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OPERAZIONE “JOY’S SEASIDE”

L’ascesa della ‘ndrina “Brandimarte-De Maio”, Bombardieri: «Territorio reso più vulnerabile dalla pandemia»

La Dda di Reggio: «Le altre famiglie della Piana avevano dato legittimazione alla cosca»

Pubblicato il: 25/03/2021 – 12:55
di Francesco Donnici
L’ascesa della ‘ndrina “Brandimarte-De Maio”, Bombardieri: «Territorio reso più vulnerabile dalla pandemia»

REGGIO CALABRIA «La cosca “Brandimarte-De Maio” operava secondo le prerogative tipiche delle “famiglie” di ‘ndrangheta. Il loro potere era alimentato da estorsioni e danneggiamenti, oltre che dal possesso di armi e capitali che nel tempo la hanno portata ad acquisire un ruolo di rilievo nel panorama del narcotraffico internazionale». Il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri e il procuratore aggiunto Gaetano Paci tracciano il profilo dell’inchiesta “Joy’s Seaside” che nella mattinata di questo 25 marzo ha portato all’applicazione di 19 misure cautelari (17 eseguire e 2 in corso di attività) nei confronti di altrettante persone sparse sul territorio della Piana di Gioia Tauro, ma anche oltre i confini regionali (uno degli arresti è avvenuto a Udine). Il “nuovo” profilo – tracciato nel corso della conferenza stampa da remoto – è quello della famiglia fattasi strada tra le crepe del rapporto tra i Piromalli e i Molè, deterioratosi dopo l’omicidio di Rocco Molè, ma tornato saldo come testimoniano le cointeressenze riscontrate già nel 2017 nell’indagine “Provvidenza” e solo lo scorso 23 marzo in “Chirone”. La convalida delle richieste cautelari firmata dal gip Foti, ha quindi permesso alle autorità di intervenire per disarticolare un progetto criminale radicato nel tempo che aveva fatto del “Rione Marina” e del “Lungomare” di Gioia Tauro una sorta di “enclavi” della cosca che gestiva i propri affari in prevalenza legati al narcotraffico.

L’indagine: l’organizzazione dedita al narcotraffico internazionale

Il dispiegamento di forze intorno alla “roccaforte” delle cosche è partito dalle prime luci dell’alba odierna, quando circa 200 agenti del commissariato di polizia di Gioia Tauro e della squadra mobile della Questura di Reggio Calabria, coadiuvati dagli equipaggi del reparto Prevenzione Crimine e dalla squadra mobile di Udine, hanno eseguito le misure richieste all’esito dell’indagine svolta dalla procura reggina col procuratore aggiunto Gaetano Paci e il sostituto procuratore Giulia Pantano, titolare del fascicolo.
Le ipotesi di reato vanno dall’associazione (anche mafiosa) finalizzata al narcotraffico internazionale fino alla detenzione di armi e munizioni.  
«La genesi dell’indagine – spiega il dirigente del commissariato di Gioia Tauro – è il 5 aprile 2017, quando avvennero i primi arresti». Dopo aver effettuato un controllo nel fondo agricolo della moglie di uno degli odierni indagati, viene scoperto un ingente quantitativo di sostanze stupefacenti ed armi che sposta l’attenzione degli inquirenti sulla cosca “Brandimarte-De Maio”, in particolare su alcuni esponenti della “famiglia” De Maio.
L’indagine si estende a macchia d’olio fino al “Rione Marina” e al “Lungomare” «dove le cosche operavano un controllo del territorio asfittico». I vertici, nello specifico, «rimanevano in quelle zone per ore, intenti a conversare nelle attività commerciali riferibili alla “famiglia” dove venivano ricevuti anche esponenti – noti e meno noti – delle altre “famiglie” della Piana di Gioia Tauro».
Summit serrati, «finalizzati a delineare le strategie criminali, impartire direttive, favorire i contatti tra i “Brandimarte-De Maio” e le altre consorterie».
Nelle “enclavi” circolava una grande quantità di sostanze stupefacenti. Evidenzia il gip come quelle zone fossero state «trasformate in vere e proprie piazze di spaccio».
«Abbiamo certificato numerosi episodi con l’arresto di acquirenti che avevano contatti telefonici con la cosca», aggiunge il dirigente di polizia. Attività che dal 2017 (almeno per quanto è stato possibile accertare attraverso le indagini) portano fino ad oggi.

L’associazione mafiosa: il “riconoscimento” della ‘ndrina “Brandimarte-De Maio”

Sono diversi i collaboratori di giustizia che hanno tracciato il profilo sugli esponenti di questo nuovo clan «che operava con le tipiche modalità delle tradizionali ‘ndrine», dice il procuratore Paci.
«Per la prima volta abbiamo potuto radiografare il gruppo “De Maio-Brandimarte”» che incedeva sul territorio attraverso «estorsioni, danneggiamenti, detenzione di armi, controllo di alcuni esercizi commerciali» e rapporti con le altre “famiglie” storiche della zona. Secondo gli inquirenti, il gruppo criminale sarebbe stato “legittimato” dalla ‘ndrangheta anche grazie ai rapporti intrattenuti nel corso del tempo con i Pesce e i Bellocco di Rosarno o gli Alvaro di Sinopoli.
Nella zona operano anche altre ‘ndrine, motivo che porta a ritenere il gruppo «non egemone, benché radicato sul territorio della Piana». Di fatti, i “De Maio-Brandimarte” vengono presentati come «espressione della potente “famiglia” Molè, anche tenuto conto che Pasquale De Maio, esponente di spicco della consorteria, era considerato all’epoca un “killer” dei “Piromalli-Molè”».
Il radicamento della “famiglia” nella zona del porto, dice Paci, «li ha posti da sempre in una posizione privilegiata per potersi inserire nel team del grande narcotraffico internazionale».
«Non stiamo parlando di una ‘ndrina storica – spiega il procuratore capo Bombardieri – ma di un gruppo criminale che ha trovato “riconoscimento” negli anni successivi al 2012 in seguito ad alcuni fatti cruenti». Tra questi il procuratore capo richiama le faide tra i Brandimarte e i Priolo «e una serie di avvenimenti che ne hanno permesso l’affermazione».
I collaboratori hanno confermato non soltanto il “riconoscimento” ma anche «l’autonomia della ‘ndrina» ottenuto all’esito della «situazione di rottura tra i Piromalli e i Molè».

L’appello del sindaco per la sicurezza del territorio

Nei giorni scorsi il sindaco di Gioia Tauro, Aldo Alessio, aveva lanciato un appello per una maggiore sicurezza di un territorio spesso “assediato” via terra e mare. L’operazione odierna, nelle parole del questore Bruno Megale, vuole essere una risposta, anzi «la migliore risposta che si possa dare, attraverso l’attenzione manifestata dalla magistratura, dal Comitato per l’ordine e sicurezza pubblica  e le forze in campo quest’oggi». Nella Piana insistono alcune tra le «’ndrine più agguerrite della regione», motivo che ha portato gli inquirenti, spiega il procuratore capo: «Ad accrescere la propria attività soprattutto a fronte dell’aggravarsi di determinate situazioni di vulnerabilità indotte dalla pandemia». (redazione@corrierecal.it)

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