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Stige, le nuove “cantate” di Colosimo sugli affari dei cirotani al nord

L’affiliato racconta al pm le trame imprenditoriali del clan “Farao-Marincola” in Emilia. Le aziende gestite dai Gigliotti. Gli omicidi Natale e Pirillo. Il matrimonio al castello Flotta

Pubblicato il: 07/04/2021 – 18:58
di Alessia Truzzolillo

CATANZARO «Premetto che le aziende di Franco Gigliotti sono gestite dalla cosca cirotana, nel senso che Franco Gigliotti è un affiliato dei “Farao-Marincola”, e gestisce le società da lui dirette anche per conto del sodalizio». Il 25 marzo scorso il collaboratore di giustizia Massimo Colosimo è comparso davanti al sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Domenico Guarascio. Colosimo ha 43 anni ed è originario di Catanzaro. L’argomento che affronta col pm riguarda la cosca “Farao-Marincola” di Cirò e le sue recenti parole sono state messe agli atti del processo d’Appello “Stige” proveniente dal giudizio con rito abbreviato.
«In quel periodo, Aldo Marincola aveva avuto diverse discussioni con i suoi sodali, e si confidò con me – racconta Colosimo –. Lui lavorava presso una delle aziende di Gigliotti, e svolgeva, effettivamente, il suo lavoro mentre, ad esempio, Vittorio Farao figlio di Giuseppe detto “U Paparo”, percepiva lo stipendio ma non lavorava, utilizzando la copertura lavorativa per girare a Parma e trafficare in sostanze stupefacenti. Allo stesso modo, Aldo Marincola mi raccontava che si recavano a Parma, con cadenza quasi settimanale, Peppe Spagnolo e Vittorio Farao figlio di Silvio, detto “U Luongo”. Questi si recavano da Franco Gigliotti e ricevevano soldi e Rolex come contributo alia cosca, e se ne tornavano a Cirò».
Il fatto che Vittorio Farao percepisse uno stipendio a sbafo non andava giù ad Aldo Marincola, racconta Colosimo: «Lui (Aldo Marincola, ndr) era il nipote di Cataldo Marincola, si comportava bene in azienda, e non sopportava che gli altri affiliati non lavorassero o si arricchissero con Franco Gigliotti, in spregio alle gerarchie interne alla cosca».

Il duplice omicidio di Bruno Natale e Cenzo Pirillo

«Bruno Natale e Cenzo Pirillo – racconta Colosimo affermando di avere appreso i fatti dagli sfoghi di Aldo Marincola – sono stati due capicosca cirotani, anche se Cataldo Marincola ha sempre mantenuto il potere ed agivano alle sue dipendenze. Aldo mi disse che Spagnolo, su ordine di Cenzo Pirillo, aveva proceduto all’eliminazione di Bruno Natale, in quel periodo, infatti, Cenzo voleva prendere il potere, ed ordinò a Spagnolo di ammazzare Bruno Natale. Bruno Natale, sempre per come mi raccontava Aldo, era in realtà molto legato a Cataldo Marincola e, quando quest’ultimo uscì dal carcere, chiese conto dell’uccisione di Bruno Natale. Appurato che Spagnolo aveva eseguito un ordine di Cenzo Pirillo, Cataldo Marincola, a sua volta, ordinò a Spagnolo, di uccidere Cenzo Pirillo. In questo senso Cataldo Marincola graziò Spagnolo richiedendo, in cambio, l’uccisione di Cenzo Pirillo».

Il matrimonio

Nel 2016 Colosimo racconta di essere stato presentato ai vertici della cosca cirotana da Giovanni Trapasso. L’occasione fu un matrimonio in un locale gestito da Nicola Flotta, a Mandatoriccio. All’evento era assente Peppe Spagnolo, vertice della cosca “Farao-Marincola”. «Aldo Marincola mi disse che Spagnolo non poteva essere presente a questo matrimonio, perché aveva ucciso il papà di questo ragazzo. Nel dirvi questo, specifico che non ricordo chi si sposò in quella occasione, ma ricordo soltanto che il ragazzo che si era sposato dimorava in Germania. Dal fatto che non ci fosse Spagnolo, posso dedurre che era un figlio o di Bruno Natale o di Cenzo Pirillo, ma non lo ricordo con esattezza».
«In quel matrimonio Aldo Marincola era in una seconda sala, seduto al tavolo con il nipote di Franco Gigliotti che si chiama Giuseppe Gigliotti, e con tale Pasquale, la cui sorella lavora in ufficio da Franco Gigliotti alla “GS”…».
«Nel dirvi questo – dice Colosimo –, vi specifico, che sono proprio tale Pasquale e Giuseppe Gigliotti a gestire alcune delle aziende satelliti della “GS di Franco Gigliotti” e, anche essi, sono legati alla cosca e gestiscono tali aziende facendosi corroborare da Vittorio Farao figlio di Silvio e da Spagnolo, dando conto della loro gestione». Per quanto riguarda il gestore del locale, Nicola Flotta, Colosimo racconta che «è uomo della cosca cirotana. Questa informazione me la diede direttamente Ciccio Castellano nel giorno del matrimonio. Castellano mi portò a visitare tutta la struttura, che è un castello pieno di statue ed arredi pregiati, portandomi anche nelle cantine di questo castello, poste nel piano inferiore. Castellano mi disse che Flotta apparteneva alla cosca di Ciro, e che tutti i membri del sodalizio cirotano, anche i loro figli, si sposavano in questo castello, pagando poco. Flotta beneficia della vicinanza della cosca, nel senso che viene, a volte, anche finanziato e protetto dai cirotani».

I Gigliotti e i rapporti con la cosca cirotana

«Per farvi comprendere – spiega Colosimo – in che modo Franco Gigliotti, Giuseppe Gigliotti e questo Pasquale, risultano inseriti nella cosca cirotana, vi specifico quanto segue: Franco è salito a Parma tanto tempo fa, ma non aveva alcuna liquidità per poter installare le imprese che poi ha realizzato. Lui era un semplice saldatore, che si installò a Parma senza alcun capitale proprio. Per poter fare quello che ha fatto ed assumere via via dipendenti, è stato finanziato dai cirotani, e così, nel campo dei lavori metalmeccanici a Parma, ha potuto sbaragliare la concon*enza di siciliani e napoletani. Io ho avuto diversi rapporti con la famiglia Gigliotti, e soprattutto con uno dei loro dirigenti, che si chiama anche lui Franco, ed è di Gela. Questo si chiama Franco Ingegnoso e comanda una squadra di diverse decine di operai. Franco sapeva dell’appartenenza di Gigliotti alla cosca cirotana, e, con lui ho avuto diversi rapporti. Le aziende di Gigliotti facevano false fatture per tirare fuori contante, con l’intercessione di un commercialista. In pratica, Ingegnoso mi spiegava che le aziende del gruppo Gigliotti emettevano “Foi” per diverse centinaia di migliaia di Euro e, parte dei proventi andavano direttamente a Ciro. Ingegnoso stesso conosceva i vertici della cosca cirotana, tra cui Vittorio Farao figlio di Silvio, Peppe Spagnolo e Ciccio Castellano.
I vertici della cosca intervenivano anche quando Franco e Giuseppe Gigliotti e Pasquale, avevano dei problemi nel parmense. Posso riferirvi, ad esempio, che Gigliotti, sempre su richiesta della cosca cirotana, ha assunto, a Parma, tale Pietro Villirillo detto “Pistune”, soggetto vicino ai Grande Aracri ed in affari con Alfonso Diletto detto “la scimmia” e Alfonso Martino detto “cagnolino”, entrambi di Cutro. Pistune doveva uscire dal carcere in affidamento in prova, ed aveva bisogno di un posto di lavoro. Mi ricordo che, sempre Aldo Marincola, mi diceva che Pistune, ad un certo punto, iniziò a non comportarsi bene in azienda: non lavorava, utilizzava l’auto aziendale per spacciare cocaina, attività a cui è sempre stato dedito. Venne rimproverato per tali condotte e, per tutta risposta, Pistune bruciò alcune attrezzature che Gigliotti aveva in un’area laterale di via Martinella dove ha sede la “GS di Franco Gigliotti”. Dopo l’incendio, Aldo Marincola mi disse che salirono a Parma Peppe Spagnolo e Vittorio Farao di Silvio, i quali malmenarono Pistune e gli dissero che, se avesse proseguito con i danneggiamenti alle aziende di Franco Gigliotti lo avrebbero ammazzato».

I cirotani a Parma

A Parma – dice Colosimo – non c’erano solo i cirotani ma anche cutresi, agli ordini della cosca Grande Aracri, e spesso tra le due fazioni sorgevano dissapori che dovevano poi essere ricuciti dai vertici che si trovavano in Calabria. «Alfonso Diletto – afferma il collaboratore – ha avuto contrasti con i cirotani, proprio in ragione della presenza di Gigliotti a Parma. Gigliotti faceva un grosso traffico di Foi, ed Alfonso Diletto riteneva giusto che, parte di queste Foi, venissero utilizzate anche con le , sue aziende. Aldo Marincola mi disse che ci furono problemi tra Gigliotti e la “Scimmia” e, per la composizione di tali liti, è dovuto intervenire Vittorio Farao figlio di Silvio».

Il prestanome e la società

Massimo Colosimo racconta di avere avuto rapporti diretti coi Gigliotti anche per la vendita di una società «sita in Alessandria, e da me acquisita, la “Rio Srl”, che prima si chiamava “Adf Srl”. Preciso che, la sede legale della “Rio Srl” è a Reggio Emilia, mentre i capannoni sono in provincia di Alessandria». In questa vicenda si inserisce un prestanome, Artemio Berini. «Questa società – dice Colosimo –, che lavora plastica nel settore alimentare e non, io l’ho acquisita per il tramite di Artemio Berini. Berini è un signore, di Parma, che conosco da tempo e che era solito fare da prestanome per intestarsi società per conto altrui. Berini si era messo, in affari, con dei truffatori di Reggio Emilia, che vennero successivamente arrestati dalla Guardia di Finanza di Reggio Emilia. Questi truffatori acquisivano società, quasi fallite, le dotavano finanziariamente, provvedevano ad implementare il loro credito d’Iva, per poi trasferirle in territorio estero. Fra queste aziende c’era la “Adf Srl”, intestata proprio a Berini. Quando i truffatori sono stati arrestati, Berini si spaventò ed io, sapendo di questa fittizia intestazione, mi attivai subito per rilevare questa azienda. Ho acquisito le quote della “Adf Srl”, l’ho trasformata in “Rio Srl”, a distanza di mesi, ed ho fatto intestare successivamente le quote, al mio collaboratore Antonio Belcore e successivamente ad altri prestanome legati a Antonio Belcore e Francesco Alabiso. L’azienda non fu sequestrata dalla Guardia di finanza di Reggio Emilia ed aveva un grosso valore sia in macchinari che in liquidità».
Quando le cose si mettono male Colosimo avverte i Trapasso.
«Notiziai di questa mia impresa i Trapasso – dice Colosimo –. Giovanni Trapasso ed i figli Leonardo e Tommaso, unitamente a Leonardo Curcio, mi chiesero di svuotare i conti di questa società, in quanto avevano già saputo che, da lì a poco, sarebbe scattata una operazione che ci avrebbe arrestati a tutti. A più riprese, per il tramite di false fatture, ho fatto in modo di svuotare i conti correnti della società, anche grazie all’intercessione di Pierpaolo Calcierò, altro esponente della cosca Trapasso. Tali operazioni sono accadute tra il 2015 ed il 2016, fino a svuotare i conti della società e farla rimanere in dotazione dei soli macchinari, per l’operazione della plastica. In quel periodo parlai di questa vicenda anche con Aldo Marincola, dipendente di Gigliotti. Sapendo dell’esistenza di questi macchinari, Marincola, insieme a Giuseppe Gigliotti e Pasquale, mi dissero che volevano acquisire questi macchinari e ne avrebbero notiziato, direttamente, Franco Gigliotti. Incontrai Franco Gigliotti nel 2016 nei suoi uffici a Parma. Questi mi spiegò che aveva necessità di acquisire i beni dell’azienda, perché nel frattempo aveva rilevato un’altra azienda, che si occupava di lavorazione di sacchetti di plastica a Cirò. Gigliotti e Marincola mi dissero che l’azienda acquisita a Ciro era gerita direttamente da Peppe Spagnolo».
Sapendo che sarebbero stati arrestati Colosimo e i Trapasso decidono di vendere la società: «In pratica avremmo ceduto a Gigliotti l’intera società. Ricordo che ho avuto diversi incontri anche con la sorella ed il cognato di franco Gigliotti, venuti appositamente dalla Calabria, a cui ho ceduto, anche, dei sacconi di materiale in plastica, che Aldo Marincola trasportò in Calabria con un mezzo».

Lo smembramento della società

«Alla “Rio Srl” si interessò anche Mico Megna e Mario Megna – racconta il collaboratore – : Siccome per tirar fuori il contante, avevo utilizzato un imprenditore di Matera, tale Moscogiuri, legato ai Megna, anche Mario Megna venne a sapere dell’esistenza di questa società e delle potenzialità economiche della stessa. Ci furono diversi incontri, anche in Calabria, tra i Trapasso ed i Megna, per la vendita di questa azienda, da effettuare ai papaniciari anziché ai cirotani. L’azienda fu poi smembrata, nel senso che alcuni macchinari vennero, alla fine, ceduti ad un imprenditore di Metaponto, anch’egli legato ai cirotani, mentre altri mezzi sono stati ricoverati, da noi, a Parma, presso l’interporto in via Praga 17. Del resto, già alcuni mezzi dell’azienda io li avevo portati a San Leonardo a Giovanni Trapasso, tra cui un trattore New Holland 115 ed una tema Gbc ed un muletto da 30 quintali diesel, che sono scaricati a Sellia marina, nei capannoni di Cirillo, imprenditore vicino ai Trapasso. Grazie anche all’intercessione di Belcore ed Alabiso, alla fine l’azienda venne ricomprata da tale Ugo, originario titolare della “Adf Srl”, prima cioè dell’intervento dei truffatori di reggiani». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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