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«L’azione di Gratteri va sostenuta con fermezza»

di Giancarlo Costabile*

Pubblicato il: 11/04/2021 – 14:02
di Giancarlo Costabile*
«L’azione di Gratteri va sostenuta con fermezza»

Gaetano Costa, procuratore capo di Palermo ucciso da Cosa nostra nel 1980, amava ripetere spesso ai familiari e collaboratori che il suo dovere principale era quello di avere coraggio. E Nicola Gratteri del ‘dovere di avere coraggio’ ne ha fatto una ragione di vita. Da sempre, visto che vive sotto scorta da oltre trent’anni. Il magistrato reggino è da tempo oggetto di una squallida campagna denigratoria che ricorda purtroppo quella di cui fu feroce bersaglio Giovanni Falcone e che, con il senno di poi, ne decretò la morte atroce a Capaci. «Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno». Questa è, a mio avviso, la frase più significativa della denuncia che Falcone fece in quegli anni per portare all’attenzione dell’opinione pubblica il clima di pesante (e oscura) delegittimazione che viveva in solitudine, fatta eccezione per la prossimità umana che scaturiva dall’amicizia con Paolo Borsellino e pochi altri onesti colleghi. Non è né enfatico né retorico utilizzare questo registro argomentativo per contribuire a destrutturare pubblicamente l’azione di delegittimazione a cui è sottoposto il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, mentre è impegnato a condurre, giova ricordarlo a molti manichei, il maxiprocesso contro la ’ndrangheta Rinascita Scott, secondo per importanza strategica soltanto a quello palermitano condotto da Falcone e Borsellino contro Cosa nostra. Processo che si sta svolgendo nell’assordante silenzio non soltanto della società calabrese (e fin qui nulla di nuovo, purtroppo, sotto il cielo) ma soprattutto della grande stampa nazionale, interessata invero più al Gratteri prefatore di una sfortunata (e inopportuna come ammesso da lui stesso) introduzione a un libro negazionista sulla pandemia da Covid-19 che non al Gratteri magistrato impegnato nella trincea della lotta alla mafia più forte, ricca e organizzata a livello globale. Addirittura, per studiare la grammatica del Gratteri prefatore si è formato un comitato scientifico nazionale piuttosto singolare nella sua eterogeneità. Una sorta di (neo) Comitato di Liberazione Nazionale che, trasversalmente da berlusconiani a postcomunisti, individua nel breve e inopportuno (lo ripetiamo nuovamente) scritto introduttivo di Gratteri a questo libro nientemeno che una summa di argomentazioni legittimiste di trame antisemite e complottiste, e di derive psichiatriche alimentate da un narcisismo patologico così pronunciato da essere incompatibile con l’esercizio della funzione giudiziaria. Tesi francamente irricevibili, con buona pace degli illustri “scienziati della parola” che hanno acceso roboanti quanto vacui fuochi d’artificio. Gratteri è innegabilmente scivolato sulla classica buccia di banana (avrebbe dovuto proteggersi meglio e non lo ha fatto), ma la violenza e l’ipocrisia che si stanno impastando su di lui in siffatti giorni sono allarmanti. A prescindere da quest’ultima vicenda, che vale la pena liquidare sottolineando la palese strumentalità (e fragilità) delle dissertazioni utilizzate per colpire Gratteri, cerchiamo di capire piuttosto la narrazione di potere che nutre i ‘discorsi di odio’ rivolti al procuratore di Catanzaro ormai da un lungo periodo. Il vero bersaglio è il maxiprocesso Rinascita Scott che non si limita soltanto a indagare la sfera militare delle mafie (aspetto che serve al sistema Paese per mantenere inalterati i suoi perversi equilibri di potere nei palazzi romani) ma punta decisamente al cuore della (nuova) questione criminale: la statualità massomafiosa di cui la Calabria è il laboratorio criminale dagli anni Settanta del Novecento con la nascita della Santa, ulteriore dote nella gerarchia ‘ndranghetista dopo quelle di picciotto, camorrista e sgarrista, che segna lo spartiacque politico cruciale dell’evoluzione del legame organico tra mafia, in questo caso la ’ndrangheta, e la massoneria cosiddetta deviata. Isaia Sales, in un testo fondamentale per la letteratura storico-sociale che si occupa di mafie, Storia dell’Italia mafiosa, edito per Rubbettino nel 2015, definisce esplicitamente le organizzazioni criminali italiane quali linguaggi di potere storicamente propri delle classi dirigenti. La forza delle mafie è nelle relazioni con il potere pubblico: in questo risiede la longevità bisecolare delle mafie italiane e la loro specificità rispetto alle tradizionali forme di crimine organizzato. La storia delle mafie è pertanto storia sociale delle classi dirigenti: dei loro valori, delle loro prassi comportamentali, della loro modalità di gestione della cosa pubblica. Rispetto al mero fenomeno delinquenziale, le mafie, pur mantenendo la matrice di potere criminale extralegale, si definiscono all’interno delle procedure relazionali delle élite governative (sia locali sia nazionali) come una modalità e un carattere strutturale del potere in Italia. In un altro testo, Storia dell’Italia corrotta, edito sempre per Rubbettino nel 2019, Sales parla apertamente di Paese, il nostro, caratterizzato da una statualità multipla. Cosa vuole dire? Che accanto alle leggi e alla regolazione dello Stato si sono affermate altre statualità di tipo politico, burocratico, religioso, imprenditoriale e criminale che non hanno precedenti e analogie in altre nazioni dell’Occidente. La corruzione, anch’essa linguaggio di potere delle classi dirigenti, condivide con le mafie, scrive Sales citando Santi Romano, «la caratteristica di farsi ordinamento giuridico parallelo a quello dello Stato, con proprie leggi, proprie sanzioni, autonome tassazioni, affermandosi così quale clandestino ed extralegale strumento di azione e di governo stabile e seriale nella nostra storia nazionale». L’espressione massomafia definisce quindi l’esplicita costituzione di una nuova e pericolosa statualità, l’ennesima, in grado di esercitare potere in modo reticolare e condizionare pervasivamente la vita dei nostri territori a tutti i livelli: da quello politico-amministrativo a quello produttivo. Le massomafie rappresentano pertanto l’evoluzione definitiva del sistema criminale nel governo della cosa pubblica e nel processo di selezione delle élite. L’inchiesta Rinascita Scott scava nel sottosuolo delle mafie, non più derubricabili a mera questione criminale: l’aver toccato il cuore del meccanismo con cui il potere nazionale si riproduce fin dalla sua genesi storica espone Gratteri a rischi oggettivi, a partire dalla sua incolumità. La massomafia calabrese è la frontiera avanzata a livello globale della nuova borghesia armata del capitalismo. Comprendere e sfidare con estremo coraggio tutto ciò, ha fatto di Nicola Gratteri il vero grande problema di questo Paese, ipocrita e corrotto fino al midollo. Restare silenti dinanzi agli attacchi al magistrato reggino significa essere complici della borghesia massomafiosa: Gratteri sta infatti disarticolando la trama padronale che ha retto storicamente i processi sociali della nostra terra. La sua colpa più grande? La messa in discussione del diritto all’impunità dei padroni. Non è un caso che in queste settimane, il disegno di delegittimazione verso la procura di Catanzaro proceda di pari passo con la destrutturazione della legislazione antimafia (l’abolizione dell’ergastolo ostativo preludio del superamento del carcere duro per i boss delle mafie). La finanziarizzazione dei capitali mafiosi, già analizzata con estremo rigore ermeneutico negli Ottanta da Pino Arlacchi, richiede un approccio di normalizzazione, e progressiva inclusione, del sistema mafioso dentro l’orizzonte istituzionale dei processi economico-sociali. Lo Stato-mafia rischia concretamente di diventare nel nuovo millennio il volto globale e sociale delle democrazie. Anche per queste ragioni, l’azione giudiziaria di Nicola Gratteri va sostenuta con assoluta fermezza.

*ricercatore universitario

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