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mafia e petrolio

“Rinascita 2”, il gasolio contrabbandato dalla ‘ndrangheta «è una porcheria»

Miscele scadenti composte da oli lubrificanti. Lo ammettono gli stessi indagati: «Su trentaquattromila litri hanno messo duemila litri di benzina»

Pubblicato il: 11/04/2021 – 16:36
di Alessia Truzzolillo
“Rinascita 2”, il gasolio contrabbandato dalla ‘ndrangheta «è una porcheria»

CATANZARO L’inchiesta “Petrolmafie spa”, condotta dalle Procure di Catanzaro, Reggio Calabria, Napoli e Roma, ha messo in luce come le mafie si siano inserite nel settore delle frodi degli oli minerali. Un settore che si alimenta grazie a frodi fiscali che consentono di sottrarre alla tassazione importi milionari.
Si vende il carburante a prezzi stracciati e concorrenziali perché lo si acquista, per vie traverse, da organizzazioni criminali – nel caso di questa indagine provenienti dall’Est Europa. Questo sistema permetteva di evadere l’Iva e le accise sui prodotti petroliferi. Ma non solo. Da quando ai colletti bianchi si sono unite le mafie, il business si è ingrossato grazie agli ingenti capitali e agli agganci di cui le organizzazioni criminali dispongono. L’indagine della Dda di Catanzaro, denominata “Rinascita 2”, ha contato innumerevoli reati fiscali ed economici – contrabbando di prodotti petroliferi, l’emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, l’interposizione di società “cartiere”, la contraffazione e utilizzazione di Documenti di accompagnamento semplificati (Das), il riciclaggio, il reimpiego in attività economiche di proventi illeciti, l’auto-riciclaggio, il trasferimento fraudolento di valori e altri – commessi da imprenditori vibonesi, attivi nel settore del commercio di carburanti, ritenuti espressione della cosca Macuso di Limbadi, nonché collegati alle articolazioni ‘ndranghetistiche sia della Provincia di Vibo Valentia (Bonavota di S. Onofrio, gruppo di San Gregorio, Anello di Filadelfia e Piscopisani) che del “reggino” (cosca Piromalli, cosca Italiano di Delianuova, cosca Pelle di S. Luca).

Gasolio contraffatto

Ma com’è possibile importare carburante e poi venderlo a prezzi stracciati? In parte la risposta sta nel fatto che questi prodotti petroliferi, comprati dall’est Europa, oltre a essere merce di contrabbando, erano artefatti, miscele scadenti composte da oli lubrificanti successivamente immessi in commercio come gasolio per autotrazione, con conseguenti cospicui guadagni dovuti al differente livello di imposizione. Trasportati con con documentazione di accompagnamento falsa arrivavano ai siti di stoccaggio di Maierato, di proprietà dei fratelli Antonio e Giuseppe D’Amico pronti per essere immessi sul mercato (sia fatturato che completamente in nero) come “gasolio per autotrazione”, categoria merceologica di maggiore valore, soggetta ad un’accisa superiore, con notevole margine di guadagno.

«Sto prodotto è una porcheria»

È lo stesso Antonio d’Amico che, intercettato, ammette: «La verità … sto cazzo di prodotto lui lo vende, ma non so dove cazzo lo vende … ma è, parlando con il dovuto rispetto vedete che è una porcheria…».
Romeo Orazio – imprenditore che aveva messo a disposizione dell’organizzazione calabrese le società del proprio gruppo, acquistando il carburante contrabbandato dai fratelli D’Amico a prezzi scontati per venderlo nei distributori si sua proprietà – lo dice chiaramente: «Non è gasolio … perciò quel prodotto non è gasolio perciò costa meno già alla fonte». E insiste rivolgendosi a Giuseppe D’Amico: «Io… io i cinquanta euro, i cento euro te li do perché viaggiavo tranquillo… allora viaggiavo tranquillo ma il prodotto non era buono». Giuseppe D’Amico cerca di ridimensionare la portata del problema: «L’ultimo», dice riferendosi all’ultimo carico. Ma Francesco Ruggeri – socio della Servizi integrati srl e uomo che si occupava delle vendite e degli acquisti di carburante per conto di Romeo – ribatte: «No, no Pino, no l’ultimo… gli ultimi tre o quattro carichi sicuro Pino».
Secondo quanto merso dalle indagini, i fratelli Antonio e Giuseppe D’Amico «individuavano i canali di approvvigionamento, mettevano a disposizione del sodalizio il proprio deposito commerciale, ove fare temporaneamente transitare il prodotto proveniente dal nord Italia ed indirizzato alla Sicilia, stabilivano il grado e la percentuale delle miscelazioni degli oli lubrificanti con il carburante genuino, provvedendovi, in taluni casi, direttamente essi stessi»
Nel corso di un’altra intercettazione tra Antonio D’Amico e il sodale Salvatore Giorgio, quest’ultimo ammette che di benzina nell’olio ne mettevano poca: «Ah… ne hanno messo poco benzina su trentaquattromila  litri hanno messo duemila litri di benzina».
Gli stessi militari del Ros che hanno condotto le indagini annotano, dopo avere effettuato alcuni controlli su strada, che «il prodotto trasportato non era gasolio da autotrazione, quanto, piuttosto, olio lubrificante (ovvero una miscela dei due liquidi) che, una volta mescolato con gasolio da autotrazione, riusciva a raggiungere proprietà analoghe a quest’ultimo».
«D’altro canto –scrivono gli inquirenti –, stiamo trattando di quello che era il vero e proprio core business della consorteria, ossia del traffico di prodotti petroliferi illecitamente miscelati/adulterati. In parole povere: una porcheria, sotto tutti i punti di vista. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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