VIBO VALENTIA Una holding di imprese legate alle consorterie criminali, tutte riconducili al boss Luigi Mancuso, e in grado di operare negli appalti di interesse dell’organizzazione criminale. È quanto sono riusciti a ricostruire gli inquirenti nel troncone della Dda di Catanzaro “Rinascita 2” della maxi inchiesta “Petrolmafie Srl”, e che ha visto il coinvolgimento anche delle Procure di Roma, Napoli e Reggio Calabria.
L’inchiesta ha fatto emergere le infiltrazioni della ‘ndrangheta negli appalti pubblici, in cui le ditte che si pongono come punto di riferimento delle locali consorterie, tendono ad assumere un ruolo monopolistico del settore, grazie alla capacità di assoggettamento che viene riconosciuta agli imprenditori legati ai boss.
Tra loro ci sono i cugini Giuseppe Fortuna, classe ’77 e ’63, esponenti della ‘ndrangheta attiva a Sant’Onofrio e imprenditori di riferimento della criminalità, operanti nel settore edile, e già arrestati nella maxi operazione Rinascita-Scott; c’è poi Giuseppe Barbieri, anche lui esponente della locale di Sant’Onofrio e già coinvolto in Rinascita e Imponimento; Giuseppe Ruccella, imprenditore di riferimento della consorteria di Sant’Onofrio nel settore della produzione del calcestruzzo, già fermato nell’operazione Imponimento per concorso in estorsione aggravata e per aver imposto la propria azienda nell’esecuzione dei lavori di costruzione di un villaggio-residence in località Galia del comune di Pizzo; Pasquale Gallone, coinvolto in Rinascita e particolarmente vicino al boss Luigi Mancuso e infine Giuseppe D’Amico, imprenditore di riferimento della ‘ndrangheta vibonese e tra i fermati nel blitz “Rinascita 2”. Di particolare importanza sono, per gli inquirenti, i lavori (mai partiti) per l’abbattimento e la ricostruzione di una scuola a Daffinà, a Zambrone, e il cimitero di Pizzo. In entrambi i casi, però, tutto doveva passare dal “placet” del boss Luigi Mancuso.
Tra i primi rilievi effettuati dagli inquirenti c’è, appunto, l’appalto per la demolizione e la ricostruzione delle scuola primaria della frazione Daffinà di Zambrone, nel Vibonese. Appalto vinto, al ribasso, da un’azienda con sede e Rende, guidata da Danilo Luca Borrelli (non coinvolto nell’inchiesta) che, un mese dopo, il 18 aprile 2019, contatta Giuseppe D’Amico, chiedendogli se fosse interessato «alla parte relativa alla demolizione poiché nonostante già disponesse di un prezzo di demolizione bassissimo, stava cercando qualcuno che potesse, oltre a demolire, anche prendersi il materiale di risulta per smaltirlo». L’amministratore, inoltre, dice di aver avuto il numero di D’Amico da Armando Mazzei, della “Mazzei Spa”, figlio peraltro di Salvatore Mazzei, entrambi non coinvolti in questa inchiesta. Si tratta però dell’imprenditore lametino, classe ’56, pregiudicato, sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno, e ritenuto il «riferimento delle cosche mafiose dominanti nei territori calabresi interessati dall’esecuzione di costose opere pubbliche tra cui i tronconi dei lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno Reggio Calabria con specificazione della cosca Iannazzo del lametino e Mancuso del vibonese». Particolarmente intensi i rapporti tra Giuseppe D’Amico e Armando Mazzei, noto come “Bill Gates”, con il quale – è scritto nelle carte – sono state censite «numerose conversazioni telefoniche, tra cui una richiesta per rifornirsi di bitume e gasolio e con Giuseppe D’Amico che si premurava di «portare i suoi saluti al “Ministro” (Salvatore Mazzei) poiché ormai non gli rispondeva neanche al telefono».
È il 16 maggio 2019 quando gli inquirenti intercettano una importante conversazione tra Borrelli e D’Amico, con quest’ultimo ormai pronto a formulare per iscritto il preventivo per la demolizione e lo smaltimento, poco più di 4mila euro, smaltimento escluso. Un prezzo ritenuto “eccessivo” ma con lo stesso Borrelli che si diceva pronto anche ad affidargli la ricostruzione dell’opera per ottimizzare ogni spesa lasciando gestire a lui «ogni aspetto dell’intera opera da effettuare fino al suo completamento», nonostante la gara d’appalto non prevedesse affatto il subappalto a terzi. «Intanto vi ripeto io la struttura la voglio far fare comunque a voi, sappiatelo» dice Borrelli a D’Amico, che risponde: «vediamo … partiamo prima con la demolizione … vediamo se riusciamo a fare il fidanzamento». Dopo il primo sopralluogo effettuato da D’Amico il giorno successivo, iniziano una serie di conversazioni, fino all’incontro tra i cugini Giuseppe Fortuna e lo stesso D’Amico che da subito, mentre erano insieme in auto diretti a Pizzo, spiega la possibilità di lavorare insieme qualora i presenti fossero disposti ad accontentarsi di stare ai prezzi, «poiché il lavoro era stato preso al ribasso e si doveva cercare pertanto di economizzare». Riferisce inoltre ai presenti che, se avessero accettato il lavoro, il cemento per l’opera lo avrebbe fornito Giuseppe Ruccella che a sua volta «avrebbe dovuto accontentarsi di lavorare, riducendo il guadagno piuttosto che rifiutare e rischiare di rimanere fermo». Nell’incontro avvenuto presso la sede della DR Service, società finita sotto sequestro nel blitz, i quattro concordano che la cifra di spesa da affrontare al di sotto della quale non sarebbero potuti scendere in nessun caso, fosse di 15 mila per Giuseppe D’Amico, e 135 per gli altri tre convenuti, ciascuno in relazione alla propria opera. «per me gli possiamo fare l’offerta come dite voi … per me possiamo prendere un quaderno, per scrivere tutte le spese che sosteniamo al giorno… quando arriviamo alla fine, paghiamo tutto quello che resta li mettiamo a monte e ce li dividiamo».
Una volta terminato l’incontro e raggiunto l’accordo, Giuseppe D’Amico quello stesso giorno, raggiunge a Nicotera Pasquale Gallone, braccio destro del boss Luigi Mancuso. Lo informa in merito all’appalto di Daffinà, dove lui si sarebbe occupato della demolizione mentre per le solette in cemento ha interessato «il fratello di Francesco (Francesco Salvatore Fortuna ndr), ricevendo l’assenso di Gallone: «Ehh … almeno lavorano anche loro (…) che devo fare? Io non so come li devo gestire (…) no meglio che lavorano pure loro e mangiano!».
Tra le opere edilizie di pubblico interesse monitorate durante l’attività d’indagine c’è anche il progetto di ammodernamento e ampliamento del cimitero di Pizzo, approvato con deliberazione del 30 gennaio 2019 del Comune, all’epoca guidato dal sindaco Gianluca Callipo. L’opera sarebbe stata finanziata dall’ATI la quale avrebbe provveduto nel breve termine ad iniziare i lavori subito dopo la pubblicizzazione delle vendite dei futuri loculi in costruzione. Le opere prevedevano inoltre non solo l’espansione del cimitero – che sarebbe avvenuta nella parte sud verso il mare – ma anche l’ammodernamento e la riqualificazione della parte preesistente. Lavori per circa 2,5 milioni di euro mentre il referente per l’ATI risultava Roberto Paraguai, non coinvolto nell’inchiesta. L’appalto entra subito nell’orbita degli interessi degli imprenditori Antonio e Giuseppe D’Amico, Giuseppe Ruccella e Giuseppe Barbieri dicendosi pronti a «trovare questo Paraguai». «No ma forse c’è stata una storia con questo…» ricorda Ruccella. «Ma lui è originario di Pizzo questo cristiano?», risponde D’Amico «Sì, ingegnere dovrebbe essere».
Una volta chiarito l’interesse di tutti nella questione, non restava altro che capire come entrare in contatto con Paraguai. A quel punto è Giuseppe Barbieri a ricordare che già una volta si era entrati in contatto con l’ingegnere «ci fu un intervento all’epoca su questo qua … non mi ricordo che … sopra che … su un discorso sopra Pizzo». «Con Basile su un lavoro che preferiva un altro per il cemento poi … si è aggiustato … gli piacque il nostro». Ruccella spiega – si legge nella carte dell’inchiesta – che «si era trattata di una pressione operata su Paraguai per lasciare subentrare – come sempre – l’azienda di Ruccella nella fornitura di cemento al posto di un’altra», per un’opera effettuata a Pizzo ma non meglio specificata. «Basile non può restare fuori … qualche cosa devi dargliela». A questo punto sia Barbieri che Ruccella si rendono conto che tramite questo Basile avrebbero c’entrato l’obiettivo anche questa volta «Se va lui la chiude, la chiude la chiude (…) perché questi di Roma … questo vogliono…che abbiano a che fare con uno solo». Dalle indagini effettuate dai Ros, è emerso che il “Basile” a cui si faceva riferimento era Basilio Barbieri.
Anche per questo affare, gli imprenditori avevano bisogno, così come è emerso nel corso dell’indagine, del nulla osta del boss Mancuso. Per questo motivo, il 14 febbraio gli inquirenti documentano la visita di Giuseppe Barbieri nella sede della DR Service, per incontrare Giuseppe D’Amico. Il primo argomento affrontato dai due era la discussione avuta con il braccio destro dello “zio” Luigi, Pasquale Gallone proprio in merito ai lavori da effettuare nel cimitero di Pizzo, lasciando intendere che lo stesso Mancuso fosse già a conoscenza di tutto. «lo Zio non c’è adesso parte … ha detto: “Per il fatto della Chiesa io già so … del cimitero io già so” – racconta D’Amico. «Gli ho detto io… io subito mi sono buttato avanti: “Cimitero” gli ho detto “me la sto vedendo io” (…) “Eh… ha detto… che ca**o aspetti?”».
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