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la decisione

“Kossa”, Pasquale Forastefano resta in carcere

Cadono le accuse in merito ad un episodio di estorsione e all’intestazione fittizia dei beni.

Pubblicato il: 30/03/2021 – 13:41
“Kossa”, Pasquale Forastefano resta in carcere

CATANZARO Pasquale Forastefano resta in carcere. E’ arrivata questa mattina la decisione dei giudici in merito al ricorso al Tribunale del Riesame di Catanzaro, presentato dall’avvocato Cesare Badolato, legale di uno dei principali indagati nell’inchiesta denominata “Kossa”. I giudici hanno deciso di sollevare da responsabilità l’indagato in merito a quattro capi di imputazione (5;19;25;27) mossi in sede di indagine. In particolare, il primo capo di imputazione riguardava una presunta estorsione, i restanti tre invece presunte intestazioni fittizie di beni.

Forastefano aveva scelto il silenzio

Sono durate tre anni le indagini (partite nel 2016 e concluse nel 2019) condotte dalla squadra mobile di Cosenza, guidata dal vicequestore Fabio Catalano e dal Servizio centrale operativo della polizia, e dirette dal procuratore capo della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Capomolla e dal pm antimafia Alessandro Riello che hanno coinvolto 17 persone ritenute appartenenti o contigue alla famiglia Forastefano. L’operazione nome in codice “Kossa” ha permesso di disarticolare i vertici del clan alleato con la cosca Abruzzese. Davanti al gip del Tribunale di Catanzaro, Paola Ciriaco, sono partiti gli interrogatori nei confronti dei soggetti destinatari di misura cautelare in carcere. Il principale imputato, Pasquale Forastefano (difeso dall’avvocato Cesare Badolato) ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. Chi ha scelto di rispondere alle domande del gip è Alessandro Forastefano, fratello di Pasquale.

La feroce aggressione ad un imprenditore

Giovanni Falcone, gestore di una ditta di trasporti, viene preso di mira dal gruppo dei Forastefano. I bilanci in rosso della sua azienda attirano gli uomini del clan che, di fatto, «lo hanno costretto dietro minacce a cedere le quote societarie e la totalità dei beni aziendali, con in testa il parco automezzi». Ma c’è di più. Il clan non si accontentava del mero controllo aziendale, ma imponeva il subentro anche nella gestione dell’impresa per «ereditarne le commesse e i contratti stipulati anche con aziende nazionali». Falcone sarebbe stato più volte minacciato e in una occasione anche schiaffeggiato da Pasquale Forastefano alias “l’animale”. Un’aggressione in piena regola costata all’imprenditore la rottura della protesi dentaria. E’ questo per gli investigatori uno degli episodi che certificano la radicata presenza ed operatività sul territorio della famiglia Forastefano ormai considerata a tutti gli effetti «stabile e autosufficiente». La forza oppressiva è cresciuta di pari passo con la capacità di intessere rapporti e contatti con gli altri gruppi criminali operanti nella zona, in particolare con quello degli “Zingari”, con interessi a Cassano allo Jonio e nella Sibaritide. La manifestazione più evidente del controllo esercitato dalla due forze criminali è dato dal «meccanismo della “estorsione-protezione” applicato in modo capillare, e con poche eccezioni, in ogni forma di attività economica che si svolge nel contesto locale in cui sono insediati». Quello che il procuratore della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri, nel corso della conferenza stampa, sintetizzerà richiamando «all’ossessione» quasi maniacale per il controllo del territorio. (f.b.)

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