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Minacciò il pm che voleva dargli l’ergastolo, condannato a un anno e 10 mesi

Francesco Olivieri, imputato la strage di Nicotera del maggio 2018, aveva dato in escandescenze in aula

Pubblicato il: 03/04/2021 – 15:43
Minacciò il pm che voleva dargli l’ergastolo, condannato a un anno e 10 mesi

VIBO VALENTIA È stato condannato a un anno e dieci mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali Francesco Olivieri, l’uomo che, in occasione del processo in cui era imputato per gli omicidi di Giuseppina Mollese e Michele Valarioti, avvenuti a Nicotera l’11 maggio del 2018, non appena il pm aveva pronunciato il termine “ergastolo” nell’aula del tribunale Monocratico di Vibo aveva provocato momenti di forte tensione in aula. Olivieri, dopo aver udito la richiesta di condanna al carcere a vita, avanzata dal rappresentante dell’Ufficio di Procura nei suoi confronti, aveva infatti ha iniziato a dare in escandescenze, minacciando lo stesso pubblico ministero, Concettina Iannazzo, il giudice per le udienze preliminari, Giovanni Garofalo, e le forze dell’ordine presenti nell’aula. Non solo, l’imputato 34enne di Nicotera – al quale poi verrà inflitta proprio quella pena – aveva iniziato a sferrare violenti calci contro le sbarre della cella in cui si trovava recluso tentando, allo stesso tempo, di sottrarre la pistola ad uno degli agenti della polizia penitenziaria che avevano avuto la prontezza di riflessi di bloccarlo.
Adesso per Olivieri è arrivata la condanna per le minacce rivolte al pubblico ministero. Da quell’episodio, avvenuto il 30 maggio del 2019, si è instaurato un procedimento penale a Salerno e nelle settimane scorse, davanti al gup il quale, a seguito della presentazione di produzione documentale dell’avvocato Francesco Schimio, legale dell’imputato, aveva ammesso quest’ultimo all’abbreviato condizionato ad una perizia di ufficio che avrebbe dovuto valutare la capacità di intendere e di volere del 34enne di Comerconi. Perizia eseguita dallo psichiatra Luca Bartoli nella quale si dà atto che al momento del fatto l’imputato avesse una «capacità di intendere e di volere grandemente scemata pur essendo certamente pericoloso socialmente».

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