LAMEZIA TERME “Domani”, che ha svelato il caso dei giornalisti, magistrati e legali intercettati nell’inchiesta della Procura di Locri sul “modello Riace”, parla di “metodo Trapani”, per richiamare le captazioni legate al caso delle ong. Ma chiarisce che c’è una differenza, perché in Sicilia sono stati intercettati i giornalisti anche quando non parlavano direttamente con gli indagati, a Riace invece sono state ascoltate e trascritte le conversazioni che giornalisti, avvocati e magistrati, avevano con il principale indagato, Mimmo Lucano. Ricordiamo i numeri: 33 giornalisti intercettati, tre magistrati, uno degli avvocati difensori di Lucano, un viceprefetto. E molte testate: da Famiglia Cristiana alla tv Svizzera, passando per Repubblica, Il Fatto Quotidiano, Il Quotidiano del Sud, la Rai, Mediaset, La7, più un lungo elenco di giornali, tv e siti locali, dall’Ansa al Corriere della Calabria alla Gazzetta del Sud.
Nei mesi dell’inchiesta, Mimmo Lucano è – ovviamente – al centro dei riflettori. Moltissimi gli chiedono interviste, commenti. Qualcuno riflette sul senso di quell’inchiesta e sulle conseguenze che avrà sul modello di accoglienza inaugurato nella Locride. Quelle telefonate, quei messaggi whatsapp, finiscono nei brogliacci dell’indagine. Con tanto di numeri di telefono e, spesso, di caselle di posta elettronica dei mittenti. Tutto finisce negli atti del processo, tutto diventa pubblico e a disposizione di investigatori, magistrati, avvocati della difesa e delle parti civili. E parliamo, ricorda Enrico Fierro (è anche lui uno degli intercettati) su “Domani”, di 30 imputati con 22 avvocati, ai quali vanno aggiunti i legali delle parti civili (ministeri, prefettura e varie).
Anche per questo motivo, Raffaele Lorusso, segretario generale della Federazione nazionale della Stampa italiana, ha chiesto un intervento da parte delle istituzioni. «Le intercettazioni delle conversazioni di numerosi cronisti da parte della Procura di Locri, oltre che da quella di Trapani, così come riportato dal quotidiano “Domani” – scrive Lorusso –, rendono ancora più inquietante una vicenda indegna di un Paese civile. Il fatto che, a differenza di quanto emerso a Trapani, in questi casi si tratti di conversazioni con persone indagate, sempre nell’ambito di inchieste sul fenomeno migratorio, è del tutto irrilevante. È inaccettabile, infatti, che siano state trascritte conversazioni che la stessa polizia giudiziaria riteneva di nessuna importanza».
«Ancora una volta – aggiunge – si attenta al diritto alla riservatezza delle fonti del giornalista, presupposto indispensabile per l’esercizio corretto del diritto di cronaca e per il soddisfacimento del diritto dei cittadini a essere informati. L’auspicio è che la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, come già avvenuto per il caso della Procura di Trapani, faccia chiarezza sull’accaduto e prenda in considerazione l’adozione di misure di tutela della libertà di stampa e dell’articolo 21 della Costituzione».
Anche direttivo dell’Unci Calabria, in un comunicato «reputa grave quanto emerso oggi» nell’articolo del “Domani”. Secondo il gruppo calabrese dell’Unione nazionale cronisti italiani, presieduto da Michele Albanese, «si è adottato il “metodo Trapani” anche per l’indagine condotta dalla guardia di finanza sulla gestione a Riace dei progetti di accoglienza dei migranti». «Sia chiaro – è detto in un comunicato – che l’Unci Calabria ritiene che quelle intercettazioni, eseguite dalla guardia di finanza, siano legittime perché evidentemente un giudice, su richiesta del pm, le ha autorizzate. Quello che, però, non si concepisce è il motivo per cui, una volta intercettati i giornalisti e una volta accertato che stavano semplicemente facendo il loro lavoro, quelle conversazioni sono state trascritte e riassunte per poi essere riversate negli atti del processo. La sensazione è che si sia voluta ricostruire la rete di giornalisti con il quali Lucano si sentiva. È il caso di ricordare che la tutela delle fonti e il metodo di lavoro dei giornalisti sono un valore da salvaguardare. Inoltre perché registrare un giornalista che per telefono intervista un imputato e in questo modo conoscere il giorno prima della pubblicazione il contenuto dell’articolo?».
Accanto al progressivo dell’intercettazione, assieme al numero e alla trascrizione, la polizia giudiziaria appunta il livello di interesse: “normale” quello attribuito ai due messaggi di due giornalisti del Corriere della Calabria finiti nei brogliacci, Giorgio Curcio e Pablo Petrasso, che avevano scritto al sindaco di Riace nell’ottobre 2017 per contattarlo (impresa non facilissima, per inciso) e ottenere un’intervista.
Il record di citazioni spetta a Lucio Musolino del Fatto Quotidiano: sono più di venti le occasioni in cui vengono censiti contatti con Mimmo Lucano. Tutti vengono trascritti, anche quelli definiti “non rilevanti”, come una conversazione in cui i due discutono di un articolo pubblicato sulla testata diretta da Marco Travaglio. Restano nero su bianco i commenti di Lucano («ammette che i giornalisti sono la sua forza», «a Roma ha saputo che il film per ora è bloccato a causa dell’indagine») e le richieste di intervista. Così come i commenti sulla situazione familiare dell’ex sindaco. Questioni private finite dei faldoni dell’inchiesta “Xenia” con accanto la postilla “non rilevante”.
Lucano rilascia, come prevedibile, molte dichiarazioni. «Rilascia intervista» è una delle espressioni più frequenti nelle trascrizioni: capita con la giornalista Luisella Costamagna. Nelle carte finiscono anche le domande dei colleghi dell’Ansa al sindaco del “modello Riace”. Alcuni («Ilario») sono citati soltanto per nome in telefonate nelle quali Lucano parla del progetto della fattoria didattica, altri anche per cognome come il giornalista del Quotidiano del Sud Francesco Sorgiovanni (anche nel suo caso ci sono conversazioni “non rilevanti” trascritte per intero). Luca De Risi, di “Mi manda Rai Tre”, ascolta il sindaco sul progetto dell’acqua pubblica e sulla possibilità di fare riprese. A “Livio”, invece, Lucano annuncia un servizio su Riace sul Venerdì di Repubblica. Mentre un «giornalista collaboratore de La7 in Calabria» chiede una «dichiarazione sulla vicenda» e Andrea Billau di Radio Radicale chiama per chiedere un’intervista sulla tendopoli di Rosarno.
Nei brogliacci compaiono i dialoghi del sindaco con Valentina Loiero (figlia dell’ex governatore Agazio e, all’epoca dell’inchiesta, portavoce dell’allora presidente della Camera Laura Boldrini) e (in un altro momento) con Francesco Anfossi, giornalista di Famiglia Cristiana. Ci sono dialoghi con «due giornalisti con accento romano» ai quali Lucano dice che «il suo modello Riace sta subendo un’ingiustizia». E un audio in cui un «giornalista della Tv Svizzera» discute con Lucano della «ragazza morta» a San Ferdinando (Becky Moses, ndr). Ad «Armando» l’ex primo cittadino indagato «rilascia una intervista sull’utilizzo dei bonus». Mentre una giornalista del TgCom, Claudia Buongiorno, gli chiede la disponibilità a intervenire «con una telefonica». Classificazione: “normale”. Chiede un’intervista il giornalista Pasquale Romano. E lo fanno anche Giuseppe Borello, di La7, un «giornalista Rai», «Mazzuca (giornalista)», di cui non viene specificato il nome ma il numero di telefono, «De Virgilio» e Saverio Paletta.
Finiscono agli atti dell’inchiesta anche il colloquio con la giornalista di Matrix Chiara Carbone, nel quale Lucano riepiloga il funzionamento del modello di accoglienza sperimentato a Riace, e l’incontro con Anna Migotto, inviata della trasmissione “Terra!” di Mediaset.
Tutti erano interessati a capire perché quel modello fosse finito al centro di un’inchiesta della magistratura. Tutti hanno provato a sentire il parere di chi lo aveva realizzato. Tutti sono stati intercettati. Le loro parole e i loro contatti, adesso, sono pubblici.
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