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Rinascita 2

“Rinascita 2” restano in carcere gli imprenditori D’Amico e l’uomo dei Bonavota

Il gip di Vibo non convalida i fermi, «nessun pericolo di fuga», ma applica la misura cautelare: «Grave e allarmante quadro indiziario»

Pubblicato il: 12/04/2021 – 19:48
di Alessia Truzzolillo
“Rinascita 2” restano in carcere gli imprenditori D’Amico e l’uomo dei Bonavota

VIBO VALENTIA Il gip di Vibo Valentia Marina Russo ha applicato la misura cautelare della detenzione in carcere nei confronti di Antonio D’Amico, 57 anni; Giuseppe D’Amico, 47 anni; Giuseppe Ruccella, 40 anni, implicati nell’inchiesta Petrolmafie spa che ha portato al fermo degli indagati lo scorso 8 aprile. Gli indagati, insieme ad altre persone che saranno giudicate dai gip competenti territorialmente, sono accusati di associazione mafiosa. In particolare i fratelli D’Amico vengono considerati imprenditori di riferimento dell’organizzazione criminale capeggiata dalla famiglia Mancuso di Limbadi. Secondi l’accusa Giuseppe D’Amico sarebbe formalmente affiliato con la dote della Santa. Ruccella è ritenuto appartenete alla cosca Bonavota di Sant’Onofrio.
Il gip non ha convalidato il fermo dei tre ritenendo insussistenti gli elementi concreti idonei a lasciar ipotizzare un pericolo di fuga.
Allo stesso tempo il giudice ha ritenuto di applicare la misura cautelare in ragione della gravità indiziaria dei reati contestati agli indagati, in particolar modo l’associazione mafiosa, due ipotesi di associazione per delinquere semplice (aggravata dalla mafiosità) dedita «alla evasione dell’Iva e delle accise dovute sugli scambi di prodotti petroliferi destinati al consumo, così da determinare una rilevante contrazione del prezzo imponibile del prodotto, commercializzando, come carburante da autotrazione, prodotti petroliferi di scarsa qualità ovvero oli minerali miscelati con carburante, provenienti dal nord Italia e dall’estero ed immessi sul mercato attraverso una filiera completamente illegale, senza passare per i depositi fiscali per la conseguente regolare immissione in consumo e, quindi, per la liquidazione e successivo pagamento dell’imposta».

L’estorsione per i lavori nella parrocchia di Pizzo

Per Giuseppe D’Amico e Giuseppe Ruccella viene applicata la misura cautelare anche in relazione al capo di imputazione di estorsione aggravata dalle modalità mafiose perché – in concorso con altri indagati appartenenti alle cosche Mancuso, Fiarè, Bonavota e Anello – sono accusati di avere posto in essere atti estorsivi e di illecita concorrenza sleale volti al controllo o comunque al condizionamento dell’assegnazione e dell’esecuzione dei lavori di costruzione del nuovo complesso parrocchiale di Pizzo.  «Ah Stefano fai una cosa… senti a me… tu devi lavorare tranquillo? … prima di cominciare vai e ti fai una rinfrescata per non sbagliare le ditte e sei a posto», è una delle frasi rivolte al direttore di cantiere costretto a «a rivolgersi agli esponenti apicali della cosca Mancuso al fine di ricevere direttive per “lavorare in tranquillità” e ad avvalersi, per i lavori di realizzazione del Complesso Parrocchiale di Pizzo “Risurrezione di Gesù” (commissionato dalla Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, per un importo complessivo di 4.579.654,22 euro ), delle imprese imposte dalle cosche Mancuso, Bonavota e Anello, coartando in tal modo in maniera assoluta la libertà di scelta imprenditoriale della persona offesa».
Il gip parla di «grave e allarmante quadro indiziario» e di «concreto pericolo che gli indagati, se rimessi in libertà, riprenderebbero le proprie attività criminali – che le indagini hanno dimostrato essere perpetrate con sistematicità in più ambiti territoriali – con danni irreparabili all’amministrazione della giustizia e al tessuto socio-economico del territorio». Gli atti verranno ora rimandati al competente gip distrettuale di Catanzaro.

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