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‘ndrangheta e sangue

L’omicidio di Piccione a Vibo e la vendetta (dopo un anno) del clan Lo Bianco

La ricostruzione e la risoluzione del cold case dopo 28 anni. Dai rilievi alle dichiarazioni del super-pentito Mantella

Pubblicato il: 24/03/2021 – 19:25
di Giorgio Curcio
L’omicidio di Piccione a Vibo e la vendetta (dopo un anno) del clan Lo Bianco

VIBO VALENTIA Una vendetta consumata poco più di un anno dopo il brutale omicidio di Leoluca Lo Bianco. Una esecuzione decisa dai vertici della “società maggiore” del locale di ‘ndrangheta operante nella città di Vibo Valentia e nel territorio vibonese.  Obiettivo Filippo Piccione, ferito mortalmente con alcuni colpi di pistola esplosi la sera del 21 febbraio 1993, secondo gli inquirenti, da Lo Bianco Salvatore e “u Gniccu” e il cugino Nicola Lo Bianco, entrambi con il volto travisato da una maschera di carnevale. A ricostruire i fatti sono stati i Carabinieri del Ros e del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Vibo Valentia, nel corso di un’attività investigativa coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, che oggi hanno eseguito una misura cautelare in carcere a carico di Salvatore Lo Bianco e Rosario Lo Bianco, ai quali sono state contestate le aggravanti di aver agito con premeditazione, nonché di aver agito al fine di agevolare l’attività della ‘ndrina Lo Bianco-Barba.

L’omicidio di Leoluca Lo Bianco

Un omicidio brutale e premeditato, studiato per portare a termine la più classica delle vendette di ‘ndrangheta. Un anno prima, infatti, l’1 febbraio 1992, in contrada Nasari a Vibo Valentia, a cadere sotto diversi colpi d’arma da fuoco era stato Leoluca Lo Bianco, ucciso proprio davanti agli occhi del padre, Antonino. Sarà proprio lui a ricostruire gli avvenimenti di quella drammatica sera. In particolare racconta agli inquirenti di aver passato il pomeriggio insieme al figlio e al cugino, Francesco Lo Bianco, a Vibo e di aver assistito alla pioggia di proiettili che ha investito mortalmente il figlio Leoluca, proprio mentre si accingevano a riprendere la moto-ape, a ridosso dell’ingresso della proprietà di Filippo Piccione. L’omicidio di Leoluca Lo Bianco resta irrisolto fino alle nuove indagini, riaperte nel 2018, con la rilettura dei verbali e le informazioni testimoniali rese da Alfredo Calafati, considerato il factotum di Piccione, e lo stesso Filippo Piccione. Dalle nuove indagini era emerso come i colpi d’arma da fuoco che hanno ucciso Leoluca Lo Bianco provenissero dall’interno della proprietà di Piccione. Tesi poi avvalorata dal sequestro di armi trovate in possesso di Piccione e dai contrasti in atto con Lo Bianco. 

I contrasti 

All’omicidio di Piccione, inoltre, hanno assistito l’avvocato Francesco Lampasi e l’allora funzionario della Regione Calabria, Pasquale Rimedio, entrambi suoi amici, e presenti nel momento dell’omicidio. L’attività investigativa degli agenti del Commissariato di Polizia di Vibo si concentra da subito nei contesti legati all’attività imprenditoriale di Filippo Piccione, a cominciare dagli amministratori del Comune di Briatico con i quali proprio Piccione aveva in atto un contenzioso per la realizzazione di un complesso residenziale. Tra i possibili moventi, inoltre, erano stati inclusi i danneggiamenti subiti da ignoti nella sua proprietà in contrada Nasari. Vengono poi ascoltati Antonino Lo Bianco – padre di Leoluca ucciso l’anno prima – e i fratelli della vittima Vincenzo e Salvatore Lo Bianco, segno che fin dall’inizio la pista della “vendetta” maturata in ambiente di ‘ndrangheta era stata già fiutata dagli inquirenti.  Altra dichiarazione importante per gli inquirenti è poi quella resa dal factotum di Piccione, Alfredo Calafati, secondo il quale dall’omicidio di Leoluca Lo Bianco avvenuto l’anno prima non «vi erano stati più episodi di danneggiamento e di furto nella proprietà di Piccione». 

rapimento e omicidio conocchiella

Il caso archiviato

Anche dalle attività investigative eseguite parallelamente dal Comando Compagnia dei Carabinieri di Vibo vengono individuati tre possibili moventi per l’omicidio di Filippo Piccione: una serie di contrasti con alcuni soggetti amministratori e tecnici del Comune di Briatico; dissidi con alcuni pastori del luogo e proprietari dei terreni limitrofi e il taglio di 21 alberi d’ulivo subito dallo stesso Piccione. La terza ipotesi, invece, è legata al sequestro del nipote della vittima, Giancarlo Conocchiella, e che vedeva tra i presunti responsabili Carmelo Lo Bianco e Luigi Mancuso. Ma, nonostante le attività investigative e le dichiarazioni rese da numerosi soggetti, il caso verrà comunque archiviato. 

Il rifiuto di Andrea Mantella 

Saranno però le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e appartenenti o vicini alla cosca Lo Bianco a fornire informazioni determinanti per la ricostruzione dei fatti, permettendo di individuare quali soggetti responsabili proprio Rosario e Salvatore Lo Bianco. Di assoluto rilievo sono in particolare le dichiarazioni di Andrea Mantella, già appartenente al clan Lo Bianco e che ha riferito di essere stato incaricato dai suoi capi, Carmelo “Piccinni” Lo Bianco e Carmelo “Sicarru” Lo Bianco, di occuparsi «in prima persona dell’omicidio di Filippo Piccione, per vendicare la morte di Leoluca Lo Bianco». È ancora Mantella a spiegare che, anche su consiglio del cognato Antonio Franzè, aveva declinato l’incarico essendosi dato «alla latitanza volontaria dopo aver commesso l’omicidio di Ferdinando Manco». Al suo rifiuto, spiega poi Mantella, i «Lo Bianco avevano passato l’incarico di uccidere Piccione a Salvatore “u Gniccu” Lo Bianco, fratello del defunto Leoluca». 

Andrea Mantella

L’autista “Totò Mazzeo” 

Importanti per gli inquirenti anche le dichiarazioni di Antonio Grillo “Totò Mazzeo”. È lui ad avere avuto un ruolo attivo nell’omicidio di Filippo Piccione di autista e “palo” e  anche lui ha indicato come movente la vendetta voluta da Carmelo “Sicarru” e Carmelo “Piccinni” Lo Bianco, per l’uccisione del loro nipote Leoluca. 

Le dichiarazioni ritrattate da Polito

Sono le dichiarazioni di Carmelo Polito (deceduto l’1 marzo 2011) che, sebbene successivamente ritrattate, a fornire ulteriori spunti investigativi. È lui a spiegare ai carabinieri di aver appreso i dettagli dell’omicidio di Filippo Piccione da Salvatore Lo Bianco durante un periodo comune di detenzione nel carcere di Vibo Valentia. Secondo le prime dichiarazioni di Polito «Salvatore Lo Bianco aveva ucciso Piccione in quanto questo, in precedenza, aveva ucciso il fratello Leoluca e aveva intenzione di uccidere anche un altro fratello di Lo Bianco». 

Prove schiaccianti

Per gli inquirenti, dunque, non ci sarebbe alcun dubbio che gli esecutori materiali dell’omicidio di Filippo Piccione siano stati Salvatore e Rosario Lo Bianco, insieme a Nicola Lo Bianco (ucciso e probabile vittima di lupara bianca) e Antonio Grillo, anche lui deceduto. I mandanti, invece, sarebbero da individuare nei vertici della cosca Lo Bianco e i vertici della “società maggiore”: Carmelo “Piccinni”, Carmelo “Sicarru” e Vincenzo Lo Bianco, tutti e tre già deceduti, e il padre della vittima Leoluca, Antonino Lo Bianco, anche lui deceduto.  E poi Domenico Lo Bianco e Antonio Franzè, entrambi indagati, insieme a Michele “u Ciucciu” Lo Bianco, già agli arresti domiciliari;  Paolino Lo Bianco, attualmente in carcere a L’Aquila; Vincenzo “u Musichiere” Barba, già in carcere a Napoli; Filippo Catania, detenuto nel carcere di Vibo e Leoluca “u Rozzu” Lo Bianco, già detenuto e tutti già coinvolti nella maxi inchiesta “Rinascita-Scott”. (redazione@corrierecal.it)

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