TERNI Una relazione, quella con la moglie, ormai da tempo deteriorata, anche a causa delle relazioni extraconiugali. Come quella instaurata nel giugno del 2009, pochi mesi prima della scomparsa avvenuta il 29 ottobre. Che tra Roberto Lo Giudice e la moglie, Barbara Corvi, il rapporto non funzionasse più da tempo era noto a tutti, così come erano altrettanto noti i numerosi episodi di violenze subite dalla donna in più di un’occasione proprio da parte del marito, ora accusato della sua morte e scomparsa, e per questo arrestato nei giorni scorsi.
Il primo a confermare le violenze subite – è scritto nell’ordinanza del gip del Tribunale di Terni – è proprio l’uomo con il quale Barbara Corvi si stava frequentando. La donna, racconta, gli aveva confidato che «il marito era un violento tanto da averla picchiata in più di una occasione e da averle procurato, in una circostanza, un gonfiore ad un ginocchio e lividi sul collo e da averle lui consigliato di recarsi al Pronto Soccorso». In quella circostanza, però, Barbara Corvi ha raccontato che, «avvisato il marito dell’intenzione di farsi refertare le lesioni, costui l’aveva minacciata dicendole che le avrebbe restituito il figlio Salvatore a pezzi».
A confermare gli episodi di violenza di Roberto Lo Giudice nei confronti della moglie – si legge nell’ordinanza firmata dal gip Simona Tordelli – sono i genitori e la sorella, così come un’amica della vittima che ha riferito di «avere notato spesso sul corpo di Barbara ematomi ed escoriazioni, anche se quest’ultima le aveva detto di essersele procurate accidentalmente». L’ultimo episodio di violenza sarebbe avvenuto proprio pochi giorni prima della scomparsa tanto che, racconta un’altra amica, «Barbara le aveva confidato la propria volontà di separarsi dal coniuge, ma costui le aveva detto, per farla desistere, che in tal caso si sarebbe suicidato».
Tra le circostanze ritenute quanto meno anomale da parte degli inquirenti è l’arrivo del fratello Maurizio ad Amelia tra il 30 e il 31 ottobre 2009, che aiuta Roberto Lo Giudice a scandagliare il computer di Barbara, per reperire informazioni utili al suo rintraccio. In realtà, l’esame tecnico svolto dal consulente del pm avrebbe evidenziato «come già, nelle date del 21 settembre 2009 ed il 28 settembre 2009, qualcuno avesse inserito un software per scoprire le password delle email e di Internet Explorer» e tale soggetto (Maurizio Lo Giudice) avrebbe potuto «in qualsiasi momento (anche il 26 ottobre 2009, giorno antecedente la scomparsa), con il profilo di Barbara, aver trasmesso, via Messanger, all’amante il messaggio con il quale ella avrebbe manifestato intenti suicidari, al fine di precostituire la tesi del suicidio o allontanamento volontario».
Ad aggravare ulteriormente il quadro indiziario nei confronti di Roberto Lo Giudice c’è un altro episodio significativo, ovvero il presunto coinvolgimento dei suoi amici cacciatori nella ricerca della moglie scomparsa. Affermazione risultata falsa perché le persone coinvolte «hanno riferito – si legge nell’ordinanza – di non essere mai stati invitati a partecipare alle ricerche di Barbara da parte del marito, anzi alcuni di loro hanno dichiarato di non avere neppure avuto l’occasione di parlare con Roberto Lo Giudice della vicenda».
Tutti i testimoni ascoltati dagli investigatori hanno riferito come Barbara fosse molto attaccata ai suoi figli, ragione per cui «mai avrebbe potuto lasciarli da soli senza dare più alcuna notizia di sé», si legge nell’ordinanza. Per queste ragioni hanno lasciato più di qualche perplessità le due cartoline recapitate ai figli Salvatore e Giuseppe Lo Giudice, il 5 e 6 novembre 2009. Entrambe mostravano scorci di Firenze ed erano munite di un timbro del centro smistamento del capoluogo toscano. In una era riportata la scritta “ho bisogno di stare un po’ da sola, sto bene baci mamma”, nell’altra “torno presto baci mamma” ma la grafia dell’una e dell’altra cartolina sono state disconosciute dagli stessi figli della vittima. A far dubitare gli investigatori c’è anche il fatto che Barbara Corvi sia scomparsa senza borsa, documenti, telefono, indumenti di ricambio, inducendo gli inquirenti a dubitare, sin dall’inizio, che l’allontanamento della donna fosse volontario.
Per gli inquirenti, dunque, Roberto Lo Giudice «platealmente tradito, avrebbe avuto un valido movente per vendicarsi dell’umiliazione subita. Inoltre era un tipo violento, tanto da avere più volte picchiato la moglie e da averle cagionato lesioni personali, viste da più persone». E poi lo stesso Lo Giudice «non ha partecipato in modo attivo alle ricerche, a distanza di pochi giorni dal fatto si è subito ricostruito una nuova vita sentimentale, abbandonando i figli, recandosi a Reggio Calabria prima e trasferendosi poi a La Spezia». E poi, secondo gli inquirenti «si è intascato tutti i soldi, frutto delle operazioni bancarie compiute insieme alla moglie, pur avendo falsamente accusato quest’ultima di avere distratto somme dai conti correnti, non ha un alibi nella fascia oraria tra le 16,00 e le 17,30 e ricorre un contrasto tra la sua versione dei fatti e le dichiarazioni rese dalla vicina di casa». E, infine, «avrebbe un doppio movente riguardo alla sparizione della moglie, sia di tipo economico, sia soprattutto legato al tradimento plateale della moglie, tipico della mentalità ‘ndranghetistica, secondo la quale la violazione del dovere di fedeltà coniugale della donna deve essere lavato con il sangue». (redazione@corrierecal.it)
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