sono ancora riposte chiare su quanto accaduto e su quale famiglia avesse voluto – nella ricostruzione dei servizi – attentare alla vita dell’allora sindaco.
Il pentito, sollecitato dalla difesa, aggiunge: «Carmine Nunnari, conosciuto come “Carminello ultras della Reggina”, mise il tritolo a Palazzo San Giorgio dove lavorava, mi pare, come usciere» e insieme a lui «collaborarono anche altre persone esterne». «Non so da chi gli venne chiesto di farlo ma c’è stato un coinvolgimento così tanto da poterlo fare in maniera pulita, cioè posizionare il tritolo nel bagno e uscirsene senza che nessuno se ne accorgesse fino a dare l’allarme».
Un’operazione “chirurgica” giunta in porto per il presunto coinvolgimento in collaborazione tra cosche e servizi segreti, «interessati a blindare la persona di Scopelliti affinché prendesse tutto e per tutto».
«Più che fortificarlo Scopelliti – aggiunge – bisognava inventarlo, strutturarlo e portarlo avanti dal nulla nell’interesse delle consorterie ‘ndranghetiste, di Paolo Romeo e dei De Stefano». Un disegno diffuso al quale avrebbero preso parte anche altre “famiglie”.
La tipologia di esplosivo utilizzata sarebbe stata la stessa di quello proveniente dalla “Laura C”, nave affondata al largo di Melito Porto Salvo. Cariche prive di innesco.
Quella della macchinazione dietro all’attentato è una teoria di cui Vecchio sostiene aver avuto conferma anche in epoca successiva, da altre fonti. Un disegno, quello orientato a favorire l’ascesa di Scopelliti, che secondo il pentito si sarebbe esteso anche negli anni a venire.
A parlare della vicenda era stato il collaboratore di giustizia Moio, pentito nel 2010. Come riporta ilFattoQuotidiano, nel corso di un’udienza celebrata davanti alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, raccontò alcuni particolari: «Durante quel periodo, – disse il collaboratore Roberto Moio – c’è stata la bomba che gli avevano messo là, una bomba lì al sindaco Scopelliti, a Peppe Scopelliti, e la Questura mi aveva detto se potevamo sapere chi era, perché c’è stato un pochettino di scalpore là a Reggio Calabria, se potevamo scoprire insomma chi erano gli autori di questo! E io misi quattro chili e mezzo di plastico come esca». Nella sua ricostruzione, Moio, benché nipote dei Tegano, disse di aver chiesto in giro e di non essere riuscito a scoprire nulla circa la regia di quella vicenda, anche per questo ancora avvolta nell’ombra.
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