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Sanità, ecco come restituire ai calabresi il diritto alla salute

La Salute: un diritto-dovere La “tutela della salute” è un dovere primario dello Stato verso la generalità dei cittadini, che ha portato, in aderenza al dettato Costituzionale, all’introduzione…

Pubblicato il: 11/04/2021 – 15:50
di di Domenico Marino* e Maurizio Priolo**
Sanità, ecco come restituire ai calabresi il diritto alla salute

La Salute: un diritto-dovere

La “tutela della salute” è un dovere primario dello Stato verso la generalità dei cittadini, che ha portato, in aderenza al dettato Costituzionale, all’introduzione in Italia di un modello di servizio sanitario organizzato su basi universali. La Repubblica, recita l’articolo 32, “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo, e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Lo Stato svolge un ruolo fondamentale e decisivo, non soltanto nel definire il modello di organizzazione del servizio, ma nell’esercitare il ruolo di regolatore, attribuitogli dall’articolo 117 della Costituzione, legiferando in concorrenza con le Regioni e le Province autonome.
Da queste due norme costituzionali è nato un complesso ordinamento della materia sanitaria in cui i due attori pubblici producono norme di rango legislativo, tendenti a definire le regole del gioco.
Allo stato, la legislazione statale e regionale prodotta ha manifestato carenze e decisioni non del tutto rispondenti al dettato legislativo costituzionale, tant’è che, come narra la storia della giurisprudenza costituzionale in materia, ha dovuto registrare una serie di interventi correttivi da parte della Suprema Corte.
L’esempio più eclatante è visibile solo che si esamini e consideri il forte divario dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) come legiferati nell’ordinamento italiano. Per sincerarsene, basta consultare la situazione dei Lea per scoprire (vedi tab. 1 – Divari Lea fra le Regioni italiane – Fonte: Ministero della salute), per mettere a nudo la situazione in atto.

L’evidente risultato è la chiara testimonianza che la Sanità italiana non rispetta tuttora il disposto costituzionale, malgrado i ripetuti interventi correttivi nel tempo della Corte Costituzionale (vedi più avanti l’analisi del contenzioso Costituzionale).
La differenza nei livelli dei Lea fra le regioni testimonia che la Sanità italiana è una sanità diseguale, in cui accanto a sistemi sanitari regionali prossimi all’eccellenza ne convivono altri che faticano a competere persino con i sistemi sanitari dei paesi in via di sviluppo. 
I dati della tabella dimostrano la cruda e amara realtà. Basta citarne uno per tutti: l’indicatore Lea del Veneto è del 37% superiore a quello della Calabria e la Calabria nel contempo mostra costantemente, insieme alla Campania, fra le regioni sottoposte alla Verifica, la peggiore performance nel rispetto dei Lea.

Il contenzioso Costituzionale

In materia di “tutela della salute”, Stato e Regioni hanno prodotto un significativo contenzioso costituzionale. Dal 2002 al 2020 i ricorsi sono stati 278, con un andamento piuttosto lineare nel tempo (15 ricorsi in media l’anno Graf. 1).

Il dato complessivo dei ricorsi Stato-Regioni segnala un andamento sostenuto del contenzioso nel quadriennio 2002/2006 con una brusca riduzione nella successiva annualità 2007; nel triennio 2008/2010 si raggiunge il picco della litigiosità, per poi proseguire con un andamento a salti, con la punta di minimo nel 2014.

Guardando lo stesso dato esploso per singole Regioni (Graf.2), si evidenzia come nel primo quadriennio Regioni come la Toscana e l’Emilia Romagna abbiano innalzato significativamente il conflitto di attribuzioni con lo Stato nell’intento di aprire spazi normativi alle autonomie regionali e/o di salvaguardare quelli esistenti. [1]

Via via che si consolida l’orientamento della Corte costituzionale, entrambe le Regioni riducono fino ad azzerare il numero dei ricorsi. (Graf.3)

Da questi dati possiamo trarre un giudizio di valore e cioè che la litigiosità si è sviluppata secondo un canone fisiologico ed ha portato al confronto di due ordinamenti, quello regionale e quello statale, sfociato in termini costruttivi nell’ultimo decennio dove si assiste ad una assenza di conflitto.
Di questo contenzioso poniamo ad osservazione 3 ambiti materiali riconducibili a leggi in materia di strutture sanitarie, personale sanitario e livelli essenziali di prestazioni.
In materia di strutture sanitarie la Corte afferma che i requisiti minimi necessari per autorizzare e accreditare le strutture sono norme di principio e, quindi, di competenza statale proprio per garantire uniformità di condizioni e adeguata concorrenzialità tra pubblico e privato (sentenza n. 387/2007). Sullo stesso solco vengono poi decise ulteriori questioni sui temi dell’autorizzazione e dell’accreditamento delle strutture (sentenze n. 292/2012 e n. 238/2018); sul regime derogatorio nella fase di transizione dall’accreditamento provvisorio a quello definitivo (sentenza n. 161/2016); sulle particolarità presenti negli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico in fondazioni di diritto pubblico (IRCCS) (sentenza n. 208/2015).

In tutte queste fattispecie la Corte ha ribadito la necessità per la legislazione regionale di muoversi secondo i principi fondamentali dettati dall’ordinamento statale.
In materia di personale sanitario l’orientamento della Corte è costruito sulla regola del concorso pubblico, non violabile dalle norme regionali sia nell’accesso alla dirigenza medica (sentenza n. 81/2006) sia nell’introduzione di norme di spoil system (sentenza n. 27/2014).
Con riferimento ai Livelli essenziali di assistenza (Lea) trova piena affermazione il principio costituzionalmente della di leale collaborazione. Giova, a questo fine, procedere ad una lettura capovolta della giurisprudenza della Corte, partendo da una recentissima pronuncia, la n. 62 del 2020, relativa alla legge reg. Siciliana n. 8 del 2018. Nell’esaminare la legge della reg. Siciliana, la Corte Costituzionale ha avuto modo di tornare a pronunciarsi sul sistema di garanzia dei LEA: in questo senso che deve essere ribadito il principio secondo cui, «una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo [il diritto alla prestazione sociale di natura fondamentale, esso] non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali» (sentenza n. 275 del 2016).


[1] nostre elaborazioni su dati estratti dalla banca dati sul “Contenzioso Costituzionale – Titolo V curata dalla Regione Emilia Romagna.

Resettare il debito e ritornare alla sanità nazionale

Il quadro che ne discende conferma come il punto di maggior criticità sia rappresentato dai Livelli essenziali di assistenza in corrispondenza dei quali la Corte Costituzionale ha espresso una riserva netta sulla applicazione di politiche di spending review strutturali che ne impediscano la reale fruizione.
Una volta definiti, i Livelli essenziali di assistenza, vale a dire le prestazioni ed i servizi che lo Stato è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in modo uniforme.
In ciascuno dei tre ambiti: quello della prevenzione collettiva, quelli dell’assistenza distrettuale e dell’assistenza ospedaliera, i livelli di assistenza devono trovare, innanzitutto, adeguate risorse finanziarie, ripartite tra le Regioni secondo criteri territoriali equi.  Ma devono anche poggiare su modelli di organizzazione territoriali efficienti capaci di utilizzare le risorse.
Da qui la necessità di indagare a fondo il meccanismo di distribuzione delle risorse del fondo sanitario nazionale, ma anche di individuare parametri di efficiente organizzazione del servizio su base territoriale
Il contenzioso costituzionale in questo ambito materiale segnala le criticità legate alla fissazione di requisiti minimi validi per tutto il territorio nazionale, dove la norma regionale diventa strumentale al tentativo di alleggerire i costi di struttura prodotti dall’ordinamento.
Tentativo che è naufragato anche per effetto della posizione rigorosa assunta dalla Corte Costituzionale che ha progressivamente chiuso gli spazi di autonomia regionale.
È immediatamente evidente che è difficile impostare una politica sanitaria nazionale se 20 regioni possono decidere in maniera difforme. Una sanità regionalizzata non fa che amplificare le disparità, alimentando una competizione sulle risorse il cui effetto è la mobilità sanitaria. La ricetta è quindi quella di resettare il debito sanitario e di tornare ad una sanità nazionale.

*docente di “Politica economica” all’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria e direttore del Centro Studi delle Politiche Economiche e Territoriali del Dip. Pau dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria
** dirigente nella Pubblica Amministrazione

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