CATANZARO «La porta per far arrivare la cocaina in Europa dal Sud America era il Costarica». È questo il primo dato che illustra il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri nel corso della conferenza stampa sull’operazione “Molo 13”, condotta dalla Guardia di finanza del comando provinciale di Catanzaro e dallo Scico di Roma. Venti arresti, di cui uno ai domiciliari, per gli uomini della cosca Gallace di Guardavalle. È a San Josè, in Costarica, che il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e i militari della Guardia di finanza si sono recati alla ricerca di un server che attraverso un software denominato Pgp consentiva alle organizzazioni criminali di comunicare senza essere intercettati, senza che nessuno si potesse inserire tra chiamante e chiamato.
Una scoperta perfezionata – ha detto Gratteri – grazie al prezioso aiuto di Eurojust, organismo dell’unione europea che permette di coordinare le indagini tra gli stati membri. «Gli inquirenti avevano identificato sul territorio di Guardavalle tutta una serie di smartphone dedicati a comunicare col server in Costarica», ha spiegato il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla. «Questo server, assolutamente clandestino, conservava milioni di dati utilizzati da organizzazioni criminali che gestivano attività illecite», ha detto il procuratore Gratteri. In questo circuito internazionale di élite del narcotraffico era entrata anche la famiglia Gallace di Guardavalle. I militari delle fiamme gialle sono riusciti a bucare il sistema criptato da Pgp acquisendo numerose chat in lingua italiana finalizzate a organizzare l’importazione di ingenti quantità di cocaina in Europa.
Sono 96mila gli account decriptati dagli uomini del Gico. Ogni singolo account, inoltre, è stato associato al suo proprietario, al trafficante che lo adoperava.
«Il mercato dei Gallace si stava espandendo anche in Australia», ha spiegato il colonnello Carmine Virno, comandante del Nucleo di polizia economico finanziaria di Catanzaro.
Una cosca che aveva uomini militarmente organizzati e stabilmente residenti anche in Toscana (dove c’è il porto di Livorno, zona di attracco per le navi dei narcos) e nel Lazio ma con il centro direzionale ben piantato a Guardavalle. Era qui, infatti, che tutti andavano a prendere direttive per i compiti da portare avanti. C’era chi si occupava del territorio della Toscana, chi del Lazio, chi del traffico della droga e degli attracchi ai porti. Si decideva, a seconda delle occasioni, per esempio, se trasportare la cocaina in carichi di banane o ananas. Le regole e i compiti da rispettare erano cos’ ferrei che, in una occasione, la fidanzata di uno degli indagati, si è lamentata col compagno a causa delle sue abitudini “militari”.
I Gallace avevano contatti ad altissimi livelli con i fornitori in Sud America e con gli uomini piazzati nei porti. La cocaina arrivava dalla Colombia, dal Brasile dal Costarica.
«In una occasione, a maggio 2017, nel porto di Livorno, sono stati sequestrati 150 chili di cocaina. Dal Sud America ne erano partiti 200 chili ma parte del carico era stato perso in mare anche a causa delle avverse condizioni metereologiche», ha raccontato il generale Alessandro Barbera, comandante dello Scico.
«L’operazione è costata un grande sforzo in termini tecnologici – ha detto il generale Guido Maria Geremia, comandante della Guardia di finanza in Calabria – ma ha dimostrato la forza e la credibilità della polizia giudiziaria italiana all’estero».
x
x