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«Abolire le Regioni per restituire equità ai cittadini»

Quanto costano le Regioni? I dati consultabili si riferiscono all’anno 2014; tuttavia, pur sapendo che in sette anni saranno sicuramente aumentati, danno l’idea di quanto si spende per il loro man…

Pubblicato il: 29/03/2021 – 10:26
di Franco Scrima*
«Abolire le Regioni per restituire equità ai cittadini»

Quanto costano le Regioni? I dati consultabili si riferiscono all’anno 2014; tuttavia, pur sapendo che in sette anni saranno sicuramente aumentati, danno l’idea di quanto si spende per il loro mantenimento.
Quando si discute dei costi del decentramento bisognerebbe partire da una considerazione: là dove il federalismo c’è già, a parità di servizi forniti ai cittadini, il costo pro capite è molto più alto rispetto a quello delle Regioni dove il federalismo ancora non c’è. A questa conclusione è pervenuto l’Isae (Istituto di studi e analisi economica che effettua ricerche col fine dell’utilità per le decisioni di politica economica e sociale del Governo, del Parlamento e delle Pubbliche Amministrazioni) che con rigore segue da anni gli effetti economici del federalismo.
Eccone uno stralcio. La Valle d’Aosta, le due province autonome del Trentino- Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia, la Sicilia e la Sardegna spendono una media di 3.431 euro per residente per fornire i servizi sociali e amministrativi assegnati ormai a tutte le Regioni e non più soltanto alle cinque autonome. Le altre quindici Regioni, quelle a Statuto ordinario tra le quali rientra anche la Calabria, ne spendono 1.970 a testa.
In pratica rispetto alla media delle 20 Regioni, che è di 2.197 euro, le cinque autonome hanno un costo maggiore del 56 per cento. Cosa accadrà quando tutte avranno i poteri che ad Aosta e a Palermo si esercitano dagli Anni Quaranta? Secondo l’Isae i costi lieviteranno per due motivi: il primo è che già oggi sono più alti dove il federalismo c’è; il secondo è che venti governi sono più costosi di uno per l’inevitabile moltiplicarsi di strutture, normative e funzioni. Il livello medio di spesa per le materie trasferite alle Regioni tenderà a salire dai 2.197 euro a testa attuali verso quota 3.431.
Una volta che si libera l’analisi dai preconcetti leghisti (“Roma ladrona”, “Sud sprecone” e così via) si osserva che il federalismo attuale prevede il potere di spesa, ma non la responsabilità di gestire le entrate. A Bolzano come a Catanzaro le amministrazioni locali devono solo decidere anno per anno come spendere i fondi tendenzialmente crescenti che arrivano dalla fiscalità generale; cioè da Roma (secondo la terminologia del Carroccio) per cui la capitale appare più generosa di quanto si dica in “padania”.
Non a caso ad alzare le tasse locali non sono le Regioni spendaccione, ma quelle che cominciano ad affrontare i piaceri e i doveri del federalismo. L’Irpef regionale è più alta in Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche, Umbria, Puglia e Calabria, tutte Regioni a statuto ordinario. E anche le accise sui carburanti sono state alzate. Insomma, secondo l’Isae, c’è un’Italia che comincia ad accollarsi i costi del federalismo con l’incremento delle imposte locali, e un’altra che da sempre vive i piaceri del federalismo scaricando le spese sulla fiscalità generale. Perché ciò sia stato finora possibile è facile da spiegare: dal Centro si è preferito pagare senza badare troppo alle uscite, pur di garantire la pace sociale in aree con possibili tensioni (si pensi solo al bilinguismo in Alto Adige o al separatismo in Sicilia e Sardegna). Una scelta, secondo l’Isae, storicamente comprensibile che, però, diventerà difficile da mantenere quando tutte le Regioni conquisteranno gli stessi poteri, poiché solo alcune hanno l’obbligo di far quadrare i bilanci.
Non di rado, poi, le Regioni autonome sono costose perché piccole. Fornire servizi a comunità poco numerose, secondo l’Istituto di Studi e analisi economica, comporta costi unitari elevati. La Sardegna, per esempio, spende per abitante più della Sicilia e la Valle d’Aosta più del Friuli. E il problema delle piccole dimensioni è diffuso lungo tutta la Penisola: la Liguria costa più del Piemonte; l’Umbria più della Toscana; la Basilicata più della Puglia.
La Fondazione Agnelli, alla fine degli Anni Ottanta, aveva suggerito di accorpare le Regioni minori come primo passo per un federalismo efficiente. Ma la tendenza è semmai opposta: è più probabile che la Romagna si separi dall’Emilia piuttosto che si crei una Regione Adriatica dalle Marche alla Puglia. Eppure i dati parlano chiaro: le nove Regioni accorpabili costano il 26% di più rispetto alla media nazionale. Purtroppo però l’unica volontà politica forte e chiara è espressa dalla Lega Nord (a partire dalla Lombardia e dal Veneto) che vorrebbe ridurre la solidarietà nei confronti delle aree deboli, cioè il Sud Italia, dove, se si escludono le due Regioni a statuto speciale Sicilia e Sardegna, sempre stando ai calcoli dell’Isae, si ha un costo pro capite di 2.495 euro; molto vicino alla media nazionale che è di 2.197.  Considerate, infine, le polemiche tra Governo e Governatori, una domanda nasce spontanea: perché invece di abolire le Province, non si aboliscono le Regioni, le quali si comportano come se fossero esse stesse lo Stato centrale? Tale considerazione era contenuta in un interessante articolo, pubblicato alcune settimane fa, da “Il Fatto Quotidiano”, nel quale era messa in evidenza la conflittualità tra Regioni e Governo centrale. Da ciò il suggerimento a ripensare le funzioni, l’autonomia e i poteri demandati alle Regioni che sono funzionali agli interessi di parte, ma che, paradossalmente, spesso non collimano con i bisogni della popolazione.
*giornalista

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