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Fughe sui quad e contrasti familiari. Mancuso racconta la saga criminale del “suo” clan

L’agguato a “Ciccio Tabacco” per «cose interne alla famiglia», il ruolo del dentista Redi, l’arresto dell’Ingegnere «per una soffiata», la rissa al Punta Cana

Pubblicato il: 01/04/2021 – 21:40
di Alessia Truzzolillo
Fughe sui quad e contrasti familiari. Mancuso racconta la saga criminale del “suo” clan

LAMEZIA TERME La saga criminale della famiglia Mancuso di Limbadi è lunga e intricata, si perde in rivoli, racconti, parentele, affiliazioni e particolari. Ne sa qualcosa Emanuele Mancuso, 33 anni, in quel brodo di coltura ci è cresciuto e, nonostante la giovane età, i suoi racconti sono densi e ricchi di particolari. Collegato da sito protetto con l’aula bunker di Lamezia Terme, risponde alle domande del procuratore antimafia Annamaria Frustaci e racconta del suo numeroso clan e delle crepe che lo hanno attraversato. Le crepe hanno portato anche, a luglio 2003, a un agguato ai danni di Francesco Mancuso, detto “Ciccio Tabacco”. Ciccio Tabacco si poneva spesso di traverso nei confronti della famiglia, racconta Emanuele Mancuso, dava fastidio a coloro che venivano protetti dai Mancuso e aveva messo in atti dei danneggiamenti. A luglio 2003 tornò a casa con dei proiettili in corpo che portavano la firma di Totò Pronestì, detto Yoyò, e di Michele Cosmo Mancuso. Al giovane Emanuele, Domenico Mancuso, detto The Red (per via del colore dei capelli) disse: «Non ti preoccupare che è roba di famiglia», ad intendere che quell’agguato non proveniva da esterni al clan e non rappresentava una minaccia per gli altri membri del clan. «Totò Pronestì non avrebbe mai sparato senza che mio zio Cosmo gli desse il permesso», afferma il collaboratore. In un primo momento, nonostante i colpi ricevuti, parte dei quali avevano ucciso l’accompagnatore Raffaele Fiamingo, Francesco Mancuso, si rifiutò di andare in ospedale «per la vergogna di fare sapere a tutti che un Mancuso era stato sparato», dice Emanuele Mancuso.

«Vedi come mi puoi aggiustare questo processo»

«A volte portavo a mio zio Luigi Mancuso i telefoni dedicati per parlare con gli istituti penitenziari», racconta Mancuso. In una occasione, mentre il fratello del collaboratore, Giuseppe Mancuso, si trovava in carcere per via del procedimento Mediterraneo, istruito davanti al Tribunale di Palmi, grazie a questi telefonini portati da Emanuele Mancuso, ha avuto modo di parlare con lo zio, il boss Luigi Mancuso. Parlarono nel bagno della casa del boss, ricorda il collaboratore. «Vedi come mi puoi aggiustare questo processo disse mio fratello – ricorda Mancuso – perché il collaboratore Arcangelo Furfaro farà prendere l’ergastolo a parecchia gente».

I quad per lo zio Luigi

I Mancuso, si evince dai racconti del collaboratore, si rendevano spesso irreperibili. In alcuni casi si rifugiavano in zone di campagna raggiungibili attraverso terreni dissestati. In questi casi, racconta Emanuele Mancuso, per spostarsi usavano dei quad, utilizzati anche per raggiungere Luigi Mancuso o anche per far spostare lo stesso boss.

Il dentista Redi e l’accordo per aggiustare le dichiarazioni di Furfaro

I quad passavano, e in taluni casi venivano custoditi, in casa del dentista Agostino Redi (anch’egli imputati in Rinascita). Lo studio dentistico, racconta Mancuso, veniva usato dal padre di Emanuele, Pantaleone Mancuso alias “L’ingegnere” per incontrare membri della famiglia quando si rendeva irreperibile. Anche l’abitazione di Redi è stata definita «una base logistica» funzionale per la cosca. Con il fratello Giuseppe in prigione e il padre irreperibile, in una occasione il dentista «mi fermò – racconta Mancuso – e mi disse di dire a mio padre che aveva raggiunto un accordo con la sorella di Arcangelo Furfaro per la cifra di 300mila euro per ritrattare le proprie deposizioni: 150mila euro per mio fratello e 150mila per Dominik Signoretta imputati nel processo Mediterraneo». In pratica Redi si era fatto portatore di una richiesta che partiva dalla sorella di Furfaro. «In quella occasione mio padre decise di non accettare la richiesta avanzata da Redi», dice Mancuso.

L’arresto dell’Ingegnere e la notizia falsa fatta trapelare contro Emanuele Mancuso

Luigi Mancuso aveva dato un appuntamento a Joppolo a Pantaleone Mancuso “L’ingegnere” per incontrarsi con tutta la sua squadra. In quel periodo entrambi si rendevano irreperibili. Ma quando “L’ingegnere” si presentò sul luogo dell’appuntamento non trovò nessuno e poco dopo arrivarono i carabinieri ad arrestarlo. «Com’è logico che sia ho pensato che qualcuno di loro abbia potuto fare una soffiata», dice Mancuso il quale aggiunge che in seguito è stata fatta trapelare una notizia falsa per scaricare la colpa dell’arresto del padre sul figlio, ovvero «che i carabinieri stavano cercando Emanuele Mancuso e casualmente invece di trovare me hanno trovato mio padre. Notizia falsa fatta trapelare dalla stampa ma anche da altri. Perché dopo che si sono portati via mio padre io ero nascosto dietro casa e poi sono entrato dentro casa e c’era mia madre e l’avvocato mi accusava: “Se tu ti fossi consegnato a quest’ora tuo padre sarebbe stato ancora irreperibile”». Il pm Annamaria Frustaci contesta il fatto che in sede di interrogatorio Emanuele Mancuso abbia addebitato la falsa notizia anche a Luigi Mancuso. «Sì, dottoressa – risponde il collaboratore – vi spiego perché: siccome l’avvocato non l’ha detto solo a mia madre, l’ha detto a me perché io ero dietro casa mia, quando se ne sono andati sono rientrato e l’avvocato Sabatino mi ha rimproverato: se tu ti presentavi tuo padre poteva ancora stare tranquillamente irreperibile. Dopo che se n’è andato, dopo circa 15/20 minuti, subito la notizia era trapelata e siccome io collego Sabatino (penalista che non risulta indagato e difende diversi imputati nel processo, ndr) più a Luigi che a mio padre perché prima stava con mio padre poi stava con Luigi, è normale, per come la vedo io, che la notizia è stata diffusa dall’avvocato Sabatino per conto di Luigi Mancuso». Lei ho ha semplicemente dedotto?, viene chiesto. «Eh ma, ripeto dottoressa, Luigi e Sabatino sono la stessa cosa».

La rissa a Tropea e la sparatoria contro casa di Peppone Accorinti

Una serata in discoteca, per i giovani rampolli della criminalità vibonese, poteva rischiare di scatenare una faida tra famiglie. Il fatto risale al 2014, ad una serata nella discoteca di Punta Cana a Tropea alla quale si presenta il nipote di Peppone Accorinti, boss di Zungri, Angelo Barbieri, in compagnia di due o tre compari. Entrano senza pagare e pretendono anche di bere gratis. L’ennesimo atto di tracotanza dà vita a una rissa. In quel momento nel locale si trovava anche Emanuele Mancuso, in un privè in compagnia di ragazzi di Rosarno. Mancuso viene chiamato mentre la rissa al bancone del bar era ancora in corso. Fa in tempo a vedere che Angelo Barbieri e i compagni avevano rotto una bottiglia e stavano massacrando di botte i baristi e qualche avventore. «Sia i Barbieri che gli Accorinti sono delle bestie», afferma Mancuso che racconta del sangue sparso e della gente finita al Pronto soccorso di Tropea. La folla, dopo quella «scena di orrore» esce fuori dal locale. Escono anche gli accompagnatori di Barbieri e la folla li aggredisce. Quando esce Angelo Barbieri si scagliano anche contro di lui ma Emanuele Mancuso gli fa da scudo e grida «lui non si tocca» perché sapeva che era nipote di Peppone Accorinti. Angelo Barbieri però spinge via Mancuso e grida «non sapete chi sono io. Ma la folla era inferocita e lo hanno inseguito. Nel frattempo Emanuele Mancuso va via col cugino Giuseppe e poco dopo, ad una colonna di carburante in direzione Nicotera/Limbadi scorgono il fratello di Angelo Barbieri, Giuseppe, con altri ragazzi che fermavano le macchine e massacravano di botte coloro che ritenevano essere di ritorno da Tropea verso Nicotera/Limbadi. I due cugini, a bordo di una 500, si fermano ma «io sapevo – dice Mancuso – che Peppone Barbieri era solito portare armi e ho deciso di rientrare». Barbieri e compagni cercano di inseguirli. Mancuso e il cugino vanno nella campagna di Giuseppe Mancuso dove Emanuele per prima cosa si fa dare delle armi. «Poi siamo andati al panificio di mia zia e mi feci prestare la Mini Cooper da Francesco Costa che lavorava al panificio. IL cugino Giuseppe non andò con lui. «Prima mi recai da Peppone Accorinti e scaricai un caricatore davanti a casa sua – dice Mancuso –, poi andai al bar di Giuseppe Barbieri e scaricai un altro caricatore contro la sua saracinesca». La cosa non poteva non avere delle conseguenze e «dopo ci furono delle riunioni sulla questione». Davanti allo zio Luigi Mancuso, Emanuele racconta che i nipoti di Accorinti erano soliti alzare le mani sui nipoti di Luigi Mancuso e svela che Giuseppe Barbieri aveva picchiato Michele Mancuso, figlio di Pantaleone Mancuso “Vetrinetta” alla fermata del bus. «Luigi disse che avevo fatto bene a reagire ai Barbieri tranne che a sparare contro casa di Accorinti che non aveva fatto niente». Peppone Accorinti rifiutò di partecipare all’incontro chiarificatore così venne convocato «lo zio pelato dei Barbieri». «Mi chiesero di scusarmi con Peppone Accorinti ma io mi rifiutai». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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