«Secondo il rapporto Istat sulla mappa di solidità delle imprese circa il 45% delle aziende con almeno 3 addetti sono strutturalmente a rischio, mentre soltanto l’11 % risultano solide. I settori più colpiti quelli a basso contenuto tecnologico e di conoscenza».
È quello che emerge dal Rapporto sulla competitività dei settori produttivi (edizione 2021), che analizza il tema degli effetti territoriali della crisi pandemica. La crisi ha prodotto discriminazioni sul territorio, anche a causa della applicazione delle misure di contenimento della pandemia su base regionale. Risultano colpite tutte le Regioni, ma l’impatto più forte riguarda il Mezzogiorno. Nel report le imprese sono state classificate secondo i seguenti criteri di rischio: alto, medio-alto, medio-basso e basso. «In Italia– riporta l’Istat – quasi la metà delle imprese (48,5 per cento) si trova nelle due fasce più alte di rischio. La loro distribuzione sul territorio regionale determina la presenza di 11 regioni con una situazione che può essere considerata critica, di cui sette sono collocate nel Mezzogiorno, una al Nord (la Provincia autonoma di Bolzano) e tre nel Centro Italia (Lazio, Umbria e Toscana). In termini di addetti circa un terzo dell’occupazione media nazionale è classificata a rischio alto e medio-alto. In 9 regioni oltre il 40 per cento dell’occupazione risulta in imprese ad alto e a medio-alto rischio;sette di queste sono collocate nel Mezzogiorno, una nel Centro (Umbria) e una nel Nord Italia (Valle d’Aosta). Analizzando congiuntamente le informazioni su imprese e addetti, può essere definito un profilo di rischio “combinato” dei sistemi produttivi regionali: sono 6 le regioni ad alto rischio operativo combinato, di cui cinque appartengono al Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Sardegna) e una al Centro Italia (Umbria)». Le regioni la cui economia è specializzata nelle attività più colpite dalla recessione appartengono a tutte le macro-ripartizioni: Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Sardegna, Lazio e Toscana (settori del turismo), Veneto, Toscana, Umbria e Marche (tessile), Calabria e Sicilia (commercio e ristorazione). La crisi ha inciso anche sulle strategie di finanziamento delle imprese che hanno fatto ricorso in particolare al credito bancario con possibili implicazioni sui bilanci delle banche in caso di insolvenza delle imprese. Per l’Istat la vulnerabilità del tessuto produttivo locale dipende sia dal grado di diffusione, al suo interno, dei settori maggiormente colpiti dalla crisi, sia da quanto esso è specializzato in tali attività. Il report mette in luce come il valore aggiunto in Italia sia diminuito dell’11,1% nell’industria in senso stretto, dell’8,1% nei servizi, del 6,3% nelle costruzioni e del 6% nell’agricoltura. Gli effetti economici più devastanti riguardano le attività legate al turismo. Un elemento di vulnerabilità è rappresentato dalla piccola dimensione delle imprese che le rende più esposte ad un crollo della domanda interna e della liquidità. Al contrario, una maggiore capacità di reazione sembra caratterizzare i settori più orientati a specializzazioni di tipo high-tech e quelli più coinvolti nel commercio internazionale.
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