Su un trabattello a sei metri da terra, nelle vesti di Prospero Giancarlo Cauteruccio declamava: «Ora non ho più spiriti da controllare né arte per incantare, e la mia fine è la disperazione, se non mi dia sollievo la preghiera, che trafigge così a fondo da assaltare la misericordia stessa».
Era l’estate del 2002, parco dell’Acciaiolo, Scandicci (Firenze). Giancarlo Cauteruccio, di origini calabresi, presentava la sua versione definitiva della Tempesta di Shakespeare, preceduta da un lungo studio sulle scelte multimediali e multisensiorali della messinscena.
Con le musiche dal vivo di Marco Messina e Meg, all’epoca voce dei 99 Posse, Cauteruccio-Prospero condusse lo spettacolo da posizione sopraelevata, sdoppiandosi: regista e attore insieme. Fumi e raggi laser come in un celebre brano di Franco Battiato, effetti speciali, architetture di luce, fu un lavoro molto toccante, commovente soprattutto nell’addio dello spiritello Ariel, interpretato da Meg, che salutava il padrone Prospero uscendo da un tunnel d’aria quasi surreale: una magia e illusione ottica in stile Krypton, la compagnia teatrale fondata dallo stesso Cauteruccio e Pina Izzi.
Con la regia di Cauteruccio, nel ’97 i Krypton portarono al Teatro Studio di Scandicci U jocu sta finisciennu: Finale di partita in dialetto calabrese; traduzione di John Trumper, ai tempi professore ordinario nell’Unical. Lì il dialogo sfasato tra Hamm e Clov, cioè i fratelli Giancarlo e Fulvio Cauteruccio, si svolgeva dentro una gabbia con due schermi ai lati e uno sullo sfondo, sopra i quali venivano proiettate inquadrature di più telecamere, tra cui una minuscola, direzionata a mano dallo stesso Giancarlo. Real time e forse cubismo scenico.
Allora la lingua ruvida della Calabria caratterizzò la riscrittura di quel capolavoro di Beckett; per esempio nell’espressione “vacante”, concetto che il termine “vuoto” non rende affatto. E la tecnologia (video) servì ad amplificare – anche aggiornando il gioco prospettico del quadro Las Meninas, di Velázquez – la dimensione della solitudine e dell’incomunicabilità dell’uomo che sta al centro della drammaturgia beckettiana e attraversa il Novecento: da Pirandello a Musil, al pianista sull’oceano Danny Boodman T.D. Lemon, creatura di Alessandro Baricco.
Eneide di Krypton, che poi diventò cult, rappresentò il trampolino di lancio dei Litfiba, che ne scrissero la colonna sonora e pubblicarono l’omonimo album. Correva il 1983.
Con la ricerca incessante, l’avanguardia tecnologica, il laboratorio attorale curato a lungo dal fratello Fulvio, le installazioni e proiezioni per valorizzare chiese, cave di marmo e altri spazi pubblici, il coinvolgimento di numerosi talenti della scena fiorentina e non solo, per esempio i bolognesi-calabresi del Parto delle nuvole pesanti, Giancarlo Cauteruccio è stato per decenni protagonista indiscusso di un teatro totale: di sintesi compiuta tra le diverse forme espressive, dalla musica all’architettura, dalla pittura all’elaborazione digitale, alla poesia canonica e visiva. Delle sue teorie e dei suoi insegnamenti si sono nutriti tanti creativi, che poi hanno avuto fortuna all’estero.
Ora Cauteruccio ha deciso di tornare in Calabria dopo anni di successi, premi e riconoscimenti; dopo aver dato un contributo rilevante al teatro contemporaneo e tra l’altro collaborato con Giusto Pio, Ornella Vanoni e altri artisti di grande livello. Per quanto capito, la decisione nasce dalla lontananza, se non indifferenza, della politica nei riguardi della cultura in generale e dell’opera di Cauteruccio in particolare, influenzata dalle esperienze e frequentazioni del regista come dal suo conflitto di emigrato dalla Calabria, di uomo diviso tra le proprie origini e l’orizzonte globale. Forse proprio da questo cortocircuito esistenziale può nascere una scintilla per cambiare la scena alle nostre latitudini. Intanto nell’ambito culturale, artistico, dello spirito.
Fotografia di Guido Mencari / www.gmencari.com
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