LAMEZIA TERME «C’erano avvocati che mantenevano una linea di demarcazione, facevano il loro lavoro, restavano sulla soglia del cancello. Altri era come se avessero aperto lo studio a casa mia: venivano a mangiare a casa oppure andavano in barca con mio padre, perché lo sa, dottore, in barca è difficile essere intercettati». Continua l’esame di Emanuele Mancuso nell’ambito del processo Rinascita-Scott. Collegato da un sito protetto, il figlio del referente della cosca Mancuso a Joppolo continua a raccontare tutto quello che ha visto e sentito all’interno del numeroso clan di Limbadi, fino al 2018 quando, all’età di 30 anni, ha deciso di collaborare con la giustizia. In mare – racconta, dunque, Mancuso al sostituto procuratore Antonio De Bernardo – è difficile essere intercettati. A proposito di linee di demarcazione troppo sfumate tra avvocato e cliente, il collaboratore racconta che nel 2008 si presentò a casa sua l’avvocato Francesco Stilo con un fascicolo che riguardava Emanule Mancuso più altri, con l’accusa di associazione mafiosa. «Avevo le carte in mano senza avere avuto nemmeno un avviso di garanzia», racconta Mancuso. Nel fascicolo c’erano decreti di intercettazione, e intercettazioni nei confronti dei fratelli Piccolo (famiglia contigua ai Mancuso). «Era un compendio intercettivo rilevante – dice Mancuso – si parlava di stupefacenti e imbasciate da portare alla mia famiglia passando dal panificio di mia zia Rosaria. Stilo mi disse: stai attento che qua ti arrestano». Emanuele Mancuso ricorda che l’avvocato Stilo si fermò a parlare con suo padre, Pantaleone detto “l’ingegnere”. Da quanto ricorda il collaboratore, a condurre le indagini era la Polizia di Vibo mentre la competenza del caso era della Dda. «Io credo che alla fine questa indagine sia stata insabbiata», dice Mancuso il quale afferma che al tempo in cui ebbe quelle carte tra le mani, negli anni tra il 2007 e il 2008, c’erano rapporti tra suo padre e la Polizia di Vibo. Il pm chiede se Mancuso ricorda il nome dei magistrati titolari di quel fascicolo ma il collaboratore ricorda che solo che fosse un fascicolo per associazione mafiosa e quindi di competenza della Dda.
Sempre riguardo all’avvocato Francesco Stilo, Emanuele Mancuso ricorda che in una occasione il legale si presentò da Pantaleone Mancuso, detto “l’ingegnere”, per proporre grossi investimenti che imprenditori russi e inglesi volevano operare sul litorale. In quell’occasione, però, “l’ingegnere” non aderì e dirottò l’avvocato Stilo verso Antonio Mancuso, classe ’38, e Pantaleone Mancuso “Vetrinetta” «perché sono soggetti inseriti nelle logge massoniche».
Quando aveva 17 anni Emanuele Mancuso fece una rapina in un supermercato Crai. In quell’occasione a difendere il ragazzo venne nominato l’avvocato Giancarlo Pittelli, attualmente imputato nel processo Rinascita con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. «In quell’occasione l’avvocato Pittelli non è stato nominato dalla famiglia Mancuso. Mia madre e mia zia sono state accompagnate a Lecce da Pinuccio Barba, lo stesso Barba che io indico quale soggetto assolto insieme a Cassarola nel porcesso “Nuova alba”». Di uscire di prigione non se ne parlava perché la situazione di Emnauele Mancuso era parecchio compromessa: aveva già diversi reati alle spalle, doveva rispondere di rapina a mano armata, aggravata dall’essere stata commessa da più persone riunite, colpo in canna. Inoltre il rampollo dell’”ingegnere” aveva già un’indagine per associazione a delinquere. «All’epoca per risolvere la questione si decise tramite Pinuccio Barba di nominare l’avvocato Pittelli. All’epoca io presi 3 anni e 4 mesi in abbreviato e dopo tre mesi e 20 giorni mi mandarono agli arresti domiciliari». Il presidente del collegio del Tribunale dei minori era Blasco, ricorda il collaboratore.
Perché Barba vi disse di nominare Pittelli?, chiede il pm.
«Era l’unico modo per farmi uscire», dice Mancuso il quale in seguito afferma: «Perché Pittelli era amico di Blasco, che vi devo dire, la verità… mi ha mandato ai domiciliari.. l’obbiettivo della mia famiglia era che mi doveva buttare fuori dal carcere… un mese prima Pittelli sapeva quale sarebbe stata la richiesta, quale la pena e che sarei andato ai domiciliari». Raggiunto lo scopo per l’appello venne nominato un altro avvocato: Contestabile «che io non ho mai pagato, lo ammetto e me ne dispiace». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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